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Liberazione condizionale collaboratore: la Cassazione

La Cassazione annulla il diniego di liberazione condizionale a un collaboratore di giustizia. La Corte ha stabilito che la valutazione del ‘sicuro ravvedimento’ deve considerare tutti gli elementi positivi del percorso del condannato, e non può basarsi esclusivamente sulla mancata adozione di iniziative risarcitorie nei confronti delle vittime, che non ha valore ostativo assoluto.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Liberazione condizionale collaboratore: il risarcimento non è tutto

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 22509 del 2024, offre un importante chiarimento sui criteri di valutazione per la concessione della liberazione condizionale a un collaboratore di giustizia. La Corte ha stabilito che l’assenza di iniziative risarcitorie verso le vittime, pur essendo un elemento rilevante, non può costituire l’unico motivo per negare il beneficio, specialmente a fronte di un percorso di ravvedimento complessivamente positivo.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un uomo, collaboratore di giustizia, condannato a trent’anni di reclusione per reati gravissimi, tra cui associazione mafiosa, estorsione e plurimi omicidi. Dal 2015, l’uomo stava scontando la pena in detenzione domiciliare. Avendo maturato i requisiti temporali, ha presentato istanza per ottenere la liberazione condizionale.

Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, pur riconoscendo la buona condotta del detenuto, l’impegno lavorativo e la sua volontà di intraprendere uno stile di vita orientato ai valori della convivenza civile, ha rigettato la richiesta. La decisione si fondava principalmente su un parere del Procuratore nazionale antimafia, che evidenziava la mancanza di riscontri su azioni riparatorie nei confronti delle vittime dei reati commessi.

La decisione del Tribunale di Sorveglianza e il ricorso

Secondo il Tribunale, il percorso di ravvedimento del condannato non poteva considerarsi completo. Sebbene avesse acquisito una “nuova dimensione esistenziale”, mancava un’iniziativa concreta “idonea a dimostrare la volontà di fare emenda”, riparando, anche solo simbolicamente, i danni materiali e morali causati. Di fronte a questa decisione, il condannato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando che il Tribunale avesse erroneamente isolato un unico elemento (la mancata riparazione), ignorando tutti gli altri indicatori positivi emersi durante l’istruttoria, che avrebbero invece dovuto portare a una valutazione complessiva favorevole.

Analisi del ravvedimento per la liberazione condizionale del collaboratore

La difesa ha sostenuto che il mancato interessamento verso le vittime non costituisce una ragione ostativa assoluta alla concessione del beneficio, ma deve essere inserito in un quadro di valutazione globale. Tale valutazione deve mirare a comprendere se il reo si sia effettivamente impegnato in una revisione critica della sua vita passata e abbia manifestato un’autentica aspirazione al riscatto morale.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza. La motivazione della Suprema Corte si basa su un’attenta analisi della normativa speciale prevista per i collaboratori di giustizia (art. 16-nonies del d.l. n. 8/1991) e sulla consolidata giurisprudenza di legittimità.

La Corte ha ribadito che il requisito del “sicuro ravvedimento” non può essere presunto dalla sola collaborazione, ma richiede una verifica basata su elementi concreti e specifici. Tuttavia, questa verifica deve essere ampia e considerare tutti gli aspetti della vita del condannato successivi alla scelta di collaborare:
* L’importanza e la durata della collaborazione.
* I rapporti con i familiari e con il personale giudiziario.
* Lo svolgimento di attività lavorative, di studio o di volontariato.
* L’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.

L’errore del Tribunale di Sorveglianza

La Cassazione ha individuato una contraddizione logica nella decisione impugnata. Il Tribunale, da un lato, riconosceva che il condannato aveva concretamente optato per uno “stile di vita orientato ai valori basilari della convivenza civile”, ma dall’altro esaltava, in senso negativo, unicamente l’assenza di iniziative riparatorie. In questo modo, ha attribuito a tale elemento una “valenza ostativa” che, secondo la giurisprudenza più recente e consolidata, non possiede. Il mancato adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato è un indice da valutare, ma non può, da solo, determinare il rigetto dell’istanza, specialmente in un quadro normativo che prevede deroghe per i collaboratori.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 22509/2024 rafforza un principio fondamentale: la valutazione del ravvedimento, ai fini della liberazione condizionale di un collaboratore di giustizia, deve essere globale e bilanciata. I giudici di sorveglianza devono ponderare tutti gli indici disponibili, positivi e negativi, senza attribuire a un singolo elemento, come l’assenza di riparazione del danno, un peso decisivo e ostativo. La decisione di annullamento con rinvio impone al Tribunale di Sorveglianza di Roma di effettuare una nuova valutazione, più completa e aderente ai principi ermeneutici stabiliti dalla Cassazione, tenendo conto dell’intero percorso evolutivo del condannato.

Il mancato risarcimento del danno alle vittime impedisce sempre la concessione della liberazione condizionale a un collaboratore di giustizia?
No. Secondo la Corte di Cassazione, pur essendo un elemento rilevante, l’assenza di iniziative risarcitorie non ha una valenza ostativa assoluta e non può essere l’unico motivo per negare il beneficio. Deve essere valutata insieme a tutti gli altri indicatori del percorso di ravvedimento.

Quali elementi deve considerare il giudice per valutare il ‘sicuro ravvedimento’ di un collaboratore?
Il giudice deve compiere una valutazione ampia e complessiva che tenga conto di molteplici fattori, tra cui l’importanza della collaborazione prestata, i rapporti con familiari e personale giudiziario, lo svolgimento di attività lavorative o di studio, l’evoluzione della personalità e la reale dissociazione dall’ambiente criminale di provenienza.

Qual è stato l’errore commesso dal Tribunale di Sorveglianza in questo caso specifico?
L’errore è stato di natura logica e giuridica. Il Tribunale ha isolato un unico elemento (la mancata riparazione del danno) e gli ha attribuito un valore determinante e ostativo, in contrasto con la giurisprudenza che richiede una valutazione bilanciata di tutti gli elementi disponibili, senza poterne assolutizzare uno a discapito degli altri.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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