Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22507 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22507 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 27 giugno 2023, il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha rigettato la richiesta di NOME COGNOME di ammissione alla liberazione condizionale COGNOME con COGNOME riferimento COGNOME alla COGNOME pena COGNOME dell’ergastolo, COGNOME risultante COGNOME dal provvedimento di cumulo emesso nei suoi confronti I’ll maggio 2012 ed irrogatagli per avere commesso, tra gli altri, i reati di cui agli artt. 416-bis co pen. e 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ed essere stato autore di un omicidio consumato e due tentati.
A tal fine – premesso che COGNOME, collaboratore di giustizia, sta scontando la sanzione in regime di detenzione domiciliare sin dal 2017 – ha dato atto delle informazioni trasmesse dalla Questura di Pescara e dal locale UEPE in ordine alla sua situazione familiare e lavorativa, all’attività di volontariato svolta in passato presso un ufficio giudiziario ed al versamento effettuato una tantum in favore dell’RAGIONE_SOCIALE.
É, nondimeno, pervenuto al rigetto dell’istanza sul rilievo: che il condannato non ha dimostrato di avere adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dai reati commessi, a questo fine palesandosi irrilevante la menzionata donazione, peraltro circoscritta ad un importo poco più che simbolico; che «allo stato è assolutamente prematuro ritenere che COGNOME NOME abbia dato prova di quella evoluzione positiva di personalità che costituisce il presupposto fondamentale del sicuro ravvedimento, necessario ai fini della concessione della liberazione condizionale»; che «il soggetto deve ancora dare, nel tempo, dimostrazione con convinta determinazione di quel cambiamento che potrà condurre ad un giudizio positivo di assenza di pericolosità sociale ed idoneità della misura alternativa a favorirne la rieducazione».
2. NOME COGNOME propone, con il ministero dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale lamenta violazione di legge per avere il Tribunale di sorveglianza orientato la decisione impugnata al solo parametro concernente il suo mancato interessamento nei confronti delle vittime dei reati e l’omessa promozione di iniziative riparatorie e senza tenere, invece, conto degli altri indici, tutti positivi, emersi durante l’istruttoria e compendiati, da ultimo, nelle note della Procura nazionale antimafia RAGIONE_SOCIALE antiterrorisnno e della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che avrebbero imposto, ad una valutazione complessiva, l’ammissione al beneficio richiesto.
Tanto, per essere stata acquisita prova certa, nei termini indicati dalla giurisprudenza di legittimità, del suo ravvedimento, risultato che, per i collaboratori di giustizia, deve essere apprezzato con riferimento anche
all’importanza del contributo offerto, alla recisione dei legami con gli ambienti criminali di provenienza ed al contegno serbato, in ambito sia carcerario che extramurario, nel corso dell’esecuzione della pena.
Il ricorrente segnala, inoltre, che il mancato interessamento nei confronti della vittima e l’omessa promozione di iniziative riparatorie nel suo caso resa più ardua dalle precarie condizioni economiche – non costituiscono ragioni ostative alla liberazione condizionale e devono, invece, essere inserite nel quadro della globale delibazione di tutte le evidenze disponibili, finalizzata a comprendere se il reo si sia impegnato nella revisione critica della vita anteatta ed abbia manifestato una reale aspirazione al proprio riscatto morale, ovvero al compimento di una verifica che, nel caso di specie, avrebbe dovuto sortire esito positivo.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
L’art. 16 -nonies d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito nella legge 15 marzo 1991, n. 64, prevede, al comma 1, che «Nei confronti delle persone condannate per un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale o per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3 -bis, del codice di procedura penale, che abbiano prestato, anche dopo la condanna, taluna delle condotte di collaborazione che consentono la concessione delle circostanze attenuanti previste dal codice penale o da disposizioni speciali, la liberazione condizionale, la concessione dei permessi premio e l’ammissione alla misura della detenzione domiciliare prevista dall’articolo 47 -ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, sono disposte su proposta ovvero sentito il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo».
I successivi commi 2 e 3 dispongono, poi, tra l’altro, che «Nella proposta o nel parere il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo fornisce ogni utile informazione sulle caratteristiche della collaborazione prestata» e che «La proposta o il parere indicati nel comma 2 contengono inoltre la valutazione della condotta e della pericolosità sociale del condannato e precisano in specie se questi si è mai rifiutato di sottoporsi a interrogatorio o a esame o ad altro atto di indagine nel corso dei procedimenti penali in cui ha prestato la sua collaborazione. Precisano inoltre gli altri elementi rilevanti ai fin
dell’accertamento del ravvedimento anche con riferimento alla attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva».
Ai sensi del comma 4, infine, «Acquisiti la proposta o il parere indicati nei commi 2 e 3, il tribunale o il magistrato di sorveglianza, se ritiene che sussistano i presupposti di cui al comma 1, avuto riguardo all’importanza della collaborazione e sempre che sussista il ravvedimento e non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva, adotta il provvedimento indicato nel comma 1 anche in deroga alle vigenti disposizioni, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cui all’artico 176 del codice penale e agli articoli 30-ter e 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. Il provvedimento è specificamente motivato nei casi in cui le autorità indicate nel comma 2 del presente artic:olo hanno espresso parere sfavorevole».
3. La giurisprudenza di legittimità, chiamata a circoscrivere l’ambito della verifica demandata alla magistratura di sorveglianza in vista dell’ammissione dei collaboratori di giustizia ai benefici sopra indicati, ha costantemente ritenuto che l’istituto disciplinato dall’art. 16-nonies non è applicabile in modo indiscriminatamente generalizzato, giacché l’esito positivo della relativa istanza presuppone l’espressione di un giudizio favorevole in ordine al ravvedimento del soggetto che si apre alla collaborazione con l’autorità giudiziaria, fondato sulla condotta complessiva del collaboratore di giustizia e sul convincimento che l’azione rieducativa svolta abbia avuto come risultato il compiuto ravvedimento, all’esito di una revisione critica della vita anteatta (Sez. 1, n. 9887 dell’01/02/2007, COGNOME, Rv. 236548; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 43207 del 16/10/2012, COGNOME, Rv. 253833; Sez. 1, n. 3422 del 14/01/2009, COGNOME, Rv. 242559).
Del resto, è stato ulteriormente notato, il requisito del «ravvedimento», previsto dall’art. 16-nonies, comma 3, non può essere oggetto di una sorta di presunzione, formulabile sulla sola base dell’avvenuta collaborazione e dell’assenza di persistenti collegamenti del condannato con la criminalità organizzata, ma richiede la presenza di distinti, specifici elementi, di qualsivoglia natura, che valgano a dimostrarne in positivo, sia pure in termini di mera, ragionevole probabilità, l’effettiva sussistenza (Sez. 1, n. 43256 del 22/05/2018, Sarno, Rv. 274517; Sez. 1, n. 48891 del 30/10/2013, Marino, Rv. 257671; Sez. 1, n. 1115 del 27/10/2009, dep. 2010, Brusca, Rv. 245945).
In questo ambito valutativo, tra gli elementi che possono essere utilizzati ai fini della formulazione di un giudizio prognostico favorevole al collaboratore di giustizia, devono prendersi in esame «i rapporti con i familiari, con il personale
giudiziario, nonché lo svolgimento di attività lavorativa o di studio onde verificare se c’è stata da parte del reo una revisione critica della sua vita anteatta e una reale ispirazione al suo riscatto morale» (Sez. 1, n. 9887 dell’01/02/2007, COGNOME, cit.).
Ne discende che, ai fini dell’accertamento del presupposto del ravvedimento, si deve avere riguardo non solo agli esiti del trattamento penitenziario, ma anche alla complessiva condotta del soggetto, affinché entrambi questi indici possano fondare, sulla base di obiettivi parametri di riferimento, un giudizio prognostico sicuro riguardo al venir meno della pericolosità sociale dello stesso e alla effettiva capacità del suo ordinato reinserimento nel tessuto sociale (tra le altre, Sez. 1, n. 34946 del 17/07/2012, COGNOME, Rv. 253183; Sez. 1, n. 9001 del 04/02/2009, COGNOME, Rv. 243419; Sez. 1, n. 18022 del 24/04/2007, COGNOME, Rv. 237365).
4. In questo solco si inseriscono l’indirizzo ermeneutico che, in materia di concessione della liberazione condizionale chiesta da un collaboratore di giustizia, attesta la necessità di un vaglio ampio, che, pur all’interno di una cornice non segnata da canoni di ostatività, tenga conto di tutti gli elementi rilevanti in vista della formulazione di un giudizio prognostico di ravvedimento sulla base di un completato percorso trattamentale di rieducazione e recupero idoneo a sostenere la previsione, in termini di certezza, di una conformazione al quadro ordinamentale e sociale a suo tempo violato (Sez. 1, n. 3312 del 14/01/2020, COGNOME, Rv. 277886 – 01; Sez. 1, n. 10421 del 19/02/2009, COGNOME, Rv. 242900 – 01), e quello, attinente alle coordinate generali dell’istituto previsto dall’art. 176 cod. pen., secondo cui «In tema di liberazione condizionale, il presupposto del “sicuro ravvedimento” non consiste semplicemente nella ordinaria buona condotta del condannato, necessaria per fruire dei benefici previsti dall’ordinamento penitenziario, ma implica comportamenti positivi dai cui poter desumere l’abbandono delle scelte criminali, e tra i quali assume particolare significato la fattiva volontà del reo di eliminare o di attenuare le conseguenze dannose del reato» (Sez. 1, n. 486 del 25/09/2015, dep. 2016, Caruso, Rv. 265471 – 01).
A quest’ultimo proposito, occorre, nondimeno, segnalare come la giurisprudenza di legittimità abbia avuto altresì modo di precisare, di recente, che «Ai fini della concessione della liberazione condizionale chiesta da un collaboratore di giustizia, ai sensi dell’art. art. 16-nonies, dl. 15 gennaio 1991, n. 8 il giudice, nel valutare il sicuro ravvedimento dell’istante, deve tener conto di indici sintomatici del “sicuro ravvedimento”, quali l’ampiezza dell’arco temporale nel quale si è manifestato il rapporto collaborativo, i rapporti con i
familiari e il personale giudiziario, lo svolgimento di attività lavorativa, di studio sociali, successive alla collaborazione, non potendo assumere rilievo determinante la sola assenza di iniziative risarcitorie nei confronti delle vittime dei reati commessi» (Sez. 1, n. 17831 del 20/04/2021, Ceilona, Rv. 281360 01).
Risulta, per tale via, acclarato che «il mancato adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, pur non assumendo valenza ostativa all’accoglimento dell’istanza, stante la deroga alle disposizioni ordinarie contenuta all’art. 16-novies della legge 15 gennaio 1991, n. 8, rileva, unitamente agli altri indici di valutazione, quali i rapporti con i familiari personale giudiziario e gli altri soggetti qualificati nonché il proficuo svolgimento di attività di lavoro o di studio, ai fini del giudizio sul ravvedimento d condannato» (Sez. 1, n. 19854 del 22/06/2020, COGNOME, Rv. 279321 – 01).
Ritiene il Collegio che, nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza in esame non si sia conformato ai richiamati e condivisi canoni ermeneutici.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, invero, trova significativo momento di contraddizione, sul piano logico, laddove, dopo avere riconosciuto che COGNOME, nel periodo, superiore ad un lustro, trascorso in regime di detenzione domiciliare, si è dedicato a regolare attività lavorativa ed ha praticato, insieme alla moglie, uno stile di vita esente da censure di sorta ed avere aggiunto che egli, secondo quanto riferito dall’UEPE, ha maturato «un percorso autoriflessivo sulle motivazioni che lo hanno indotto ad agiti illegali e sulle conseguenze sulla propria esistenza» e su quella dei congiunti e che «La scelta di collaborare con la giustizia, la partecipazione attiva alle attivit trattamentali negli istituti di pena e nei progetti esterni fanno intravedere un atteggiamento riparatorio nei confronti della società civile» – così esprimendo valutazioni che paiono coerenti con l’apprezzamento dell’avvenuto ravvedimento del collaboratore – esalta, in senso contrario, esclusivamente l’omessa adozione di iniziative volte alla riparazione dei danni materiali e morali provocati dalle condotte illecite di cui egli è stato autore ed alla manifestazione, in forma non meramente simbolica, del proprio pentimento per il male arrecato alle vittime ed ai loro congiunti.
In tal modo, il Tribunale di sorveglianza introduce un elemento che, sicuramente rilevante ai fini considerati, non viene, tuttavia, vagliato in combinazione con gli altri disponibili – afferenti, tra l’altro, secondo quanto indicato dalla giurisprudenza di legittimità: alla durata ed ai risultati dell collaborazione; alle relazioni coltivate con i familiari ed il personale giudiziario alle intraprese attività di lavoro e volontariato; al comportamento tenuto nel
corso dell’esecuzione della pena, alla complessiva evoluzione della personalità e finisce, dunque, con l’assegnargli, in contrasto con la lezione ermeneutica sopra evocata, valenza ostativa all’accesso del collaboratore di giustizia alla liberazione condizionale.
Le superiori considerazioni impongono, in conclusione, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di L’Aquila per un nuovo giudizio che, libero nell’esito, sia emendato dal vizio riscontrato.
P.Q.M.
annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza Dell’Aquila.
Così deciso il 18/01/2024.