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Liberazione condizionale: non basta la buona condotta

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza che concedeva la liberazione condizionale a un detenuto condannato all’ergastolo per gravi reati di stampo mafioso. Secondo la Corte, il Tribunale di Sorveglianza non ha motivato adeguatamente la decisione, fondandola solo sul buon comportamento carcerario. Per ottenere la liberazione condizionale, è necessario dimostrare un ‘sicuro ravvedimento’, che include una reale volontà di risarcire le vittime e l’assenza di pericolo di riallacciare i legami con l’organizzazione criminale, elementi che nel caso di specie non sono stati sufficientemente provati.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Liberazione Condizionale per Reati di Mafia: La Cassazione Annulla, Non Basta la Buona Condotta

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema della liberazione condizionale per i condannati all’ergastolo per reati di stampo mafioso. La decisione ribadisce la necessità di un’analisi rigorosa e approfondita del percorso del detenuto, sottolineando come la sola buona condotta carceraria non sia sufficiente a dimostrare quel ‘sicuro ravvedimento’ richiesto dalla legge.

I Fatti del Caso: La Decisione del Tribunale di Sorveglianza

Il caso riguarda un uomo condannato alla pena dell’ergastolo per una serie di gravissimi reati, tra cui sequestro di persona a scopo di estorsione, associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio e distruzione di cadavere, commessi nell’ambito di un clan mafioso. Dopo aver scontato oltre 33 anni di detenzione, il Tribunale di Sorveglianza gli aveva concesso il beneficio della liberazione condizionale.

La decisione del Tribunale si basava principalmente sulla valutazione positiva del percorso penitenziario del detenuto, caratterizzato dall’adesione alle regole carcerarie, e sul suo impegno nel risarcire, almeno in parte, le obbligazioni derivanti dai reati attraverso il pignoramento di un quinto dello stipendio percepito in carcere.

Il Ricorso del Procuratore Generale

Contro questa ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale, lamentando una motivazione carente, contraddittoria e manifestamente illogica. Secondo l’accusa, il Tribunale di Sorveglianza aveva omesso di considerare importanti elementi negativi, tra cui:

* Il parere degli operatori carcerari, che ritenevano prematuro l’accesso al beneficio, suggerendo un ulteriore periodo di osservazione.
* La mancanza di una collaborazione attiva con l’autorità giudiziaria.
* L’assenza di una seria e volontaria volontà riparatoria nei confronti delle vittime, dato che il risarcimento avveniva solo tramite un pignoramento forzato disposto dallo Stato.
* Il concreto pericolo di ripristino dei collegamenti con il clan mafioso di appartenenza, ancora operativo e di cui il padre del condannato è un esponente di vertice.

I Principi sulla liberazione condizionale secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando il caso a un nuovo esame. Nel farlo, ha ribadito alcuni principi fondamentali in materia.

Il Concetto di “Sicuro Ravvedimento”

L’articolo 176 del codice penale subordina la concessione della liberazione condizionale alla prova di un «sicuro ravvedimento». La giurisprudenza costante chiarisce che questo concetto non può essere confuso con la semplice buona condotta o con la partecipazione al programma rieducativo. L’aggettivo ‘sicuro’ implica un’elevata probabilità che il condannato abbia operato una netta scelta di revisione critica del proprio passato, aderendo a nuovi modelli di vita socialmente accettati. Non basta l’assenza di elementi negativi, ma occorre la presenza di elementi positivi concreti che dimostrino questo cambiamento interiore.

L’Importanza del Risarcimento e della Volontà Riparatoria

Anche il risarcimento del danno non viene considerato solo come un adempimento patrimoniale, ma come una manifestazione concreta della volontà del soggetto di attenuare le conseguenze del reato. La Corte ha specificato che non si può valorizzare un risarcimento che deriva da un’azione coattiva dello Stato, come il pignoramento dello stipendio. Ciò che rileva è un effettivo e spontaneo interessamento nei confronti delle vittime e dei loro familiari.

La Valutazione del Pericolo di Ricollegamento con la Criminalità Organizzata

Per i reati ostativi, come quelli di mafia, la nuova disciplina introdotta nel 2022 richiede al giudice una valutazione approfondita non solo dell’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata, ma anche del pericolo che tali legami possano essere ripristinati in futuro. Questa analisi deve tenere conto di tutte le circostanze personali e ambientali, inclusi i rapporti familiari con esponenti ancora attivi nel sodalizio criminale.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha ritenuto che la motivazione del Tribunale di Sorveglianza fosse carente su tutti i fronti cruciali. L’affermazione secondo cui il detenuto fosse lontano da quasi trent’anni dai luoghi di commissione dei reati è stata giudicata apodittica e insufficiente a escludere il pericolo di riattivazione dei contatti, soprattutto considerando il ruolo apicale del padre all’interno del clan e i rapporti che il condannato mantiene con la famiglia di origine.

Inoltre, il Tribunale ha errato nel valorizzare il pignoramento dello stipendio come prova di adempimento delle obbligazioni civili, ignorando che si trattava di un atto non spontaneo e non accompagnato da alcuna seria volontà riparatoria nei confronti delle vittime. Mancava, infine, qualsiasi argomentazione sull’eventuale impossibilità assoluta per il condannato di adempiere a tali obblighi.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante riaffermazione del rigore necessario nella valutazione delle istanze di liberazione condizionale per i condannati per reati di mafia. Viene confermato che il percorso verso il reinserimento sociale non può basarsi su mere formalità, come la buona condotta, ma deve essere sostanziato da prove concrete di un cambiamento profondo e irreversibile. La decisione impone ai giudici di sorveglianza un esame scrupoloso che vada oltre le apparenze, analizzando la reale volontà riparatoria del condannato e valutando in modo approfondito il rischio residuo di pericolosità sociale, al fine di tutelare la collettività e il significato stesso della pena.

La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere la liberazione condizionale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la buona condotta è un presupposto necessario ma non sufficiente. Per la concessione del beneficio è richiesta la prova di un ‘sicuro ravvedimento’, inteso come una profonda e netta revisione critica del proprio passato criminale, dimostrata da elementi positivi e concreti.

Come viene valutato il risarcimento del danno ai fini della liberazione condizionale?
Il risarcimento del danno non è visto solo come un obbligo patrimoniale, ma come un atto che comprova la fattiva volontà del condannato di eliminare o attenuare le conseguenze del reato. Non può essere valorizzato un pagamento che deriva da un’azione forzata dello Stato, come un pignoramento, ma è necessario dimostrare un effettivo e spontaneo interessamento nei confronti delle vittime.

Quali elementi deve considerare il giudice per escludere il pericolo di nuovi legami con la mafia?
Il giudice deve compiere una verifica approfondita che non si limiti all’assenza di collegamenti attuali, ma valuti anche il pericolo di un loro futuro ripristino. A tal fine, deve tenere conto di tutte le circostanze personali e ambientali, come la persistente operatività del clan di appartenenza e i legami familiari con esponenti ancora attivi nell’organizzazione criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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