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Liberazione condizionale: non basta la buona condotta

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto condannato all’ergastolo per reati di stampo mafioso, confermando il diniego della liberazione condizionale. La sentenza sottolinea che la buona condotta in carcere non è sufficiente per dimostrare il ‘sicuro ravvedimento’. Quest’ultimo richiede una profonda e convinta revisione critica del proprio passato criminale e un’attiva volontà di attenuare le conseguenze dei reati, elementi che la Corte non ha riscontrato nel ricorrente, il quale continuava a minimizzare le proprie responsabilità.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Liberazione Condizionale: Perché la Sola Buona Condotta Non È Sufficiente

La concessione della liberazione condizionale rappresenta un momento cruciale nel percorso di esecuzione della pena, specialmente per chi sconta condanne lunghe come l’ergastolo. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la buona condotta tenuta in carcere, da sola, non basta. È necessario un ‘sicuro ravvedimento’, un concetto complesso che implica una revisione critica e profonda del proprio passato. Analizziamo questa importante decisione per capire quali sono i requisiti reali per accedere a questo beneficio.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un detenuto condannato alla pena dell’ergastolo per una serie di gravissimi reati, tra cui omicidio aggravato, associazione di stampo mafioso, violazione della legge sulle armi ed estorsione. Dopo anni di detenzione, iniziata nel 1994, l’uomo ha presentato istanza per ottenere la liberazione condizionale.

Il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha dichiarato la domanda inammissibile. Secondo i giudici, non vi erano elementi sufficienti a dimostrare un ‘sicuro ravvedimento’. In particolare, il condannato non aveva fornito prove della cessazione dei suoi legami con la criminalità organizzata, né aveva dimostrato un vero processo di revisione critica del suo passato, continuando a minimizzare la propria responsabilità e sostenendo di essersi solo ‘accompagnato’ ai membri del clan mafioso senza farne realmente parte.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Contro questa decisione, il detenuto ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su tre motivi principali:
1. Violazione di legge: Il ricorrente sosteneva che il Tribunale avesse erroneamente dato peso alla sua mancata collaborazione con la giustizia, nonostante non ci fossero prove di legami attuali con la criminalità organizzata.
2. Errata applicazione di norme: Lamentava l’omessa valutazione della mancanza di collegamenti attuali con ambienti mafiosi, rilevante ai sensi di una disposizione transitoria.
3. Vizio di motivazione: Contestava la valutazione delle relazioni di osservazione inframuraria, sostenendo che il Tribunale non avesse colto le contraddizioni che, a suo dire, dimostravano il suo ravvedimento.

Le motivazioni della Cassazione sulla liberazione condizionale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. La motivazione della sentenza si concentra sulla corretta interpretazione del requisito del ‘sicuro ravvedimento’, previsto dall’art. 176 del codice penale.

I giudici supremi hanno chiarito che il ‘sicuro ravvedimento’ non si esaurisce nella ‘ordinaria buona condotta’, necessaria per ottenere altri benefici penitenziari. Esso implica qualcosa di più profondo: un complesso di comportamenti positivi che dimostrino in modo inequivocabile l’abbandono delle scelte criminali. Questo percorso include, secondo la giurisprudenza consolidata, una ‘convinta revisione critica’ delle proprie azioni passate e la ‘fattiva volontà’ di eliminare o attenuare le conseguenze dannose dei reati commessi.

Nel caso specifico, il Tribunale di sorveglianza ha correttamente evidenziato come il percorso del condannato fosse incompiuto. La sua tendenza a minimizzare il proprio ruolo nei gravi delitti per cui è stato condannato, descrivendosi come un mero accompagnatore, è stata interpretata come l’assenza di una seria riflessione critica. Questo atteggiamento, unito alla ‘ritrosia ad adempiere’ agli obblighi risarcitori verso le vittime, ha portato i giudici a concludere, in modo logico e non contraddittorio, che non fosse possibile escludere il pericolo di recidiva.

La Cassazione ha quindi affermato che il ragionamento del giudice di merito era esente da vizi, aderente al quadro normativo e basato su una corretta valutazione dei risultati dell’osservazione in carcere. Le obiezioni del ricorrente sono state giudicate come un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di legittimità.

Le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso ma necessario in materia di liberazione condizionale. Per i condannati per reati di eccezionale gravità, specialmente se legati alla criminalità organizzata, la strada verso la libertà passa attraverso una dimostrazione concreta e inequivocabile di un cambiamento interiore. Non basta comportarsi bene tra le mura del carcere; è indispensabile un percorso di revisione critica che porti a un ripudio totale del passato criminale e a un impegno attivo nel riparare, per quanto possibile, al male commesso. In assenza di questi elementi, il ‘sicuro ravvedimento’ resta un traguardo non raggiunto e la porta della liberazione condizionale rimane chiusa.

Per ottenere la liberazione condizionale è sufficiente mantenere una buona condotta in carcere?
No, la sentenza chiarisce che l’ordinaria buona condotta non è sufficiente. È richiesto il ‘sicuro ravvedimento’, che implica un cambiamento interiore profondo e una revisione critica del proprio passato criminale.

Cosa significa ‘sicuro ravvedimento’ secondo la Cassazione?
Significa un insieme di comportamenti positivi che dimostrano un abbandono definitivo delle scelte criminali. Include una convinta revisione critica dei reati commessi e una volontà attiva di eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose, ad esempio attraverso il risarcimento alle vittime.

Perché il ricorso del detenuto è stato respinto in questo caso?
Il ricorso è stato respinto perché il detenuto non ha dimostrato un serio processo di revisione critica. Al contrario, ha continuato a minimizzare la propria responsabilità nei gravi reati per cui era stato condannato, un atteggiamento che, secondo la Corte, non permette di ritenere raggiunto il ‘sicuro ravvedimento’ e di escludere il pericolo di recidiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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