Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5045 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5045 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nata a Avola il 12/10/1953;
avverso la ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma del 04/10/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto la richiesta di liberazione condizionale avanzata nell’interesse di NOME COGNOME detenuta in espiazione della pena dell’ergastolo per omicidio, associazione di stampo mafioso ed altro.
In particolare, il Tribunale – dopo avere rilevato l’ammissibilità della istanza in forza della precedente ordinanza in data 13 maggio 2016, con la quale era stata accertata la impossibilità della collaborazione nei confronti della detenuta ai sensi dell’art. 58-ter Ord. pen. – ha osservato che, a prescindere dal mancato adempimento delle obbligazioni civili nascenti dal reato e dalla omessa allegazione di specifici elementi a conferma della impossibilità di tale adempimento, allo stato non vi sono elementi per potere ritenere sussistente il sicuro ravvedimento, in considerazione del ruolo non secondario rivestito dalla Costa nelle vicende conclusesi con la sua condanna e della sua tendenza, nei colloqui con gli operatori, ad attribuire tutte le responsabilità al marito (capo di un clan mafioso) che l’aveva coinvolta nei fatti in questione.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico ed articolato motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att cod. proc. pen., insistendo per l’annullamento del provvedimento impugnato.
La ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione rispetto alla ritenuta insussistenza del sicuro ravvedimento; a suo dire, il Tribunale di sorveglianza è giunto a tale conclusione sulla base di una personale interpretazione del ravvedimento rispetto ai reati oggetto della condanna in espiazione e senza la valutazione degli ulteriori elementi indicati dalla giurisprudenza ai fini del complessivo giudizio sulla sua sussistenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Come noto l’art. 176 cod. pen. prevede, al primo comma, che il condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un
comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, può essere ammesso alla liberazione condizionale, la cui concessione è tuttavia, subordinata, secondo quanto indicato al quarto comma, all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle. In proposito, la giurisprudenza di legittimità ritiene, da un canto, che «la nozione di ravvedimento comprende il complesso dei comportamenti tenuti ed esteriorizzati dal soggetto durante il tempo dell’esecuzione della pena, obiettivamente idonei a dimostrare, anche sulla base del progressivo percorso trattamentale di rieducazione e recupero, la convinta revisione critica delle pregresse scelte criminali ed a formulare – in termini di certezza ovvero di elevata e qualifica probabilità confinante con la certezza – un serio, affidabile e ragionevole giudizio prognostico di pragmatica conformazione della futura condotta di vita del condannato all’osservanza delle leggi in precedenza violate» (Sez. 1, n. 19818 del 23/03/2021, Vallanzasca, Rv. 281366 – 02; Sez. 1, n. 34946 del 17/07/2012, Somma, Rv. 253183 – 01). La giurisprudenza di questa Corte di cassazione ha chiarito che il presupposto del “sicuro ravvedimento” non consiste semplicemente nella ordinaria buona condotta del condannato, necessaria per fruire dei benefici previsti dall’ordinamento penitenziario, ma implica comportamenti positivi da cui poter desumere l’abbandono delle scelte criminali, e tra i quali assume particolare significato la fattiva volontà del reo di eliminare o di attenuare le conseguenze dannose del reato (Sez. 1, n. 486 del 25/09/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265471 – 01), concretizzata, in caso di indisponibilità di sufficienti risorse economiche, da «atti e comportamenti di concreta apertura e disponibilità relazionale verso i parenti delle vittime dei gravi delitti commessi» (in questo senso, in specie, Sez. 1, n. 45042 del 11/07/2014, COGNOME, Rv. 261269 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ritiene il Collegio che, nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza di Roma si sia conformato ai richiamati e condivisi canoni ermeneutici.
La motivazione (adeguata e non contraddittoria) dell’ordinanza impugnata poggia, tra l’altro, sul postulato che la Costa – pur avendo serbato regolare condotta in carcere – non ha ancora portato a compimento un serio processo di revisione critica rispetto ai gravi reati per i quali è stata condannata irrevocabilmente, come emerge dalle risultanze dell’osservazione della
personalità che ha evidenziato, sulla base del racconto della stessa detenuta, era stato il marito a coinvolgerla nei fatti per i quali è stata accertata responsabilità, mentre il Tribunale di sorveglianza ha osservato che – dalla lett della sentenza di condanna – emerge che la odierna ricorrente non rivestiva un ruolo secondario, che aveva agito di propria iniziativa anche dopo l’arresto d coniuge a conferma del suo coinvolgimento, in prima persona, nei fatti oggetto del processo.
Tanto ha indotto il Tribunale di sorveglianza, in modo non manifestamente illogico, a ritenere – al di là della assenza della prova della impossibil provvedere all’adempimento delle obbligazioni civili – che l’odierna ricorrent non possa dirsi soggetto sicuramente ravvedutosi ed a concludere – con carattere assorbente rispetto alle censure mosse con il ricorso – nel senso dell’impossibil di escludere, alla luce dell’evoluzione ancora incompleta della personalità del condannata, il suo sicuro ravvedimento.
A fronte di un ragionamento esente da vizi logici, aderente al quadro normativo, alle coordinate interpretative delineate dalla giurisprudenza d legittimità ed ai risultati dell’osservazione in carcere, la ricorrente fra obiezioni del tutto inidonee ad evidenziare il dedotto vizio motivazionale sollecita a questa Corte una non consentita lettura alternativa degli elemen processuali, rispetto a quella coerentemente effettuata dal giudice a quo.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2025.