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Liberazione condizionale: no senza vero pentimento

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto contro il diniego della liberazione condizionale. La decisione è stata confermata perché, nonostante il comportamento tenuto durante l’esecuzione della pena, mancavano prove di un “sicuro ravvedimento”. La Corte ha sottolineato la gravità dei reati, una precedente evasione e il mancato adempimento delle obbligazioni verso le vittime come elementi ostativi alla concessione del beneficio.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Liberazione Condizionale: Perché il “Sicuro Ravvedimento” è Fondamentale

La liberazione condizionale rappresenta un istituto cruciale nel diritto penitenziario, un ponte tra la detenzione e il pieno reinserimento sociale. Tuttavia, la sua concessione non è un automatismo legato al tempo di pena scontato, ma è subordinata a una valutazione complessa della personalità del condannato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza un principio cardine: per ottenere questo beneficio, non basta la buona condotta in carcere, ma è indispensabile la prova di un “sicuro ravvedimento”. Analizziamo la vicenda.

Il Caso in Esame: Ricorso contro il Diniego del Beneficio

Un detenuto, dopo aver scontato una parte significativa della sua pena, ha presentato istanza per ottenere la liberazione condizionale. Il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha respinto la richiesta, ritenendo che non fossero maturate le condizioni necessarie. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. A suo dire, il Tribunale non avrebbe adeguatamente valorizzato il comportamento tenuto durante l’esecuzione della pena, sintomo, a suo parere, di un avvenuto ravvedimento.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici di legittimità hanno innanzitutto chiarito che le censure sollevate dal ricorrente costituivano “mere doglianze in fatto”, ovvero contestazioni sulla valutazione del comportamento del detenuto, che non possono trovare spazio nel giudizio di Cassazione, il quale è limitato al controllo della corretta applicazione delle norme di diritto.

Inoltre, la Corte ha osservato che il ricorso non faceva altro che riproporre le stesse argomentazioni già adeguatamente esaminate e respinte nell’ordinanza impugnata.

Le Motivazioni: Oltre la Buona Condotta per la Liberazione Condizionale

Il cuore della pronuncia risiede nelle motivazioni che hanno portato al diniego del beneficio, ritenute dalla Cassazione logiche e ben argomentate. Il Tribunale di Sorveglianza aveva fondato la sua decisione su una serie di elementi concreti che andavano ben oltre la semplice osservazione della disciplina carceraria. In particolare, sono stati considerati:

1. La gravità dei reati commessi: Un punto di partenza ineludibile per valutare il percorso di redenzione.
2. L’assenza di elementi a conferma del sicuro ravvedimento: Il Tribunale ha sottolineato un episodio gravissimo del passato del detenuto, il quale, nel 2005, era evaso durante un permesso premio, per poi essere riarrestato all’estero. Questo evento è stato interpretato come un chiaro indicatore di inaffidabilità e di mancata adesione al percorso rieducativo.
3. Il mancato adempimento delle obbligazioni nascenti dai reati: La mancata attivazione per risarcire, anche solo in parte, le vittime dei propri crimini è stata vista come un’assenza di concreta attenzione e pentimento verso le conseguenze delle proprie azioni delittuose.

Il giudice di merito ha concluso, con una motivazione ritenuta ineccepibile dalla Cassazione, che mancava la prova di un “effettivo ed irreversibile cambiamento”. Questo cambiamento, per essere tale, deve manifestarsi attraverso una “totale reiezione del proprio passato criminoso” e un “profondo e sincero pentimento”. Tali sentimenti devono essere dimostrati non a parole, ma con “comportamenti rigorosamente coerenti” e con la “dovuta attenzione alla necessità di lenire le conseguenze materiali e morali” delle proprie condotte nei confronti delle vittime.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale in materia di esecuzione della pena. La liberazione condizionale non è un diritto che scatta automaticamente dopo aver scontato una certa quantità di pena, né può essere ottenuta semplicemente mantenendo una buona condotta. È il risultato di un giudizio prognostico complesso, che richiede al giudice di guardare in profondità nella coscienza del condannato. La decisione insegna che il ravvedimento deve essere “sicuro”, ovvero provato da elementi concreti, univoci e positivi che dimostrino un reale e irreversibile distacco dal passato criminale. Il percorso verso la libertà passa non solo attraverso l’espiazione, ma anche attraverso una sincera e fattiva riconciliazione con la società e con le vittime.

La buona condotta durante la detenzione è sufficiente per ottenere la liberazione condizionale?
No, secondo l’ordinanza, la buona condotta non è sufficiente. È necessario dimostrare un “sicuro ravvedimento”, ovvero un cambiamento interiore effettivo e irreversibile, una totale reiezione del passato criminale e un sincero pentimento.

Quali elementi ha considerato il tribunale per negare la liberazione condizionale in questo caso?
Il tribunale ha considerato la gravità dei reati commessi, una precedente evasione durante un permesso premio, il mancato adempimento delle obbligazioni verso le vittime e l’assenza di elementi che confermassero un reale e profondo pentimento.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché le censure del ricorrente erano “mere doglianze in fatto”, ovvero contestazioni sulla valutazione dei fatti, che non sono ammesse in sede di legittimità. Inoltre, il ricorso riproduceva argomenti già correttamente esaminati e respinti dal tribunale di sorveglianza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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