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Liberazione condizionale collaboratori: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha annullato il diniego di liberazione condizionale a un collaboratore di giustizia. La Suprema Corte ha stabilito che la valutazione del ‘sicuro ravvedimento’, necessaria per la concessione della liberazione condizionale collaboratori, non può basarsi solo sulla gravità dei reati e sull’assenza di risarcimento del danno, ma deve considerare l’intero percorso del soggetto, inclusa la durata e la proficuità della collaborazione, come previsto dalla normativa speciale.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Liberazione Condizionale Collaboratori: La Cassazione detta i criteri di valutazione

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 34655/2025, offre un’importante chiave di lettura sui criteri per la concessione della liberazione condizionale collaboratori di giustizia. La Suprema Corte ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che aveva negato il beneficio, sottolineando come la valutazione del ‘sicuro ravvedimento’ debba seguire parametri specifici, diversi da quelli ordinari, valorizzando l’intero percorso di collaborazione e risocializzazione del condannato.

I Fatti del Caso

Un uomo, condannato a una pena di diciannove anni per reati gravi legati al traffico di stupefacenti e criminalità organizzata, presentava istanza per la concessione della liberazione condizionale. Il soggetto, sottoposto a programma di protezione e già ammesso alla detenzione domiciliare, aveva interrotto ogni legame con il suo passato criminale, mantenendo una condotta irreprensibile e fornendo per oltre dieci anni un notevole contributo informativo alle autorità, come confermato anche dal parere favorevole della Direzione Distrettuale Antimafia (D.D.A.) e dalle informative positive della Polizia di Stato.

La Decisione del Tribunale di Sorveglianza

Nonostante il parere favorevole della D.D.A. e la condotta positiva, il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava l’istanza. La motivazione si fondava principalmente su due punti: la gravità dei reati commessi e la lunga pena ancora da scontare. Secondo il Tribunale, il ravvedimento non poteva considerarsi ‘compiutamente avvenuto’ poiché il condannato, al di là del rispetto delle regole, non aveva intrapreso alcuna attività di volontariato né tentato di riparare il danno provocato. In sostanza, la buona condotta da sola non era stata ritenuta sufficiente a dimostrare un reale cambiamento dello stile di vita.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa del condannato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando la violazione di legge e il vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, il Tribunale di Sorveglianza aveva erroneamente applicato i criteri generali dell’art. 176 cod. pen., senza considerare adeguatamente la disciplina speciale prevista dall’art. 16-nonies del D.L. n. 8/1991 per i collaboratori di giustizia. Tale norma indica elementi specifici per valutare il ravvedimento, come l’ampiezza della collaborazione, i rapporti familiari e lo svolgimento di attività lavorativa, e stabilisce che la sola assenza di iniziative risarcitorie non può essere un elemento preclusivo.

Le Motivazioni della Cassazione: i criteri per la liberazione condizionale collaboratori

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno chiarito che, nel caso della liberazione condizionale collaboratori, il giudizio sul ‘sicuro ravvedimento’ deve essere formulato sulla base di una valutazione complessiva che tenga conto dei parametri specifici previsti dalla legge speciale. Il Tribunale di Sorveglianza ha errato nel non confrontarsi adeguatamente con le valutazioni favorevoli espresse dalla Procura Nazionale Antimafia e dalle forze di polizia. La motivazione del diniego è stata giudicata incongrua e incompleta, in quanto ha attribuito un rilievo ostativo quasi esclusivo alla gravità dei reati e alla mancata riparazione del danno, senza ponderare gli specifici indici sintomatici del percorso di recupero del collaboratore. La Cassazione ribadisce che il giudice deve considerare l’ampiezza dell’arco temporale della collaborazione, i rapporti con familiari e personale giudiziario, lo svolgimento di attività lavorativa o di studio, e le eventuali successive collaborazioni. In questo quadro, l’assenza di iniziative risarcitorie non può assumere un rilievo determinante e preclusivo.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante punto di riferimento per l’applicazione dei benefici penitenziari ai collaboratori di giustizia. La Corte di Cassazione ha riaffermato che la speciale disciplina prevista per questi soggetti impone un’analisi più ampia e complessa del ravvedimento, che non può essere appiattita sui criteri ordinari. La collaborazione con la giustizia, se proficua e duratura, è di per sé un indicatore fondamentale di rescissione con il passato criminale. Il Tribunale del rinvio dovrà quindi procedere a un nuovo esame, attenendosi ai principi indicati dalla Suprema Corte e valutando in modo completo tutti gli elementi a disposizione, per decidere sulla concessione del beneficio.

Per concedere la liberazione condizionale a un collaboratore di giustizia, è sufficiente la sola buona condotta?
No, la sola buona condotta non è sufficiente. Tuttavia, la valutazione del ‘sicuro ravvedimento’ deve basarsi su un insieme complesso di indicatori specifici per i collaboratori, come la durata e l’importanza della collaborazione, senza limitarsi ai criteri ordinari come l’assenza di iniziative riparatorie.

L’assenza di risarcimento del danno alle vittime impedisce sempre la concessione della liberazione condizionale ai collaboratori?
No. Secondo la Corte di Cassazione, per i collaboratori di giustizia, l’assenza di iniziative risarcitorie nei confronti delle vittime non può avere un rilievo determinante e preclusivo alla concessione del beneficio, ma va valutata nel contesto di tutti gli altri elementi che dimostrano il ravvedimento.

Il parere favorevole della Procura Nazionale Antimafia è vincolante per il Tribunale di Sorveglianza?
No, il parere non è vincolante. Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza non può ignorarlo o scartarlo con una motivazione generica. Deve confrontarsi in modo concreto con le argomentazioni espresse, dato che provengono dall’autorità preposta a valutare l’attualità dei legami del condannato con la criminalità organizzata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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