Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43833 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43833 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a COSENZA il 24/02/1965
avverso l’ordinanza del 09/05/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto respingersi il ricorso, con le statuizioni conseguenti;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, emessa il 9 maggio 2024, il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro ha rigettato l’istanza di concessione della liberazione condizionale proposta da NOME COGNOME, ristretto nella Casa circondariale di Cosenza, in espiazione della pena dell’ergastolo, per i delitti di omicidio ed estorsione.
A ragione del provvedimento il Tribunale – dopo aver dato atto che la detenzione di COGNOME dura da oltre trenta anni, che il ristretto ha sempre ottenuto la liberazione anticipata, è stato destinatario di licenze, ha ottenuto la remissione del debito, non ha pretese risarcitorie da soddisfare, nulla intendendo ricevere gli eredi della vittima, lavora, ha una relazione stabile more uxorio, non ha carichi pendenti – ha ritenuto che tuttavia non risulta ancora conseguito il requisito del sicuro ravvedimento necessario per l’ottenimento della liberazione condizionale.
Avverso l’ordinanza è stato proposto ricorso dal difensore di COGNOME che ne ha chiesto l’annullamento sulla scorta di un unico, articolato motivo, con cui lamenta la manifesta illogicità della motivazione.
Il Tribunale di sorveglianza, secondo la difesa, non ha compiuto una valutazione conforme a logica del percorso compiuto da COGNOME, ristretto più di trent’anni per espiare la pena irrogatagli in relazione a un delitto estraneo alla sfera della criminalità organizzata, in semilibertà da dodici anni, in grado di trascorrere l’intero periodo della pandemia RAGIONE_SOCIALE, durato tre anni, nella propria abitazione a seguito dell’ottenimento di licenze straordinarie: nonostante tale percorso, è stata nuovamente rigettata l’istanza tesa all’ottenimento della liberazione condizionale adducendo un episodio che, sotto il profilo giudiziario, era stato definito per la remissione tacita della querela da parte del soggetto che aveva addotto di aver subìto una minaccia, fatto sempre negato da COGNOME; il fatto, singolare, di annettere rilievo al suddetto comportamento, pur in mancanza di alcun accertamento giudiziario della sua effettività, penalizza ingiustamente il condannato, il quale, dal canto suo si è attivato in ogni modo nel percorso rieducativo, anche svolgendo attività di volontariato presso l’associazione “Terra di Piero”, non citata nella relazione proveniente dalla della Casa circondariale; gli elementi positivi emersi, pertanto, non avrebbero potuto essere vanificati da un fatto mai dimostrato.
La difesa segnala altresì la mancata considerazione dell’affidabile situazione familiare di cui gode COGNOME al pari delle gravi problematiche di salute, segnalate in camera di consiglio, insorte in persona del condannato.
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In tale direzione si sostiene che il suo ravvedimento risultava dimostrato da gesti concreti e univoci, tali da essere messi in crisi da un dato incerto e ipoteticamente frutto di un errore o di acrimonia in danno del condannato. D’altra parte, vista la pena dell’ergastolo che COGNOME si trova a espiare la concessione della liberazione condizionale avrebbe dovuto essere accompagnata dalla libertà vigilata, costituente una sorta di prova in libertà, per favorire graduale reinserimento del soggetto nella società, sicché il percorso susseguente sarebbe stato comunque garantito.
Né, secondo la difesa, avrebbe dovuto annettersi rilievo ostativo alla relazione di sintesi, generata da un approccio superficiale con lo psicologo che l’aveva redatta, senza avere alcuna contezza del percorso effettuato dal detenuto e della sua partecipazione alla vita intramuraria e a quella extramuraria.
Il Procuratore generale ha chiesto respingersi il ricorso, stante l’adeguatezza della motivazione resa dal Tribunale di sorveglianza, con riferimento al valore da annettere alla vicenda minatoria raccontata dalle dichiarazioni di COGNOME, sia alla ritenuta necessità che COGNOME acquisisca una maggiore consapevolezza del reato commesso, argomento non ineludibile con l’addotta superficialità dell’approccio dello psicologo, sicché la valutazione della mancata prova del sicuro ravvedimento del condannato non è censurabile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte ritiene che il ricorso non sia fondato e vada quindi rigettato.
Giova puntualizzare, così completando il riferimento operato in parte narrativa, il ragionamento esposto nell’ordinanza impugnata.
Si è da parte del Tribunale di sorveglianza precisato che, da un lato, COGNOME è considerato ancora elemento pericoloso, in relazione al delitto efferato compiuto nel 1994 e, dall’altro, nel corso del lavoro fuori dal carcere svolto in virtù dell’ottenimento della semilibertà dal 2012 alle dipendenze della cooperativa RAGIONE_SOCIALE, operante in Cosenza per la raccolta dei rifiuti, il condannato era stato deferito da personale della Questura di Cosenza il 18 febbraio 2020 per il grave comportamento minatorio tenuto ai danni di NOME COGNOME che lo aveva denunciato e riconosciuto, secondo le dettagliate notazioni in atti.
Inoltre, si è rilevato che, nella relazione di sintesi, aggiornata al 29 april 2024, è stato evidenziato che il condannato ha tuttora reso una versione dei fatti per i quali aveva subìto la condanna semplicistica e senza connessioni emotive nei confronti della vittima, essendosi pertanto segnalata la necessità di fornire al
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detenuto un ausilio finalizzato a fargli acquisire la necessaria, maggiore consapevolezza del reato la cui pena è in corso di espiazione.
Da tale quadro i giudici di sorveglianza hanno tratto la valutazione che il requisito del sicuro ravvedimento di COGNOME non sia risultato, allo stato, adeguatamente dimostrato, dovendo al riguardo raggiungersi la certezza, ovvero l’elevata e qualificata probabilità confinante con la certezza, di un serio, affidabile e ragionevole giudizio prognostico della conformazione della futura condotta del condannato ai riferimenti ordinamentali e sociali con i quali egli era entrato in conflitto: le condotte messe in essere dall’istante in epoca recente nel corso della semilibertà, invece, sono state ritenute espressione di uno stile di vita ancora ispirato alla sopraffazione e al disprezzo dei consociati, in guisa tale da escludere la possibilità di formulare la valutazione di sussistenza del sicuro ravvedimento, in sostanziale consonanza con la sua persistente incapacità di rielaborare in modo sofferto, ma liberatorio, la narrazione della vicenda delittuosa di cui il condannato era stato autore, così da impedire la prognosi di cessazione della sua pericolosità sociale.
Non è superfluo aggiungere che, come lo stesso ricorrente ha ricordato, in tempo recente la medesima istanza formulata da COGNOME aveva sortito eguale esito negativo, come si rileva dall’esame della precedente sentenza di legittimità, prodotta dalla difesa (Sez. 1, n. 17543 del 24/02/2023), il cui esito ha determinato il consolidarsi del rigetto della pregressa istanza di COGNOME sulla base dello scrutinio a lui non favorevole delle questioni poi riproposte in questo procedimento.
In particolare, si era osservato che il Tribunale di sorveglianza, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, aveva ritenuto assente un sufficiente tasso di buona condotta del detenuto, in considerazione dell’episodio sopra riferito, con riguardo al quale era stato annesso coerente rilievo al fatto che la persona offesa aveva immediatamente riconosciuto, negli stessi uffici della Questura di Cosenza, NOME COGNOME come uno degli autori delle minacce aggravate commesse ai suoi danni, senza che la sentenza del Giudice di pace che aveva delibato l’episodio e aveva avuto un esito liberatorio di carattere processuale (per la remissione della querela) fosse tale da incidere sulla valutazione operata dal Tribunale di sorveglianza in merito all’effettività e alla consistenza della corrispondente condotta deviante ascritta al condannato nel corso della fruizione della semilibertà.
Appare del tutto conseguente osservare che, sull’argomento, in carenza di concreti elementi di novità, COGNOME non poteva sollecitare una rivalutazione del medesimo fatto e delle conseguenze allo stesso riconnesse.
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4. La liberazione condizionale, istituto tradizionalmente finalizzato ad attribuire al condannato detenuto la possibilità di ottenere la scarcerazione prima del termine finale della pena, dopo l’entrata in vigore della legge 26 luglio 1975, n. 354, che ha sistematizzato l’ordinamento penitenziario, è stata affiancata da ulteriori istituti volti a favorire l’espiazione di una parte della pena in condizion almeno parzialmente, extramuraria.
Peraltro, resta il dato essenziale che la liberazione condizionale non può considerarsi parificabile a uno degli istituti che contemplano le modalità alternative di espiazione della pena, tendenzialmente volte al reinserimento sociale: rimane fondamentale per l’ammissione alla liberazione condizionale il requisito del sicuro ravvedimento del condannato, desumibile dal comportamento tenuto durante il tempo di esecuzione della pena.
4.1. Il ravvedimento identifica un requisito di difficile verifica, essendo esso legato anche alla sfera interiore del soggetto condannato, afferendo esso al riscatto morale del condannato, e deve essere evidenziato da una valutazione globale della personalità che consideri tutti gli atti o le manifestazioni d condotta, di contenuto materiale e morale, suscettibili di assumere una sicura valenza sintomatica.
Occorre, al riguardo, individuare comportamenti attivi, di pronta e costante adesione alle regole, contegni di consapevole rispetto verso gli operatori penitenziari, azioni riparatrici verso le vittime dei reati, sincero interessamento verso le suddette vittime, atti di sollecitudine verso la sorte delle persone offese (per attenuare i danni e alleviarne il dolore, nonché per chiedere loro solidarietà umana: aspetto peculiare che non va sovrapposto necessariamente a quello dell’eventuale risarcimento dei danni).
In questa prospettiva, alla stregua dell’elaborazione ermeneutica qui condivisa, il giudizio prognostico di avvenuto ravvedimento deve essere formulato in relazione alla verifica del completo percorso trattamentale di risocializzazione e recupero del condannato, tale da sorreggere la previsione, in termini di certezza, della sua conformazione al quadro ordinamentale e sociale a in precedenza violato (Sez. 5, n. 1331 del 10/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279041 – 01; Sez. 1, n. 486 del 25/09/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265471 01; Sez. 1, n. 45042 del 11/07/2014, COGNOME, Rv. 261269-01; Sez. 1, n. 34946 del 17/07/2012, Somma, Rv. 253183 – 01).
Va, in tale direzione, verificata la sussistenza di un effettivo e irreversibil cambiamento, da dimostrarsi con comportamenti concreti non disgiunti dall’attenzione alla necessità di lenire le conseguenze materiali e morali delle condotte delittuose nei confronti delle vittime. Il sicuro ravvedimento, quindi,
non si esaurisce nella mera ordinaria buona condotta del condannato, necessaria per fruire dei benefici previsti dall’ordinamento penitenziario, ma implica comportamenti positivi dai quali sia dato desumere il certo abbandono da parte del medesimo delle scelte devianti, comportamenti tra cui assume rilievo la volontà di eliminare o di attenuare le conseguenze dannose del reato, quale espressione della profondità della revisione critica maturata dal condannato (Sez. 1, n. 12782 del 24/02/2021, COGNOME, Rv. 280864 – 01).
4.2. Nella valutazione del percorso trattamentale, i giudici di sorveglianza devono tener conto delle relazioni provenienti dagli organi deputati all’osservazione del condannato, sebbene non siano meccanicisticamente vincolati ai giudizi espressi nelle stesse, spettando pur sempre ai giudici stessi, senza non consentiti automatismi, la definitiva ponderazione relativa alla pregnanza e concludenza del percorso di revisione critica del condannato.
Nel medesimo senso, il titolo e la gravità dei reati – fattori non ostativi al concessione della stessa, ove ne ricorrano i presupposti stabiliti dalla legge costituiscono il punto di partenza da cui occorre muovere per la complessiva valutazione della personalità del condannato, al fine di accertarne il ravvedimento, che deve essere sicuro, per modo che si impone l’analisi del comportamento tenuto dal condannato durante l’espiazione della pena che tenga conto anche della pericolosità sociale palesata dal medesimo; resta, quindi, fermo che la gravità del reato e la capacità a delinquere estrinsecata con la sua commissione assumono rilevanza esclusivamente come dato iniziale mentre poi la ponderazione omnicomprensiva deve riguardare il complessivo comportamento serbato dal condannato durante il tempo dell’esecuzione della pena (Sez. 1, n. 23639 del 28/04/2005, COGNOME, Rv. 231804 – 01).
4.3. Alla stregua di queste considerazioni, si deve, conclusivamente sul punto, affermare che il concetto di ravvedimento rilevante ai fini della concessione della liberazione condizionale, ai sensi dell’art. 176 cod. pen., deve riflettere la valutazione del complesso dei comportamenti concretamente tenuti ed esteriorizzati dal condannato durante il tempo dell’esecuzione della pena, tali che risultino obiettivamente idonei a dimostrare, anche sulla base del suo progressivo percorso trattamentale di rieducazione e di recupero, la convinta revisione critica da parte sua delle pregresse scelte, di guisa che debba formularsi, in termini di certezza o di elevata e qualificata probabilità, confinante con la certezza, un serio, affidabile e ragionevole giudizio prognostico della pragmatica conformazione della sua futura condotta di vita all’osservanza della legge penale in precedenza violata (Sez. 1, n. 19818 del 23/03/2021, Vallanzasca, Rv. 281366 – 02; Sez. 1, n. 34946 del 17/07/2012,,Somma, Rv. 253183 – 01).
Al riguardo, va opportunamente puntualizzato che il grado di certezza (concetto da declinarsi nell’articolato senso testé specificato) dell’intervenuto ravvedimento del condannato detenuto richiesto dalla legge con riferimento alla liberazione condizionale è più accentuato di quello occorrente per la concessione di diversi benefici previsti da altre norme richiamanti il concetto di ravvedimento (in particolare, dall’art. 16-nonies d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito con modificazioni dalla legge 15 marzo 1991, n. 82).
Per il diverso ambito ora citato, rilevano gli elementi che valgono a dimostrarne in positivo, anche in termini di mera, ragionevole probabilità, la sussistenza (v. anche Sez. 1, n. 43256 del 22/05/2018, Sarno, Rv. 274517 01). Viceversa, per la concessione della liberazione condizionale, occorre il riscontro del “sicuro” ravvedimento, che sia verificato in termini di certezza (nel senso dianzi sottolineato): è per tale ragione che, in questo secondo ambito, il giudizio prognostico di ravvedimento deve essere formulato sulla base del progressivo percorso trattamentale di rieducazione e recupero idoneo a garantire l’affidabilità della previsione dell’assodata conformazione del soggetto al quadro ordinamentale e sociale a suo tempo violato.
Nella cornice così tratteggiata, le critiche mosse al Tribunale per non aver riscontrato il presupposto del sicuro ravvedimento non riescono a destrutturare la complessiva valutazione espressa nell’ordinanza impugnata.
In primo luogo, quanto al versante del comportamento minatorio tenuto da COGNOME ai danni di NOME COGNOME, comportamento accertato come effettivamente serbato dal condannato in semilibertà, indipendentemente dalla definizione in rito della corrispondente vicenda processuale, non può che prendersi atto della sua già valutata valenza negativa, come assodata dal precedente provvedimento del Tribunale di sorveglianza: provvedimento che come si è visto – ha resistito anche al controllo giurisdizionale di legittimità.
Per quanto riguarda il corrispondente rilievo, il ricorrente, pur avendo rispettato, con la riproposizione dell’istanza, il termine fissato dall’art. 6 comma 2, cod. proc. pen., ha finito per reiterare argomenti già vagliati, senza tuttavia introdurre elementi di novità idonei alla rivalutazione motivata di quegli argomenti da parte dei giudici di sorveglianza.
In secondo luogo, non può reputarsi fondata la proposta di elidere ogni valenza ostativa al contenuto non favorevole della relazione di sintesi aggiornata.
La prospettazione si è risolta in una sollecitazione a rivalutare i dati analizzati sul punto dal Tribunale.
La difesa ha articolato una censura basata sulla gratuita dequotazione da parte dello psicologo che aveva svolto il colloquio con il detenuto e aveva fornito
le corrispondenti indicazioni per la redazione della relazione stessa: ascrivere all’approccio del professionista con il condannato detenuto – approccio stigmatizzato come superficiale senza dimostrato aggancio con l’articolazione dell’attività considerata, l’esito non positivo delle considerazioni rese dagli esperti dell’Amministrazione penitenziaria, senza affrontare il nodo (evidenziato dal Tribunale) della persistenza dell’inadeguata revisione critica, a cagione dell’emersa incapacità di una rielaborazione vera, e come tale sofferta, da parte di COGNOME della condotta criminosa che lo aveva determinato al gravissimo reato la cui pena è in espiazione – ha concretato una deduzione difensiva priva di fondamento.
In definitiva, la complessiva doglianza sviluppata dal ricorrente – se appare nutrita dall’intuibile disappunto del medesimo, il quale aspira al conseguimento del beneficio più importante costituito dalla liberazione condizionale dopo l’espiazione di una lunga frazione della pena inflittagli – non ha offerto, però, argomenti critici dirimenti per contrastare la valutazione, esposta dal Tribunale di sorveglianza con motivazione conforme agli indicati principi, oltre che congrua e non illogica, della persistente carenza dell’adeguata certezza circa la sussistenza del requisito del suo sicuro ravvedimento.
Il ricorso è, pertanto, da rigettarsi: statuizione a cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25 settembre 2024
Il Consig ere estensore
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Il Presidèa