Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38193 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38193 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALMI il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 09/11/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di SASSARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, per il tramite del difensore, ricorre avverso il decreto in epigrafe, con il quale il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Sassari, sulla premessa che trattavasi di detenuto sottoposto al regime differenziato dell’art. 41bis Ord. pen., ostativo alla concessione del beneficio, ha dichiarato inammissibile la sua istanza di liberazione condizionale ai sensi degli artt. 666, comma 2, e 678 cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce, con un unico motivo, violazione degli artt. 176, terzo comma, cod. pen., 125, comma 3, 178, comma 1, lett. c), e 666, comma 2, cod. proc. pen.
Richiama l’istanza introduttiva, dolendosi del fatto che il Tribunale di sorveglianza si sarebbe “spogliato” della sua funzione giurisdizionale – che lo avrebbe portato a valutare nel merito la fondatezza o meno dell’istanza medesima – in quanto “paralizzato” dal decreto ministeriale di proroga del regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen. applicato nei suoi confronti.
E siccome “il Ministro per poter disapplicare il regime detentivo speciale pretende che il sottoposto collabori con la giustizia , di fatto è stata reintrodo (o mantenuta efficace) la ‘conditio sine qua non’ della collaborazione con la giustizia prevista dal primo comma, primo periodo dell’art. 4-bis OP dichiarata illegittima dalla sentenza della Corte costituzionale n. 253/2019”.
Il Tribunale di sorveglianza avrebbe scelto la via “più breve e meno faticosa” facendo riferimento, per dichiarare inammissibile l’istanza, all’attuale sottoposizione del ricorrente al regime penitenziario differenziato, ostativo alla concessione del beneficio.
Eccepisce, in conclusione, “violazione di legge e mancanza di motivazione” con particolare riguardo alla richiesta di rimessione alla Corte costituzionale di questione rilevante e non manifestamente infondata, atteso che il COGNOME al momento del suo arresto nel febbraio 1990 era stato chiamare a espiare la pena dell’ergastolo con speranza” che negli anni successivi è stato trasformato in “ergastolo senza speranza”, incompatibile con i principi costituzionali.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitòria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, perciò, rigettato.
La declaratoria di inammissibilità dell’istanza di accesso alla liberazione condizionata inoltrata dal NOME è conforme alla disposizione di cui all’ultimo
periodo del comma 2 dell’art. 4-bis Ord. pen., introdotta dall’art. 1, gomma 1, lett. a), n. 3) del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 (Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia…), che recita: “I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi al detenuto o internato sottoposto a regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41-bis solamente dopo che il provvedimento applicativo di tale regime speciale sia stato revocato o non prorogato”.
Confondendo le specifiche attribuzioni spettanti al potere esecutivo e le prerogative inerenti all’esercizio della giurisdizione, il difensore del ricorren sostiene, addirittura, che il Tribunale di sorveglianza sarebbe stato “paralizzato”, nel suo esame di merito dell’istanza di liberazione condizionale, dal provvedimento ministeriale di proroga del regime differenziato applicato nei confronti dell’interessato, che avrebbe, surrettiziamente e di fatto, reintrodotto la necessità della “collaborazione” con la giustizia per l’accesso ai benefici penitenziari, dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 253/2019.
Ricordato che il provvedimento ministeriale in parola non resta “sospeso” indefinitamente nell’ordinamento giuridico, essendo, come noto, suscettibile di reclamo dinanzi al Tribunale di sorveglianza di Roma, ai sensi dell’art. 41-bis, comma 2-quinquies, Ord. pen., e, dunque, al controllo di un’autorità giurisdizionale, è del tutto fuori luogo ascrivere, come fa la difesa del ricorrente vuoi al potere esecutivo, vuoi al potere giudiziario, la responsabilità di avere eluso il portato delle pronunce del Giudice delle leggi (non solo la n. 253/2019, ma anche la n. 32/2020) quanto alla automatica subordinazione dell’accesso ai benefici penitenziari alla collaborazione della giustizia da parte dell’interessato.
Viceversa, proprio in considerazione dei “moniti” provenienti dalla Corte costituzionale, il legislatore è intervenuto, d’urgenza, con la novella surrichiamata, che, come noto, ha trasformato da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici e delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti, i quali vengono ora ammessi alla possibilità di farne istanza, sebbene in presenza di stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo, nei termini in dettaglio previsti dagli attuali commi 1-bis e seguenti dell’art. 4-bis Ord. peri.
Va, inoltre, precisato che, in base alle disposizioni transitorie dettate dall’art 3, comma 2, del decreto-legge n. 162/2022, convertito dalla legge n. 199/2022, ai condannati e agli internati che, prima della data di entrata in vigore del citato decreto, abbiano commesso delitti previsti dal comma 1 dell’articolo 4-bis Ord. pen., nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle
responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendano comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’articolo 62, numero 6, anche qualora il risarcimento, del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’articolo 114 ovvero dall’articolo 116, secondo comma, cod. pen., i benefici di cui al comma 1 dell’articolo 4-bis e la liberazione condizionale possono essere concessi, secondo la procedura di cui al comma 2 dell’articolo 4-bis medesimo, purché siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. In tali casi, ai condannati alla pena dell’ergastolo, ai fini dell’accesso al liberazione condizionale, non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto-legge in commento.
Dunque, alle condizioni illustrate, il condannato all’ergastolo può accedere alla liberazione condizionale anche in relazione ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni indicate.
Non si comprende, quindi, per quale ragione si possa continuare a parlare, come fa il difensore del ricorrente in modo enfaticamente immaginifico, di ergastolo “senza speranza” nella vigente cornice normativa.
Tanto ciò è vero, che questa Corte ha di recente dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2, Ord. pen. per contrasto con gli artt. 3, 27 e 117 Cost. in relazione all’art. 3 CEDU, posto che, a seguito delle modifiche apportate all’art. 4-bis Ord. pen. dal citato d.l. n. 162/2022, convertito, con modificazioni, dalla I. n. 199/2022, la presunzione di pericolosità del condannato all’ergastolo per reati ostativi non collaborante è divenuta relativa, essendo tenuto il giudice alla valutazione, nel merito, delle istanze di concessione di benefici penitenziari (Sez. 1, n. 51407 del 30/11/2023, La Barbera, Rv. 285578 – 01).
Il tema, tuttavia, è altro da quello, per certi versi adombrato in ricorso, dell’accesso ai benefici per il responsabile, non collaborante, di reati ostativi, che oggi il legislatore ha reso possibile purché sia dimostrata l’attuale assenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tal collegamenti.
Il tema è quello, diverso, della preclusione dell’accesso a tali benefici, nella specie alla liberazione condizionale, stabilita dal legislatore, come detto, nei confronti dei detenuti o internati in atto sottoposti al regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41-bis Ord. pen.
Questa è l’unica ragione per la quale il Presidente del Tribunale di
sorveglianza di Sassari, nel suo pur stringato provvedimento, ha dichiarato correttamente inammissibile l’istanza del NOME, non sussistendone i presupposti di legge.
Non può, infine, prendersi in seria considerazione la questione di legittimità costituzionale che la difesa avrebbe voluto sollevare, in mancanza di qualsivoglia indicazione circa la norma legislativa primaria “in odore” di incostituzionalità e gli articoli della Costituzione che si assumerebbero violati.
6.AI rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, I’ll giugno 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente