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Liberazione condizionale collaboratore: non serve risarcire

La Corte di Cassazione ha annullato un decreto che dichiarava inammissibile l’istanza di liberazione condizionale di un collaboratore di giustizia per mancato risarcimento alla vittima. La Corte ha stabilito che per la specifica categoria dei collaboratori, il risarcimento non è un presupposto inderogabile, ma un elemento da valutare nel giudizio complessivo sul ravvedimento del condannato. La decisione del tribunale, presa senza udienza, ha inoltre violato il diritto al contraddittorio.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Liberazione condizionale collaboratore: il risarcimento del danno non è un ostacolo assoluto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di esecuzione della pena, precisando i requisiti per la liberazione condizionale collaboratore di giustizia. La Corte ha stabilito che il mancato risarcimento del danno alla persona offesa non costituisce una causa automatica di inammissibilità dell’istanza, ma deve essere valutato nel contesto più ampio del percorso di ravvedimento del condannato. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un uomo, condannato alla pena dell’ergastolo e detenuto ininterrottamente dal 1997, dopo aver scontato circa trentadue anni di pena e aver intrapreso un proficuo percorso di collaborazione con la giustizia, presentava istanza per ottenere la liberazione condizionale. Durante la detenzione, aveva beneficiato di permessi premio, lavoro esterno e semilibertà, mantenendo una condotta esemplare e partecipando attivamente alle attività rieducative.

La sua richiesta si basava sulla normativa speciale prevista per i collaboratori di giustizia (art. 16-nonies della L. 82/1991), che deroga alla disciplina generale dell’art. 176 del codice penale.

Tuttavia, il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Torino dichiarava l’istanza inammissibile de plano, ovvero senza fissare un’udienza, motivando la decisione con la mancanza di documentazione che attestasse l’avvenuto risarcimento del danno alla parte offesa. Contro questo provvedimento, il condannato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando il decreto di inammissibilità e rinviando gli atti al Tribunale di Sorveglianza di Torino per un nuovo giudizio. La decisione si fonda su due pilastri: uno di natura sostanziale, relativo ai requisiti per la liberazione condizionale dei collaboratori, e uno di natura procedurale, concernente la legittimità del decreto emesso de plano.

Le Motivazioni: la specialità della liberazione condizionale collaboratore

La Corte ha chiarito che il regime della liberazione condizionale collaboratore di giustizia gode di una disciplina speciale che deroga a quella ordinaria. L’art. 16-nonies, comma 4, della L. 82/1991, consente la concessione del beneficio “in deroga alle vigenti disposizioni”, comprese quelle relative ai limiti di pena e alle condizioni previste dall’art. 176 del codice penale.

Tra queste condizioni vi è l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, come il risarcimento del danno. Se per un condannato comune tale adempimento è un presupposto quasi inderogabile, per un collaboratore di giustizia la situazione è differente. Il mancato risarcimento non costituisce, di per sé, un ostacolo insormontabile. Esso può essere considerato dal giudice come un possibile indicatore di un ravvedimento non ancora completo e sicuro, ma non può giustificare una declaratoria di inammissibilità automatica e immediata.

Il giudice deve, invece, compiere una valutazione complessiva del comportamento del collaboratore, tenendo conto di molteplici indici sintomatici del “sicuro ravvedimento”: l’ampiezza e la durata del rapporto collaborativo, i rapporti con i familiari, lo svolgimento di attività lavorative, di studio o sociali. L’assenza di iniziative risarcitorie è solo uno degli elementi del quadro generale e non può, da sola, determinare l’esito della richiesta.

Le Motivazioni: la violazione del contraddittorio

Sotto il profilo procedurale, la Cassazione ha censurato duramente l’operato del Presidente del Tribunale di Sorveglianza. Un decreto di inammissibilità de plano può essere emesso solo quando l’istanza è manifestamente infondata perché manca dei requisiti posti direttamente dalla legge, senza che siano necessari accertamenti o valutazioni discrezionali.

Nel caso di specie, stabilire se il mancato risarcimento fosse un indice di un ravvedimento non ancora maturato richiedeva una valutazione complessa e discrezionale, incompatibile con una decisione presa senza un’udienza. Emettendo il decreto de plano, il giudice ha violato il diritto al contraddittorio del ricorrente, cioè il suo diritto di essere ascoltato e di difendersi. Tale violazione, secondo la Corte, integra una nullità di ordine generale e a carattere assoluto, che impone l’annullamento del provvedimento.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio di civiltà giuridica e di corretta interpretazione delle norme premiali. Il percorso di un collaboratore di giustizia è unico e deve essere valutato nella sua interezza, senza fermarsi a formalismi che, se applicati rigidamente, ne snaturerebbero la finalità. La decisione sottolinea che il risarcimento del danno, pur essendo un valore importante, non può diventare l’unico metro di giudizio del ravvedimento di chi ha scelto di collaborare con lo Stato. Infine, viene ribadita la centralità del contraddittorio e del giusto processo: ogni decisione che implichi una valutazione discrezionale sulla vita di una persona deve essere presa nel pieno rispetto del suo diritto di essere ascoltata.

Il risarcimento del danno è un requisito obbligatorio per la liberazione condizionale di un collaboratore di giustizia?
No. Per un collaboratore di giustizia, il mancato risarcimento del danno alla vittima non costituisce, di per sé, una causa ostativa assoluta. È un elemento che il giudice deve considerare nella valutazione complessiva del ravvedimento del condannato, ma non giustifica da solo una declaratoria automatica di inammissibilità dell’istanza.

Perché il decreto del Tribunale di Sorveglianza è stato annullato?
È stato annullato per due ragioni principali. In primo luogo, ha applicato erroneamente una condizione (il risarcimento) come requisito assoluto, mentre per i collaboratori è un elemento di valutazione. In secondo luogo, è stato emesso de plano (senza udienza), violando il diritto al contraddittorio del ricorrente, poiché la questione richiedeva una valutazione discrezionale che non poteva essere risolta senza un confronto tra le parti.

Qual è la principale differenza tra la liberazione condizionale per un detenuto comune e per un collaboratore di giustizia?
La differenza fondamentale risiede nei presupposti. Per un detenuto comune, l’art. 176 del codice penale richiede di norma l’adempimento delle obbligazioni civili (come il risarcimento) come condizione per il beneficio. Per un collaboratore di giustizia, la legge speciale (art. 16-nonies L. 82/1991) consente di derogare a questa regola, permettendo al giudice una valutazione più ampia e complessiva del suo percorso di ravvedimento, basata su una pluralità di fattori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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