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Liberazione condizionale: pagamento e ravvedimento

La Corte di Cassazione ha stabilito la legittimità di una prescrizione che impone un pagamento mensile a un’associazione di volontariato come condizione per la liberazione condizionale di un collaboratore di giustizia. La Corte ha chiarito che tale obbligo non costituisce un risarcimento del danno, ma una manifestazione sintomatica del ‘sicuro ravvedimento’ del condannato, ovvero della sua adesione ai valori di legalità, requisito fondamentale per la concessione del beneficio.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Liberazione Condizionale: Pagamento a Ong è Segno di Ravvedimento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15160/2025, ha affrontato un tema delicato in materia di esecuzione della pena, stabilendo un principio importante per la concessione della liberazione condizionale, specialmente per i collaboratori di giustizia. La Corte ha ritenuto legittima l’imposizione di un versamento mensile a un’associazione di volontariato come condizione per il beneficio, non quale risarcimento, ma come prova del percorso di risocializzazione e del ‘sicuro ravvedimento’ del condannato.

La Vicenda Giudiziaria

Il caso riguarda un collaboratore di giustizia che, dopo aver ottenuto la detenzione domiciliare, presentava istanza per la liberazione condizionale. Inizialmente, il Tribunale di Sorveglianza aveva negato il beneficio, ritenendo insufficiente il percorso di ravvedimento a causa della mancanza di iniziative risarcitorie concrete verso le vittime dei reati commessi, nonostante un parere favorevole della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo.

Questa prima decisione veniva annullata dalla stessa Corte di Cassazione per motivazione contraddittoria, poiché il Tribunale non aveva adeguatamente considerato tutti gli elementi positivi emersi: l’importanza della collaborazione fornita, la recisione dei legami con la criminalità organizzata, uno stile di vita regolare e un’attività lavorativa stabile.

Successivamente, il Tribunale di Sorveglianza, riesaminando il caso, concedeva la liberazione condizionale. Tra le varie prescrizioni imposte per un periodo di cinque anni di libertà vigilata, inseriva l’obbligo per il condannato di versare mensilmente 50 euro a un’associazione di volontariato. Proprio questa condizione è stata oggetto del ricorso in Cassazione da parte del condannato, che la riteneva illegittima e non prevista dalla legge.

La Questione Giuridica sulla Liberazione Condizionale

Il ricorrente sosteneva che l’imposizione di un pagamento mensile, seppur di modesta entità, costituisse una prescrizione anomala, non contemplata né dall’art. 176 del codice penale né dalla normativa speciale per i collaboratori di giustizia (legge n. 82/1991). Secondo la difesa, tale obbligo avrebbe introdotto una condizione illegittima per il mantenimento del beneficio e per la futura estinzione della pena.

Il cuore della questione era stabilire se il giudice della sorveglianza avesse il potere di imporre una simile prescrizione a carattere patrimoniale e, in caso affermativo, quale fosse la sua natura giuridica: un risarcimento mascherato o un legittimo strumento per valutare il percorso di ravvedimento del condannato.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno chiarito un punto fondamentale: la prescrizione del versamento mensile di 50 euro non è stata imposta come adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato. Se così fosse stato, la sua legittimità sarebbe stata dubbia.

Invece, il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente inquadrato tale obbligo come una ‘manifestazione sintomatica di adesione ai valori di legalità’. In altre parole, il versamento periodico a un’associazione di volontariato rappresenta un comportamento concreto che, insieme ad altri elementi, dimostra il ‘sicuro ravvedimento’ richiesto dalla legge per la liberazione condizionale.

La Corte ha specificato che, per i collaboratori di giustizia, la legge (art. 16-nonies, legge n. 82/1991) prevede condizioni di accesso al beneficio più favorevoli, ma non elimina la necessità di una verifica rigorosa sulla personalità del condannato e sulla sua effettiva risocializzazione. Il giudice deve tenere conto di un ampio spettro di ‘indici sintomatici’ del ravvedimento, tra cui i rapporti familiari, l’attività lavorativa e sociale, e l’assenza di legami con il mondo criminale.

In questo contesto, un’iniziativa riparatoria, anche se di natura simbolica e non diretta alle vittime specifiche (quando queste non siano facilmente individuabili o raggiungibili), diventa un elemento significativo che il giudice può valorizzare nel suo giudizio complessivo. Non si tratta di un obbligo risarcitorio, ma di un impegno volontario che il condannato assume e che il giudice può formalizzare in una prescrizione per monitorarne la costanza nel tempo.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza consolida un orientamento importante: nella valutazione del ‘sicuro ravvedimento’ ai fini della liberazione condizionale, il giudice dispone di un’ampia discrezionalità nel considerare tutti i comportamenti del condannato che ne attestino il cambiamento. L’imposizione di versamenti periodici a enti di beneficenza o volontariato è uno strumento legittimo, a patto che sia inteso non come un’obbligazione civile, ma come un indicatore tangibile della maturata sensibilità sociale e dell’adesione ai principi di legalità e solidarietà.

Questa decisione offre ai Tribunali di Sorveglianza uno strumento in più per strutturare percorsi di reinserimento efficaci, che vadano oltre la mera astensione dal commettere reati e promuovano comportamenti positivi e pro-sociali, fondamentali per un completo e autentico recupero del condannato.

È possibile imporre un pagamento mensile come condizione per la liberazione condizionale?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che è legittimo, a condizione che non sia inteso come un risarcimento del danno derivante dal reato, ma come una manifestazione concreta e simbolica del ‘sicuro ravvedimento’ e dell’adesione del condannato ai valori della legalità.

La liberazione condizionale per un collaboratore di giustizia richiede sempre il risarcimento del danno alle vittime?
No, la sentenza chiarisce che l’assenza di iniziative risarcitorie nei confronti delle vittime non è un ostacolo determinante per la concessione del beneficio, specialmente per i collaboratori di giustizia, per i quali vengono valutati anche altri indici come l’importanza della collaborazione e la rottura con l’ambiente criminale.

Quali sono gli elementi principali per valutare il ‘sicuro ravvedimento’ di un condannato?
Il ‘sicuro ravvedimento’ viene valutato sulla base di un insieme di indicatori, tra cui la condotta tenuta durante l’esecuzione della pena, lo svolgimento di attività lavorative o sociali, i rapporti con la famiglia, la rottura con ambienti criminali e l’attuazione di comportamenti concreti che dimostrino un reale cambiamento di personalità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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