Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13519 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13519 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 04/07/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nelia persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, cha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 04 luglio 2023 il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto da NOME COGNOME contro la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di liberazione anticipata speciale relativa ai semestri dal 2010 al 2015, pronunciata dal magistrato di sorveglianza di L’Aquila.
Il magistrato di sorveglianza aveva ritenuto l’istanza inammissibile perché erano in espiazione reati ostativi alla concessione del beneficio, mentre il detenuto sosteneva che il giudice non aveva tenuto conto del fatto che in data 16 settembre 2019 la Corte di appello di Palermo aveva dichiarato estinta la pena temporanea di venticinque anni e quattro mesi di reclusione a lui inflitta.
Il Tribunale ha ritenuto corretto il diniego perché l’istante è comunque in espiazione della pena dell’ergastolo, decorrente dal 28/12/1991, determinata con provvedimento di cumulo comprendente anche delitti, tra cui vari omicidi, che il d.l. n. 146/2013 considera ostativi alla concessione del beneficio previsto dal medesimo decreto legge. L’avvenuta espiazione di una pena temporanea è, pertanto, irrilevante.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo, con il quale lamenta la violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., in relazione al principio di irretroattività della legge penale.
I reati ostativi alla concessione del beneficio, indicati dal Tribunale di sorveglianza, sono stati commessi tutti prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 146/2013, che ha introdotto tale ostatività per la concessione della liberazione anticipata speciale.
La Corte costituzionale, con le sentenze n. 32/2020 e n. 193/2020, ha stabilito il principio di irretroattività anche per le norme in materia di esecuzione penale, aventi una natura più sostanziale che processuale, e la giurisprudenza ha, perciò, fornito una interpretazione costituzionalmente orientata di molte norme in materia di esecuzione, dichiarando non applicabili quelle più restrittive introdotte dopo la commissione dei reati a cui avrebbero dovuto essere applicate, in particolare con riferimento a reati puniti con l’ergastolo, divenuto ostativo alla concessione di molti benefici solo a seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 306/1992 (convertito nella legge n. 356/1992). Questa interpretazione costituzionalmente orientata deve perciò essere applicata anche nel presente caso, in cui i reati ostativi sono stati commessi tra il 1980 e il 1989, e quindi anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 356/1992, fortemente
peggiorativa del trattamento dei condannati per reati compresi nell’ad. 4-bis, comma 1, Ord.pen.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, perché la censura della irretroattività della legge non è stata proposta al Tribunale del riesame
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato, e deve essere, perciò, dichiarato inammissibile.
La questione proposta vede sulla applicabilità della liberazione anticipata speciale introdotta dal d.l. n. 146/2013, convertito nella legge n. 10/2014, che aumenta il periodo di sconto della pena per liberazione anticipata da 45 a 75 giorni, in relazione ai soli semestri di detenzione espiati tra il 01/01/2010 e il 24/12/2015. Il decreto legge non prevedeva limiti, mentre la legge di conversione ha introdotto il divieto di concessione del beneficio speciale per i detenuti condannati per i reati di cui all’ad. 4-bis Ord.pen. La concorde giurisprudenza di legittimità ha applicato detta norma, ritenendola non in contrasto con i principi costituzionali, ed ha stabilito che «In tema di liberazione anticipata “speciale”, disciplinata dall’ad. 4 D.L. 23 dicembre 2013 n. 146, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 10, sono esclusi dal beneficio i soggetti condannati per uno dei reati previsti dall’ad. 4-bis ord. pen., anche se collaborino con l’Autorità giudiziaria o versino in una situazione equivalente. (Sez. 1, n. 22749 del 02/02/2016, Rv. 266878; vedi anche Sez. 1, n. 35851 del 22/04/2015, Rv. 264886, ed altre)».
Quanto alla costituzionalità di tale esclusione, si è affermato che «E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’ad. 4 D.L. 23 dicembre 2013 n. 146, così come modificato dalla legge 21 febbraio 2014, n.10, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui esclude i condannati per i reati di cui all’art. 4-bis ord. pen. dalla disciplina di maggiore favore in tema di entità della detrazione di pena per semestre ai fini della liberazione anticipata stabilita, in via generale, per gli altri condannati, in quanto la disposizione censurata ha introdotto un regime speciale che, nell’estendere la misura di un beneficio penitenziario già applicabile a tutti i soggetti in espiazione di pena, può essere legittimamente sottoposto dal legislatore a limitazioni giustificate dalla connotazione di maggiore pericolosità dei suddetti reati» (Sez.
1, n. 2780 del 20/07/2016, Rv. 269411; vedi anche Sez. 1, n. 34073 del 27/06/2014, Rv. 260849).
Il ricorrente sostiene essere illegittima l’applicazione retroattiva della norma limitatrice del beneficio, in relazione a reati comi -nessi quando tale beneficio, e il relativo limite, non erano stati introdotti, ma la sua affermazione è manifestamente illogica, e perciò infondata. La normativa del d.l. n. 146/2013 si applica necessariamente in riferimento a reati commessi antecedentemente alla sua introduzione, dal momento che prevede , un ulteriore sconto di pena per chi, nell’arco temporale fissato, sta espiando in regime di detenzione carceraria condanne definitive, emesse quindi in relazione a fatti già avvenuti. Tale normativa, come sopra già precisato, è ecc:ezionale, in quanto emanata per far fronte al problema del sovraffollamento nelle carceri, e si limita, peraltro, ad estendere la durata di un beneficio già esistente, limitatamente ai casi che il legislatore ha scelto di individuare, con esclusione, quindi, dei detenuti ritenuti particolarmente pericolosi perché condannati per reati già valutati come “ostativi” dalla normativa ordinaria, cioè l’ordinamento penitenziario.
Sono, quindi, del tutto infondati i richiami alle sentenze che hanno dichiarato la irretroattività di norme restrittive, anche in materia di esecuzione penale, se introdotte dopo la commissione dei reati per i quali il detenuto è stato condannato, perché in questo caso deve essere applicata una norma eccezionale più favorevole, non più restrittiva, che il legislatore ha previsto per tutte l detenzioni in corso nell’arco temporale indicato, con l’esclusione delle detenzioni per reati ostativi, valutati ex lege come espressione di maggiore pericolosità del soggetto. Tale esclusione deve essere ritenuta legittima, in quanto disposta bilanciando il diritto del detenuto con le esigenze di tutela della collettività, ed è stata ritenuta non in contrasto con i principi costituzionali, come sopra già ricordato.
E’ manifestamente infondato anche il richiamo alle rnaggiori restrizioni introdotte, per i reati ostativi, dal d.l. n. :306/1992, convertito nella legge 356/1992: tali restrizioni non riguardano la liberazione anticipata, e la non applicazione ai condannati per reati ostativi della sua maggiore durata, stabilita dal d.l. n.146/2013, non dipende da tale normativa.
Quanto al richiamo alle sentenze della Corte Costituzionale n. 32/2020 e 193/2020, questa Corte ha già precisato, con la sentenza Sez. 1, n. 32588 del 21/04/2023, Rv. 285057, che i principi dalle stesse stabiliti non afferiscono agli effetti del decreto legge non convertito, che sono fissati dall’art. 77, terzo comma, Cost. Con specifico riferimento alla norma di cui al d.l. n.146/2013, è
stato affermato, in tale pronuncia, che «la disposizione del decreto-legge non recepita dalla legge di conversione non può ritenersi suscettibile di avere efficacia ultrattiva per i comportamenti pregressi ai quali la stessa collegava effetti favorevoli, in quanto le norme contenute in un decreto-legge non convertito non hanno attitudine a inserirsi in un fenomeno successorio Pertanto, l’efficacia delle disposizioni recate dal decreto-legge (in tutto o in parte) non convertito … non può in alc:un modo reputarsi estesa sino al riconoscimento di un diritto o di una aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti».
La sentenza della Corte costituzionale n. 32/2020, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lett. b) legge 09/01/2019, n. 3, fonda la sua valutazione della irragionevolezza dell’applicazione retroattiva di quella norma, incidente in senso deteriore quanto alla concessione dei permessi premio, sulla necessità di riconoscere rilevanza al percorso di risocializzazione del condannato a pena detentiva, costituzionalmente tutelato, rispetto alla successione nel tempo di leggi restrittive, dal momento che ha ritenuto illegittimo il divieto di concessione dei benefici al detenuto che, alla data di entrata in vigore della norma restrittiva, aveva già maturato i requisiti per la concessione degli stessi. Tale argomentazione è del tutto estranea alla vicenda in oggetto, nella quale si discute, come detto, della ultrattività di un decreto legge non convertito e della estensione, prevista da una norma eccezionale, della durata di un beneficio comunque concesso al detenuto.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ric:orso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla dictuarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24 gennaio 2024
Il Consigliere estensore CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Il Presidente