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Liberazione condizionale: non basta la buona condotta

La Corte di Cassazione ha confermato il rigetto della richiesta di liberazione condizionale per un detenuto in ergastolo da 34 anni. Nonostante la lunga detenzione e la partecipazione a percorsi rieducativi, la mancanza di un ‘sicuro ravvedimento’, evidenziata da episodi negativi e dall’assenza di iniziative riparatorie verso le vittime, è stata considerata decisiva per negare il beneficio.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Liberazione Condizionale: Perché la Sola Buona Condotta Non Basta

La concessione della liberazione condizionale, specialmente per chi sconta una pena come l’ergastolo, rappresenta un momento cruciale nel percorso di esecuzione della pena. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: per ottenere questo beneficio non è sufficiente una lunga detenzione o una partecipazione formale ai programmi rieducativi. È indispensabile la prova di un ‘sicuro ravvedimento’, un concetto che va ben oltre la semplice assenza di infrazioni disciplinari. Analizziamo il caso e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Il Diniego del Tribunale di Sorveglianza

Il caso riguarda un uomo condannato all’ergastolo, detenuto ininterrottamente da trentaquattro anni. Dopo aver scontato una porzione significativa della sua pena, egli presenta istanza per ottenere la liberazione condizionale. Il Tribunale di sorveglianza di Torino, tuttavia, rigetta la richiesta.

La motivazione del rigetto si fonda sull’assenza del requisito del ‘sicuro ravvedimento’. Secondo il Tribunale, sebbene il detenuto avesse partecipato a progetti di rieducazione, altri elementi deponevano in senso contrario. In particolare, venivano evidenziati:

1. Mancanza di iniziative risarcitorie: Il detenuto non aveva intrapreso alcun percorso risarcitorio o riconciliativo nei confronti delle vittime dei suoi reati.
2. Episodi negativi: Erano stati registrati episodi allarmanti, come un incontro con un noto esponente di un’associazione mafiosa e violazioni delle prescrizioni durante i permessi premio.

Questi comportamenti, secondo i giudici di sorveglianza, dimostravano un’adesione non completa al percorso di risocializzazione, tale da non poter affermare con certezza il suo ravvedimento.

Il Ricorso in Cassazione e il concetto di ‘Sicuro Ravvedimento’

L’uomo, tramite il suo legale, ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la decisione del Tribunale fosse viziata e non avesse adeguatamente ponderato il suo lungo e positivo percorso carcerario. A suo avviso, gli episodi negativi erano occasionali e non potevano inficiare trentaquattro anni di detenzione. Per quanto riguarda l’aspetto risarcitorio, ha addotto le sue modeste condizioni economiche come impedimento.

La valutazione del ravvedimento per la liberazione condizionale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la correttezza della decisione del Tribunale di sorveglianza. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per definire con precisione i contorni del ‘sicuro ravvedimento’ richiesto dall’art. 176 del codice penale. Questo requisito implica molto più della buona condotta carceraria; richiede ‘comportamenti positivi da cui poter desumere l’abbandono delle scelte criminali’.

Il ravvedimento è un elemento di difficile accertamento, poiché riguarda il mondo interiore del condannato. Tuttavia, esso deve manifestarsi attraverso atti concreti e una costante adesione alle regole trattamentali. L’analisi del giudice non può essere frammentaria, ma deve essere globale e prognostica, valutando la probabilità che il soggetto, una volta libero, si conformi alle leggi.

Le motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si basano su due pilastri fondamentali.

In primo luogo, il Tribunale di sorveglianza ha correttamente valutato gli ‘episodi sentinella’, come l’incontro con un altro esponente della criminalità organizzata. Questi fatti, anche se isolati, sono stati ritenuti sintomatici di una mancata revisione critica del proprio passato e di una non completa dissociazione dagli ambienti criminali di provenienza. Non si tratta quindi di punire il singolo episodio, ma di interpretarlo come un indicatore dell’effettivo stato del percorso di risocializzazione.

In secondo luogo, la Corte ha dato peso alla mancanza di un adeguato interesse verso le vittime. Anche di fronte a una comprovata impossibilità economica di adempiere alle obbligazioni civili derivanti dal reato, il giudice deve valutare la ‘manifestazione o meno di interesse per la vittima e di intendimenti di riparazione, se non sul piano materiale, quanto meno su quello morale’. La totale assenza di iniziative in tal senso è un elemento che può legittimamente essere considerato per escludere la sussistenza del ravvedimento.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza un orientamento consolidato: la liberazione condizionale non è un automatismo legato al tempo di pena scontato, ma il risultato di una valutazione complessa e approfondita sulla personalità del condannato. Il ‘sicuro ravvedimento’ deve essere provato in modo convincente, attraverso un percorso di revisione critica che si traduca in comportamenti concreti e inequivocabili. La semplice partecipazione ai programmi trattamentali, se contraddetta da condotte negative e da un disinteresse per le conseguenze delle proprie azioni sulle vittime, non è sufficiente a integrare il presupposto richiesto dalla legge per la concessione del beneficio.

Per ottenere la liberazione condizionale è sufficiente aver tenuto una buona condotta in carcere?
No, la sentenza chiarisce che la buona condotta e la partecipazione a programmi di rieducazione, sebbene importanti, non sono sufficienti. È necessario dimostrare un ‘sicuro ravvedimento’, che implica un cambiamento interiore profondo e l’abbandono delle scelte criminali.

Cosa significa ‘sicuro ravvedimento’?
Significa una revisione critica del proprio passato criminale e un comportamento che dimostri concretamente la volontà di eliminare o attenuare le conseguenze dannose dei reati commessi. Include anche la mancanza di contatti con ambienti criminali e un interesse verso le vittime.

L’impossibilità economica di risarcire le vittime impedisce di valutare l’atteggiamento del condannato nei loro confronti?
No. Secondo la Corte, anche se il risarcimento materiale è impossibile, il giudice può e deve valutare se il condannato ha manifestato interesse per le vittime e un intendimento di riparazione morale. La totale assenza di tali iniziative può essere un elemento negativo nella valutazione del ravvedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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