Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 14327 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 14327 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/04/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
La difesa, AVV_NOTAIO, ha fatto pervenire in data 30 ottobre 2023, a mezzo p.e.c., memoria di replica alla requisitoria, ulteriormente argomentando i motivi principali, nonché conclusioni chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato la richiesta di concessione della liberazione condizionale, proposta nell’interesse di NOME COGNOME, collaboratore di giustizia ammesso alla detenzione domiciliare in relazione alla pena in esecuzione con decorrenza dal 19 ottobre 2004, di cui al provvedimento di determinazione di pene conc:orrenti emesso dal Pubblico ministero presso il Tribunale di Napoli, del 17 dicembre 2021.
2.Avverso detto provvedimento propone tempestivo ricorso il condannato per il tramite del difensore, AVV_NOTAIO, deducendo due vizi.
2.1.Con il primo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 176 cod. pen. e 16-nonies /egge n. 82 del 1991 come novellato dalla legge n. 45 del 2001, nonché vizio di motivazione per illogicità manifesta e contraddittorietà.
La motivazione sarebbe in contrasto con la normativa di riferimento, in quanto disattende la ratio della legge posto che ha assunto che i reati commessi da NOME erano gravi, che non vi è prova dell’effettivo ravvedimento per effetto del mancato risarcimento delle vittime 0E0, con necessità di un ulteriore periodo di osservazione.
Per il ricorrente, il Tribunale ha violato lo spirito della legge negando l’invocata misura senza tenere conto del lunghissimo periodo di detenzione sofferto, del periodo di collaborazione, adeguatamente effettuata, dell’avvenuto riconoscimento della liberazione anticipata e di permessi premio, della vigenza della misura alternativa della detenzione domiciliare, nonché dello svolgimento di regolare attività lavorativa.
La difesa sostiene che, a fronte di un eccellente percorso collaborativo per più di venti anni, permeato da resipiscenza e scrupolosa osservanza delle prescrizioni, comprovante l’effettivo rientro nel quadro sociale violato, il giudice ha ritenuto persistente il difetto di ravvedimento, basandolo soltanto sull’assenza di condotte riparatorie senza operare una necessaria valutazione globale indicata, invece, come necessaria dalla consolidata giurisprudenza di legittimità.
2.2.Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione.
La normativa speciale non richiede come requisito per la liberazione condizionale, quello del risarcimento o della riparazione del danno.
Il Tribunale, invece, rende conto del rispetto puntuale da parte del condannato di tutti gli obblighi e degli enormi progressi trattamentali acquisiti nel corso di decenni, ma ritiene che COGNOME non avrebbe dimostrato di aver abiurato a sufficienza rispetto al passato deviante, offrendo prova di ravvedimento attraverso appunto una condotta riparatrice nei confronti delle vittime del reato.
Il Tribunale sostiene, dopo ventitré anni di proficua collaborazione, la necessità di un ulteriore, non meglio specificato, periodo di osservazione così lasciando del tutto inesplorati tutti i decisivi elementi di valutazione afferenti al positive risultanze processuali.
Il condannato ha prestato ampia e qualificata collaborazione, come da parere della Procura nazionale antimafia, ha beneficiato di misure alternative in deroga sulla base dell’accertamento dell’inizio del percorso di ravvedimento da parte del giudice di sorveglianza.
Il provvedimento impugnato è indicato come contrastante con l’indirizzo della Corte di cassazione secondo il quale il giudice, nel valutare il sicuro ravvedimento dell’istante, deve tenere conto di più indici sistematici per l’ampiezza dell’arco temporale nel quale si è manifestato il rapporto collaborativo, i rapporti con i familiari e il personale giudiziario, lo svolgimento attività lavorativa di studio e sociale, successive alla collaborazione, mentre non può attribuire rilievo determinante alla sola assenza di iniziative risarcitorie nei confronti della vittima dei reati connessi (si richiamano Rv. n. 281360, n. 279321).
Non è possibile per la difesa concludere per il diniego della domanda richiamando la mancata riparazione del danno quale unico elemento di valutazione onde escludere l’avvenuto totale ravvedimento.
Peraltro, in sede di trattamento del collaboratore il giudice della cognizione ha riconosciuto, per più volte, la sussistenza del ravvedimento ammettendo il condannato ai permessi premio, alla liberazione anticipata, alla detenzione domiciliare risultando sufficiente accertare l’inizio di un percorso di ravvedimento.
Nella specie, non vi è soltanto l’inizio di tale percorso ma dopo ventisette anni di presofferto NOME ha ottenuto il riconoscimento di una condotta irreprensibile e partecipativa, avendo puntualmente rispettato gli obblighi connessi allo status attendendosi alle prescrizioni, fruendo di permessi premio.
Quanto alla prova della sussistenza dei requisiti normativi di riferimento z la norma speciale, non richiede la prova del completamento della revisione critica del passato deviante. È vero, invece, che il processo risocializzante deve essere proficuamente iniziato potendosi far fronte alla residua pericolosità con gli strumenti propri dell’ordinamento penitenziario, sicché è sufficiente all’inizio di un percorso di ravvedimento.
A ciò si aggiunga che il detenuto ormai è in regime domiciliare da molti anni, sicché si è progressivamente consolidato il percorso rieducativo.
Si richiama giurisprudenza di legittimità ricorrente COGNOME, n. 21817 del 7 luglio 2020, secondo la quale il mancato interessamento nei riguardi della vittima non è suscettibile di una limitazione preventiva. Ciò che occorre è, per la difesa,
una valutazione unitaria della personalità condannato che consente di verificare se c’è stata da parte di questo una revisione critica della sua vita passata, una reale aspirazione di riscatto morale.
Il diniego, quindi, appare ingiusto e contrario ai principi dettat all’ordinamento e dalle leggi speciali nonché in violazione dei precetti costituzionali sanciti dall’articolo 27, comma 3, Cost.
3.11 Sostituto Procuratore generale di questa Corte, COGNOME, ha chiesto con requisitoria scritta il rigetto del ricorso.
La difesa, AVV_NOTAIO, ha fatto pervenire in data 30 ottobre 2023, a mezzo p.e.c., memoria di replica alla requisitoria, ulteriormente argomentando i motivi principali, nonché ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso·
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
1.1.È opportuno premettere che la liberazione condizionale, introdotta nel nostro ordinamento quale strumento utile a contribuire alla gestione degli stabilimenti penitenziari, costituiva l’unica possibilità per il detenuto di ottene la scarcerazione prima del termine finale della pena; tuttavia, dopo l’entrata in vigore dell’Ordinamento penitenziario del 1975, la liberazione condizionale si affianca ai nuovi istituti in quanto strumento atto a determinare la prosecuzione della pena in un regime di libertà vigilata, che si contrappone comunque alla condizione di detenuto.
L’evoluzione giurisprudenziale di questa Corte, relativamente all’istituto, ha seguito un arco nel corso del quale, partendo da una concezione che non configurava la liberazione condizionale come misura alternal:iva (dal momento che essa muove dal presupposto indefettibile del sicuro ravvedimento del condannato) è, infine, approdato ad una sostanziale parificazione alle altre misure alternative, seppure essa sia connotata dal non essere un semplice modo alternativo di espiazione della pena tendenzialmente volto al reinserimento sociale.
Il fondamentale requisito previsto per l’ammissione alla liberazione condizionale è costituito dal “sicuro ravvedimento” del condannato, desumibile dal comportamento tenuto durante il tempo di esecuzione della pena.
1.2.È noto che il “ravvedimento” è un elemento di difficile verifica, essendo esso legato al mondo interiore del soggetto condannato.
In genere, si intende per ravvedimento un riscatto morale del condannato, colto da una valutazione globale della personalità che consideri tutti
gli atti o le manifestazioni di condotta, di contenuto materiale e morale, tali da assumere un valore sintomatico.
Occorre, cioè, individuare un comportamento attivo, cli pronta e costante adesione alle regole, un riguardoso e consapevole rispetto verso gli operatori penitenziari, un’azione riparatrice verso le vittime dei reati, un real interessamento verso dette vittime, una sollecitudine verso la sorte delle persone offese (ad esempio, per attenuare i danni e alleviarne il dolore, per chiedere loro solidarietà umana: aspetto peculiare che non va sovrapposto necessariamente con quello di un eventuale risarcimento dei danni).
Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, il giudizio prognostico di ravvedimento deve essere formulato sulla base di un completato percorso trattamentale di rieducazione e recupero, in grado di sostenere la previsione, in termini di certezza, di una conformazione al quadro ordinamentale e sociale a suo tempo violato (Sez. 5, n. :1.1331 del 10/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279041-01; Sez. 1, n. 486 del 25/09/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265471-01; Sez. 1, n. 45042 del 11/07/2014, COGNOME, Rv. 261269-01; Sez. 1, n. 34946 del 17/07/2012, Somma, Rv. 253183- 01).
Dunque, la nozione di “ravvedimento”, che rileva ai fini della concessione della liberazione condizionale, ai sensi dell”art. 176 cod. pen., comprende il complesso dei comportamenti concretamente tenuti ed esteriorizzati dal condannato, durante il tempo dell’esecuzione della pena, obiettivamente idonei a dimostrare, anche sulla base del progressivo percorso trattamentale di rieducazione e di recupero, la convinta revisione critica delle pregresse scelte e a formulare, in termini di certezza o di elevata e qualificata probabilità, confinante con la certezza, un serio, affidabile e ragionevole giudizio prognostico di pragmatica conformazione della futura condotta di vita all’osservanza della legge penale in precedenza violata.
1.3. Ancora si osserva che, nella valutazione del percorso trattamentale, il giudice di sorveglianza deve basarsi sulle relazioni provenienti dagli organi deputati all’osservazione del condannato, pur senza essere vincolato ai giudizi ivi espressi, competendo al medesimo giudice, al di fuori d’inammissibili automatismi, ogni definitiva valutazione circa la pregnanza e concludenza dell’operato processo di revisione critica.
In tale prospettiva, si osserva che titolo e gravità dei reati costituiscono il punto di partenza per la complessiva valutazione della personalità del condannato, al fine di accertarne il ravvedimento, che deve essere “sicuro”, sicché si impone una valutazione, rigorosa e penetrante, anche in relazione ovviamente all’allarme sociale connesso ai reati per i quali il condannato è in espiazione della relativa pena (Sez. 1, n. 1699 del 29/05/1.985, Ciampi, Rv. 169872-01).
Dunque, va verificata la sussistenza di un effettivo e irreversibile cambiamento, espresso tramite il profondo pentimento, da dimostrarsi con comportamenti non disgiunti dall’attenzione alla necessità di lenire le conseguenze materiali e morali delle condotte delittuose nei confronti delle vittime.
Il “sicuro ravvedimento”, quindi, non consiste nella mera ordinaria buona condotta del condannato, necessaria per fruire dei benefici previsti dall’ordinamento penitenziario, ma implica comportamenti positivi dai cui poter desumere l’abbandono delle scelte illegali, tra cui assume rilievo la volontà di eliminare o di attenuare le conseguenze dannose del reato. (Sez. 1, n. 486 del 25/09/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. cit.) quale espressione della serietà della revisione critica del condannato (Sez. 5, n. 11331 del 10/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. cit.) con la necessità che il giudice valuti, ai fini del giudizio ordine alla sussistenza o meno del requisito del ravvedimento, condotte dirette a rimuovere le conseguenze del reato (Sez. 1, n. 12782 del 24/02/2021, COGNOME, Rv. cit.).
1.4.Con riferimento ai collaboratori di giustizia si è osservato che la facoltà di ammetterli al beneficio, anche in deroga alle disposizioni vigenti, secondo parte della giurisprudenza di legittimità, riguarda solo le condizioni di ammissibilità, ma non si estende al requisito dell’emenda degli stessi e alle finalità di conseguire la loro stabile rieducazione (Sez. 1, n. 3312 del 14/01/2020, COGNOME, Rv. 277886 – 01; Sez. 1, n. 37330 del 26/09/2007, COGNOME, Rv. 237504 – 01).
Secondo detta impostazione, nonostante la specifica agevolazione prevista dalla legge, la concedibilità del beneficio, in relazione ai collaboratori d giustizia, non si sottrae al criterio della valutazione discrezionale da parte del giudice, che deve riguardare, al di là dell’indefettibile accertamento delle condizioni soggettive di ammissibilità, l’opportunità del trattamento alternativo che, come per ogni altra misura della stessa categoria, deve concernere le premesse meritorie e l’attingibilità concreta del beneficio, in relazione alla personalità del condannato: in altri termini, pur se la richiesta provenga da persona ammessa a speciale programma di protezione, la facoltà di ammettere al beneficio detti soggetti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, riguarda soltanto le limitazioni in tema di condizioni di ammissibilità, ma non si estende ai presupposti dell’emenda e alle finalità di conseguire la stabile rieducazione, i quali sono definiti in base agli stessi parametri utilizzati per i condannati non collaboranti.
Non va trascurato, a fronte di tale impostazione, l’indirizzo di legittimità, richiamato dal ricorrente anche nella memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale, secondo il quale, nella valutazione da compiere, in
relazione ai collaboratori di giustizia, non può assumere valore determinante la verifica della assenza di iniziative risarcitorie nei confronti della vittima.
Invero, secondo detto indirizzo, l’art. 16-nonies cit., nel prevedere che la liberazione condizionale possa essere riconosciuta al collaboratore anche in deroga alle vigenti disposizioni, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cu all’art. 176 cod. pen., si riferisce, non solo ai limiti di pena, espressamente richiamati, ma anche alla generale previsione di cui al comma quarto della citata disposizione, che subordina la concessione della liberazione condizionale (ordinaria) all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato (Sez. 1, n. 42357 del 11/09/2019, COGNOME, Rv. 277141; Sez. 1, n. 19854 del 22/06/2020, COGNOME, Rv. 279321 – 01, in motivazione).
In ogni caso, questa Corte afferma (tra le altre, Sez. 1, n. 17831 del 20/04/2021, Rv. 281360) che, ai fini della concessione della liberazione condizionale chiesta da un collaboratore di giustizia, ai sensi dell’art. art. 16nonies, d. I. 15 gennaio 1991, n. 8 il giudice, nel valutare il “sicuro ravvedimento” dell’istante, deve tener conto di indici sintomatici quali l’ampiezza dell’arco temporale nel quale si è manifestato il rapporto collaborativo, i rapporti con i familiari e il personale giudiziario, lo svolgimento di attività lavorativa, studio o sociali, successive alla collaborazione, non potendo assumere rilievo determinante la sola assenza di iniziative risarcitorie nei confronti delle vittime dei reati commessi.
Quindi, elementi sintomatici del percorso rieducativo che devono essere considerati, tra l’altro, è annoverato lo svolgimento di attività sociali, allo scop di accertare se sia stata compiuta la revisione critica della sua vita pregressa e sia giunta a maturazione la sua reale ispirazione al riscatto personale (Sez. 1, 9887 de1.01/02/2007, COGNOME, Rv. 235796; Sez. 1, n. 19854 del 22/06/2020, cit.; Sez. 1, n. 17831 del 20/04/2021, COGNOME, Rv. cit., in motivazione).
Per la giurisprudenza di legittimità riportata anche dalla difesa ricorrente, alla concessione di un beneficio al collaboratore di giustizia non osta, di per sé, il mancato adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, in quanto la decisione del giudice non può essere subordinata soltanto a tale adempimento. Nella valutazione della concedibilità della liberazione condizionale, in relazione al collaboratore di giustizia, pertanto, il mancato adempimento delle obbligazioni civili nascenti dal reato può essere preso in esame quale possibile dimostrazione di un ravvedimento non ancora sicuro e completo, ma non può essere ritenuto, di per sé, dato ostativo, diversamente da quanto è previsto per il beneficio da concedere ad un condannato non collaborante, secondo l’esplicito contenuto dell’art. 176, comma quarto, cod. pen. (in tale senso anche Sez. 1, n. 98152 del 15/02/2008, Rv. 239182-01).
Scrutinata alla luce di tali principi, l’ordinanza impugnata supera il controllo di legittimità, pur a fronte di una motivazione, in certi tra estremamente succinta.
Si osserva che il provvedimento reiettivo fa riferimento, non al mancato risarcimento delle vittime, ma alla riscontrata assenza di iniziative sociali anche di contenuto riparatorio rispetto alle sofferenze arrecate alle vittime dei gravi reati eseguiti, giustificazione che, peraltro, non rappresenta l’unica ratio decidendi.
Infatti, si richiama il contenuto di precedente ordinanza, resa dal Tribunale nel 2021, affermando che il quadro, già valutato in quella sede, non risulta modificato rispetto alle risultanze istruttorie che avevano condotto all’adozione di quel provvedimento, se non per l’allegata, generica, disponibilità manifestata da NOME e i suoi familiari ad accedere a iniziative risarcitorie.
Peraltro, si fa riferimento al parere negativo della RAGIONE_SOCIALE, già espresso nella precedente procedura, ma ribadito anche all’attualità, constatando, l’esistenza di un complessivo processo di revisione definito ancora acerbo e collegato alla mancanza di qualsiasi forma di recupero, anche sociale, nei confronti delle vittime.
L’ordinanza, in punto di diritto, poi, riprende precedenti di legittimità, che richiamano la centralità di comportamenti riparatori, anche solo socialmente, in favore delle vittime, quale espressione di totale ravvedimento, in quanto ispirati alla necessità di eliminare o attenuare le conseguenze derivanti dal reato, ribadendo che non è sufficiente, ai fini della liberazione condizionale, l’osservanza del programma di protezione e delle misure alternative in atto (cfr. penultima pagina del provvedimento impugnato) che pure si riconosce a COGNOME e che neppure può reputarsi sufficiente, per integrare il “sicuro ravvedimento”, la generica ed astratta manifestazione di disponibilità ad accedere ad iniziative risarcitorie, resa dal condannato, peraltro,, solo a ridosso dell’udienza di discussione.
Orbene, si tratta di motivazione che non contrasta nemmeno con l’indirizzo giurisprudenziale, richiamato anche nella memoria da ultimo depositata dal ricorrente, tenuto conto che, nel caso al vaglio, il Tribunale quanto al percorso di riabilitazione intrapreso, ad onta della durata del trattamento e dell’osservanza del programma di protezione, nonché dell’accesso a permessi premio e altri benefici da parte di NOME, fa riferimento all’assenza di condotte riparative, anche dal punto di vista sociale, al contenuto di precedente provvedimento, nonché al parere negativo, espresso dalla RAGIONE_SOCIALE all’attualità, atti questi ultimi, non attinti, specificamente, da censure.
Sicché non risulta negato il beneficio soltanto sulla base della mancanza di attività risarcitoria, di per sé, ritenuta dalla giurisprudenza di legittimità,
sufficiente a giustificare l’accesso alla liberazione condizionale da parte del collaboratore di giustizia.
Infine, è appena il caso di osservare che anche l’individuazione di un ulteriore periodo di osservazione, indicato come necessario, è operazione che risulta in linea con il pacifico insegnamento di questa Corte di legittimità in tema di gradualità e prudenza, profili che governano l’ammissione ai benefici penitenziari, richiamati anche dalla difesa nella memoria difensiva da ultimo depositata (in termini, sostanzialmente, Sez. 1, n. 23343 del 23/03/2017, Rv. 270016).
Tanto in considerazione, proporzionalmente, dell’estrema gravità delle condotte illecite poste in essere, per le quali NOME ha riportato la condanna alla pena in esecuzione di cui rende conto il Tribunale, sia pure molto succintamente, nella parte finale della motivazione dell’ordinanza censurata.
3.Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14 novembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente