Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22508 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22508 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ASCEA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 05/07/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni della PG, dott.AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 5 luglio 2023, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato la richiesta di NOME COGNOME di ammissione alla liberazione condizionale con riferimento alla pena dell’ergastolo, a lei inflitta con sentenza della Corte di assise di Roma del 29 novembre 1994, divenuta irrevocabile il 18 aprile 1996, per i reati di omicidio volontario aggravato e tentata distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere.
A tal fine – premesso che la NOME, responsabile delll’uccisione di NOME COGNOME, moglie dell’uomo cui ella, al tempo, era sentimentalmente legata, è ininterrottamente detenuta dal 1993 ed è stata ammessa, dal 2009, alla detenzione domiciliare – ha dato atto che la donna, nel corso del tempo, ha avviato e portato avanti un percorso rieducativo che, pur avendo rafforzato la sua capacità di adattamento e di dialogo, non si è spinto al punto di consentirle di confrontarsi con il commesso reato e con le relative cause e conseguenze.
Ha, in specie, rilevato che la COGNOME, quantunque forte del costante ausilio di una esperta psicologa, mantiene, rispetto al crimine, un atteggiamento elusivo, che preclude la benché minima riflessione in ordine al tragico episodio, legato alla sua sfera affettiva e passionale che, rebus sic stantibus, è rimasta impenetrabile, sicché non è possibile escludere, con il grado di certezza richiesto dalla liberazione condizionale, che ella, trovandosi in situazioni analoghe a quelle in cui è maturata la determinazione criminosa ed essendo incapace di affrontare le frustrazioni e le pulsioni sentimentali, commetta, in preda ad incontrollata aggressività, nuovi, gravi reati.
Il Tribunale di sorveglianza ha, ulteriormente, osservato che la NOME non ha mai manifestato segni di attenzione o pentimento nei confronti della figlia della vittima, all’epoca dell’età di appena tre anni, né per i genitori della NOME e, pur avendo una certa capacità economica, non ha agevolato il ristoro, almeno parziale, dei danni patiti da costoro, ai quali ha riservato, in ultimo, null’altro ch un’ostinata ed incoercibile indifferenza.
2. NOME COGNOME propone, con il ministero dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale lamenta violazione di legge per avere il Tribunale di sorveglianza adottata la decisione impugnata senza tenere adeguatamente conto dei contenuti, ampiamente favorevoli, della relazione di sintesi trasmessa dagli operatori penitenziari.
Ascrive, in particolare, all’ordinanza impugnata «una sorta di strabismo o miopia che producono effetti ampiamente contraddittori: si dà, cioè,
puntualmente conto della maturazione in capo alla detenuta, durante il lungo tempo del trattamento penitenziario, di tutta una serie di indici molto seri di rivelazione di un concreto ravvedimento, per poi essere questi stessi indici inopinatamente sviliti e svuotati sulla scorta di motivazioni che invero non poggiano su dati concretamente apprezzabili».
Al riguardo, sottolinea di avere trascorso, in regime alternativo, sedici anni senza dare adito al benché minimo rimarco e di avere responsabilmente fruito di amplissimi spazi di libertà; aggiunge, con riferimento ai profili di ordine risarcitoria, di avere fatto quanto nelle proprie possibilità – e tenuto conto degli impedimenti connessi alla condizione detentiva – per facilitare il soddisfacimento delle pretese di ordine risarcitorio vantate dalle parti civili.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
L’art. 176 cod. pen. prevede, al primo comma, che il condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, può essere ammesso alla liberazione condizionale, la cui concessione è tuttavia, subordinata, secondo quanto indicato al quarto comma, all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle.
In proposito, la giurisprudenza di legittimità ritiene, da un canto, che «la nozione di ravvedimento comprende il complesso dei comportamenti tenuti ed esteriorizzati dal soggetto durante il tempo dell’esecuzione della pena, obiettivamente idonei a dimostrare, anche sulla base del progressivo percorso trattamentale di rieducazione e recupero, la convinta revisione critica delle pregresse scelte criminali ed a formulare – in termini di certezza ovvero di elevata e qualifica probabilità confinante con la certezza – un serio, affidabile e ragionevole giudizio prognostico di pragmatica conformazione della futura condotta di vita del condannato all’osservanza delle leggi in precedenza violate» (Sez. 1, n. 19818 del 23/03/2021, Vallanzasca, Rv. 281366 – 02; Sez. 1, n. 34946 del 17/07/2012, Somma, Rv. 253183 – 01).
Nella produzione della Corte di cassazione si rinviene, poi, l’affermazione secondo cui «il presupposto del “sicuro ravvedimento” non consiste
semplicemente nella ordinaria buona condotta del condannato, necessaria per fruire dei benefici previsti dall’ordinamento penitenziario, ma implica comportamenti positivi da cui poter desumere l’abbandono delle scelte criminali, e tra i quali assume particolare significato la fattiva volontà del reo di eliminare o di attenuare le conseguenze dannose del reato» (Sez. 1, n. 486 del 25/09/2015, dep. 2016, Caruso, Rv. 265471 – 01), concretizzata, in caso di indisponibilità di sufficienti risorse economiche, da «atti e comportamenti di concreta apertura e disponibilità relazionale verso i parenti delle vittime dei gravi delitti commessi» (in questo senso, in specie, Sez. 1, n. 45042 del 11/07/2014, COGNOME, Rv. 261269 – 01).
Ritiene il Collegio che, nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza in esame si sia conformato ai richiamati e condivisi canoni ermeneutici.
La motivazione dell’ordinanza impugnata poggia, invero, sul postulato che la COGNOME – pur impegnata in un positivo percorso rieducativo,, che la vede fruire, ormai da tre lustri, della detenzione domiciliare, misura alternativa alla detenzione che le ha consentito di conseguire significativi obiettivi in ambito personale, relazionale e lavorativo, cui ha fatto pendant l’assenza di nuove manifestazioni devianti – non ha portato a completa maturazione l’iter di ripensamento e revisione critica della tragica vicenda della quale ella è stata scellerata protagonista, come univocamente dimostrato dal reticente atteggiamento da lei costantemente palesato in relazione alla genesi dell’omicidio ed alle pulsioni che lo hanno determinato, cui si è accompagnata l’assenza di sintomo alcuno di consapevolezza ed assunzione di responsabilità per il dolore arrecato alla vittima ed ai suoi familiari, primi tra tutti la figlia genitori, cui non si è mai accostata, neanche per esprimere vicinanza morale e dispiacere per le sofferenze cagionate.
Tanto ha indotto, nel Tribunale di sorveglianza, il convincimento che la NOME non possa dirsi soggetto sicuramente ravvedutosi – secondo quanto, del resto, confermato dalla ritrosia ad adempiere, nei limiti delle proprie, non minimali (avuto riguardo ai redditi ed alle possidenze immobiliari), possibilità, agli obblighi risarcitori nei confronti delle parti civili – ed a concludere nel senso dell’impossibilità di escludere in radice, alla luce dell’evoluzione della personalità della donna, il pericolo di recidiva.
A fronte di un ragionamento esente da tangibili fratture razionali ed aderente al quadro normativo ed alle coordinate interpretative delineate dalla giurisprudenza di legittimità, la ricorrente frappone obiezioni del tutto inidonee ad evidenziare la dedotta violazione di legge o eventuali vizi motivazionali.
La COGNOME pone, infatti, l’accento sul corretto contegno da lei serbato nel corso della lunghissima detenzione e, quindi, a seguito dell’ammissione alla misura alternativa, ovvero su elementi, favorevolmente apprezzati dagli organi del trattamento, dei quali il Tribunale di sorveglianza ha dato compiutamente conto, inserendoli, nondimeno, in un più ampio contesto argomentativo comprendente anche distinti profili – quelli afferenti all’approccio al commesso reato ed al rapporto con i congiunti della vittima – con i quali la ricorrente ha, in buona sostanza, rinunciato a confrontarsi e che offrono adeguato supporto, in termini sia di logica ordinaria che di rispetto delle previsioni di diritto positivo, provvedimento impugnato.
La ricorrente, peraltro, si pone in una prospettiva di mera confutazione, imperniata sull’evocazione di atti talora non allegati (quali quelli relativi alla su effettiva capacità reddituale ed alla persistente titolarità di immobili ulterior rispetto a quelli già sottoposti a procedura esecutiva) e, comunque, intesa a far avvalere la propria condizione di incapienza economica.
Così facendo, ella trascura che la modesta consistenza del proprio patrimonio e dei redditi prodotti grazie all’attività lavorativa non le avrebbe impedito di avviare iniziative volte ad assicurare un, almeno parziale, ristoro ai creditori ed a mostrare, in questo modo – ovvero, alternativamente o cumulativamente, attraverso comportamenti lato sensu riparativi – il definitivo superamento del modello deviante nel quale si iscrive il gravissimo fatto di sangue che le è valso la condanna a pena perpetua, in assenza del quale non può distinguersi il «sicuro ravvedimento» che costituisce condicio sine qua non per l’ammissione alla liberazione condizionale.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/01/2024.