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Liberazione condizionale: no senza ravvedimento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11566/2024, ha respinto il ricorso di un condannato a cui erano state negate la liberazione condizionale e l’affidamento in prova. La Corte ha confermato che, per accedere a tali benefici, non basta l’assenza di elementi negativi, ma è necessaria una prova concreta di reale pentimento (resipiscenza). Il mancato risarcimento del danno alle vittime, anche solo in forma simbolica, e l’assenza di un sincero riconoscimento delle proprie responsabilità sono stati considerati indicatori decisivi della mancanza di un’effettiva revisione critica del proprio passato criminale, giustificando così il diniego delle misure alternative.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Liberazione condizionale: la Cassazione ribadisce che senza pentimento e risarcimento non c’è beneficio

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema della liberazione condizionale e dell’affidamento in prova, stabilendo criteri rigorosi per la loro concessione. La decisione sottolinea come un percorso di revisione critica del proprio passato e il risarcimento, anche simbolico, alle vittime siano elementi imprescindibili per dimostrare un reale cambiamento, andando oltre la semplice buona condotta durante la detenzione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un uomo, con numerosi precedenti penali e attualmente in regime di detenzione domiciliare, che aveva presentato istanza al Tribunale di sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale e la liberazione condizionale. Il Tribunale aveva respinto entrambe le richieste, motivando la decisione con la mancanza di una “reale resipiscenza” da parte del condannato. Secondo i giudici, a fronte di una lunga storia criminale, l’uomo non aveva mai compiuto alcun gesto, neppure simbolico, per risarcire le persone offese dai suoi reati, né aveva dimostrato un sincero pentimento e un’autentica assunzione di responsabilità per le proprie azioni.

Il Ricorso in Cassazione

Contro la decisione del Tribunale di sorveglianza, il condannato ha proposto ricorso per cassazione. La difesa ha sostenuto che i giudici di merito non avrebbero valutato adeguatamente il proficuo percorso trattamentale intrapreso. Inoltre, ha giustificato il mancato risarcimento del danno con le precarie condizioni economiche del suo assistito e con la difficoltà oggettiva di rintracciare le vittime, dato che i reati erano stati commessi molti anni prima. Il ricorso lamentava, quindi, una violazione di legge e un vizio di motivazione.

La Valutazione della Corte sulla Liberazione Condizionale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, cogliendo l’occasione per ribadire i principi fondamentali che regolano la concessione delle misure alternative alla detenzione.

I giudici hanno chiarito che:
1. Per l’affidamento in prova, l’elemento centrale di valutazione è l’evoluzione della personalità del condannato in una prospettiva di effettivo reinserimento sociale.
2. Per la liberazione condizionale, un ruolo cruciale è svolto dall’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato. Questo non è visto tanto come un modo per eliminare il danno materiale, quanto come una prova tangibile della serietà della revisione critica del condannato rispetto alle sue scelte criminali passate.

La giurisprudenza costante, richiamata nella sentenza, conferma che un giudizio prognostico negativo è giustificato quando, di fronte a una propensione a delinquere, manca un completato processo di revisione critica. Per ottenere i benefici, non basta l’assenza di nuove infrazioni, ma occorrono elementi positivi che dimostrino un esito favorevole del percorso rieducativo e prevengano il rischio di recidiva.

Le motivazioni della Decisione

Nel caso specifico, la Suprema Corte ha ritenuto che la motivazione del Tribunale di sorveglianza fosse adeguata, logica e priva di contraddizioni. Il Tribunale aveva correttamente evidenziato l’assenza di un serio processo di revisione critica, basandosi su due elementi oggettivi: il mancato riconoscimento delle proprie responsabilità e la totale assenza di qualsiasi forma di risarcimento in favore delle numerose vittime.

La Cassazione ha concluso che questi elementi, valutati nel loro insieme, dimostravano l’insussistenza delle condizioni necessarie per la concessione sia della misura più ampia (l’affidamento), sia della liberazione condizionale, che richiede una prova di “sicuro ravvedimento”. Le argomentazioni del ricorrente sono state liquidate come un tentativo, non consentito in sede di legittimità, di ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti già correttamente esaminati dal giudice di merito.

Le conclusioni

In conclusione, il ricorso è stato respinto e il proponente condannato al pagamento delle spese processuali. La sentenza rappresenta un’importante conferma del rigore con cui deve essere valutata la concessione delle misure alternative. Non è sufficiente una condotta formalmente corretta o la semplice dichiarazione di aver cambiato vita. Per accedere a benefici come la liberazione condizionale, è indispensabile dimostrare con fatti concreti un profondo e sincero cambiamento interiore. Il risarcimento del danno alle vittime, anche in misura parziale o simbolica, e l’assunzione di responsabilità sono le prove più evidenti di questo avvenuto cambiamento.

La buona condotta durante la detenzione è sufficiente per ottenere la liberazione condizionale?
No. Secondo la Corte, la buona condotta non basta. Sono necessari elementi positivi che dimostrino un’effettiva evoluzione della personalità e un serio processo di revisione critica del proprio passato criminale.

Il mancato risarcimento del danno alle vittime impedisce sempre la concessione dei benefici penitenziari?
Il mancato risarcimento è un elemento di forte peso negativo. La sentenza lo considera una prova cruciale della serietà del pentimento. La sua assenza, se non dovuta a un’impossibilità oggettiva e assoluta di adempiere, è un indicatore che gioca a sfavore della concessione dei benefici.

Cosa si intende per “reale resipiscenza”?
Si intende un sincero e concreto pentimento, che va oltre le semplici parole. Deve manifestarsi attraverso azioni tangibili che dimostrino il riconoscimento delle proprie responsabilità e la comprensione della gravità dei reati commessi, come il tentativo di risarcire le vittime e di riparare, per quanto possibile, al danno causato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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