Liberazione Condizionale: Perché il Ravvedimento Va Oltre la Buona Condotta
La concessione della liberazione condizionale rappresenta un momento cruciale nel percorso di esecuzione della pena, segnando un potenziale ritorno alla vita sociale per il condannato. Tuttavia, come chiarisce una recente ordinanza della Corte di Cassazione, l’accesso a questo beneficio non è automatico e non si basa unicamente sulla buona condotta. È richiesto un elemento più profondo e difficile da provare: il ravvedimento effettivo. Analizziamo insieme questa importante decisione per capire quali sono i parametri valutati dai giudici.
I Fatti del Caso
Un uomo, condannato per un grave reato e attualmente in regime di detenzione domiciliare, presentava istanza per ottenere la liberazione condizionale. Il Tribunale di Sorveglianza, pur prendendo atto del suo comportamento lineare e rispettoso delle prescrizioni, respingeva la richiesta. La motivazione del diniego risiedeva nella convinzione che il condannato non avesse ancora raggiunto un grado di ravvedimento sufficiente. Secondo il Tribunale, mancavano elementi positivi che potessero dimostrare un superamento definitivo delle sue passate scelte devianti e un concreto impegno in funzione riparativa.
La Decisione del Tribunale e i Motivi del Ricorso in Cassazione
Insoddisfatto della decisione, il condannato proponeva ricorso in Cassazione, lamentando un’erronea e carente motivazione proprio sul punto del mancato ravvedimento. Il ricorso, tuttavia, è stato giudicato dalla Suprema Corte come aspecifico e meramente reiterativo di argomentazioni già esaminate e respinte dal giudice di merito. La Cassazione ha quindi proceduto a confermare la logicità e la correttezza del ragionamento seguito dal Tribunale di Sorveglianza.
L’Analisi della Cassazione sulla liberazione condizionale
La Corte Suprema ha validato l’impostazione del Tribunale di Sorveglianza, articolando la sua decisione su due pilastri fondamentali che definiscono il concetto di ravvedimento.
Le motivazioni
Il primo punto analizzato riguarda la rilevanza del ‘perdono’ ricevuto dalla figlia della persona offesa dal reato di omicidio. I giudici hanno ritenuto che tale gesto, pur umanamente significativo, non fosse di per sé sufficiente a provare il cambiamento interiore del condannato. Il ravvedimento richiesto dalla legge è un processo personale e profondo, che non può essere certificato da terzi, neanche dai familiari della vittima.
Il secondo e più decisivo aspetto riguarda l’inadempimento delle obbligazioni civili nascenti dal reato, ovvero il risarcimento del danno. La Corte ha sottolineato come il mancato adempimento, unito all’assenza di qualsiasi prova circa l’impossibilità di farvi fronte, costituisca un forte indizio contrario al ravvedimento. L’impegno in funzione riparativa, infatti, non è solo una dichiarazione di intenti, ma si deve concretizzare in azioni tangibili. Adempiere, o quantomeno dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere, alle obbligazioni economiche verso le vittime è considerato una manifestazione concreta del pentimento e dell’assunzione di responsabilità per le proprie azioni.
Le conclusioni
La Corte di Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. La pronuncia ribadisce un principio fondamentale in materia di esecuzione della pena: la liberazione condizionale non è un diritto che scatta automaticamente dopo aver scontato una certa porzione di pena con buona condotta. È una valutazione complessa, in cui il giudice deve riscontrare un cambiamento autentico e profondo nel condannato. Questo cambiamento deve essere provato con elementi positivi e concreti, tra cui spicca l’impegno a riparare, anche economicamente, al danno causato. In assenza di queste prove, la sola assenza di infrazioni disciplinari non basta a spalancare le porte della libertà.
La buona condotta durante l’esecuzione della pena è sufficiente per ottenere la liberazione condizionale?
No, secondo l’ordinanza, la buona condotta e il rispetto delle prescrizioni non sono sufficienti. È necessario un grado di ravvedimento che dimostri il superamento definitivo delle passate scelte criminali e un impegno effettivo anche in funzione riparativa.
Il perdono ricevuto dai familiari della vittima ha valore per la concessione del beneficio?
L’ordinanza chiarisce che il perdono da parte dei familiari della vittima non è di per sé rilevante per dimostrare l’avvenuto ravvedimento del condannato. La valutazione del ravvedimento è un processo autonomo del giudice.
L’adempimento delle obbligazioni civili nate dal reato è un requisito per la liberazione condizionale?
Sì, l’inadempimento delle obbligazioni civili è un elemento fondamentale nella valutazione. Il tribunale ha sottolineato che il mancato risarcimento, unito alla mancata allegazione di una reale impossibilità ad adempiere, è un forte indicatore dell’assenza del necessario ravvedimento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18506 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18506 Anno 2024
Presidente: FIORDALISI DOMENICO
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/11/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso l’ordinanza in preambolo con la quale il Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria ha dichiarato inammissibile l’istanza da questi formulata di liberazione condizionale;
rilevato che l’unico motivo di ricorso – con il quale è lamentata l’assenza e, comunque, la erronea motivazione in punto di ritenuto mancato ravvedimento del condannato – è a-specifico, oltre che reiterativo di analoghe argometazioni già superate dal provvedimento impugnato;
rilevato, invero, che a ragione della decisione, il Tribunale, pur dando atto del lineare comportamento del condannato, rispettoso delle prescrizioni nascenti dalla misura alternativa in corso (differimento pena nelle forme della detenzione domiciliare), ha ritenuto che questi non avesse ancora raggiunto il grado di ravvedimento necessario al beneficio invocato, in assenza di elementi positivi che dimostrassero il definitivo superamento delle passate scelte altamente devianti e il suo effettivo impegno anche in funzione riparativa;
rilevato che sotto il primo profilo ha ritenuto che non avesse rilievo l’avvenuto “perdono” da parte della figlia del reato di omicidio commesso, mentre sotto il secondo profilo ha rimarcato l’inadempimento delle obbligazioni civili nascenti dal reato e l’assenza di allegazione della impossibilità d adempiere;
ritenuto che, a cospetto di tali argomentazioni non manifestamente illogiche, con cui il ricorrente non si confronta in modo adeguatamente specifico, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che a detta declaratoria segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28 marzo 2024
Il Consigliere estensore