Liberazione Anticipata: Quando una Sanzione Disciplinare Blocca il Beneficio
La liberazione anticipata è uno degli strumenti più importanti nel percorso di reinserimento sociale di un detenuto. Questo beneficio, che prevede uno ‘sconto’ di pena per buona condotta, non è però un diritto automatico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come una sanzione disciplinare possa compromettere la sua concessione e dei limiti del ricorso in sede di legittimità.
I Fatti di Causa
Un detenuto si era visto negare la liberazione anticipata per un semestre di pena a causa di un rilievo disciplinare. Nello specifico, era stato sanzionato con cinque giorni di isolamento durante la permanenza all’aperto. Sia il Magistrato di Sorveglianza prima, sia il Tribunale di Sorveglianza in sede di reclamo poi, avevano ritenuto che tale infrazione dimostrasse la mancata adesione del condannato al percorso rieducativo, requisito fondamentale per ottenere il beneficio.
Contro la decisione del Tribunale, il detenuto ha proposto ricorso per cassazione. La sua difesa sosteneva che i giudici avessero errato, deducendo in modo automatico la mancata partecipazione all’opera rieducativa dalla semplice esistenza della sanzione, senza una valutazione più approfondita.
La Decisione della Cassazione sulla Liberazione Anticipata
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della questione (cioè se il detenuto meritasse o meno il beneficio), ma si concentra sulla struttura e sui motivi del ricorso stesso. Secondo la Suprema Corte, le argomentazioni presentate erano “aspecifiche e rivalutative”, ovvero non indicavano un preciso errore di diritto commesso dal Tribunale, ma chiedevano una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa al giudice di legittimità.
Le Motivazioni
La Corte ha spiegato che il ruolo della Cassazione non è quello di un terzo grado di giudizio dove si possono riesaminare le prove e le circostanze di fatto. Il suo compito è verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente le norme di legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e coerente.
Nel caso in esame, il Tribunale di Sorveglianza aveva fornito una motivazione che, secondo la Cassazione, appariva “scevra da vizi logici e giuridici”. Il giudice di merito aveva ritenuto provata la mancata adesione del condannato al percorso rieducativo proprio sulla base del comportamento che aveva portato alla sanzione. Il ricorso, invece di contestare un errore nell’applicazione della legge (ad esempio, sostenendo che la legge vieta di considerare le sanzioni disciplinari), si limitava a contestare l’interpretazione dei fatti data dal Tribunale. Questo tipo di doglianza, interamente versata sul piano fattuale, è considerata inammissibile in sede di Cassazione.
Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso per cassazione deve essere fondato su motivi di diritto e non può trasformarsi in un appello mascherato per ottenere una nuova valutazione del merito. Per chi si trova a contestare il diniego di un beneficio come la liberazione anticipata, è cruciale che l’atto di impugnazione individui con precisione i vizi logici o le violazioni di legge nella decisione del giudice, piuttosto che limitarsi a offrire una diversa lettura dei fatti. La decisione conferma, inoltre, l’ampia discrezionalità del Tribunale di Sorveglianza nel valutare la condotta del detenuto e la sua effettiva partecipazione al programma di rieducazione.
Una sanzione disciplinare impedisce automaticamente la concessione della liberazione anticipata?
No, non vi è un automatismo. Tuttavia, il giudice di sorveglianza può legittimamente dedurre dalla sanzione disciplinare la prova della mancata adesione del condannato all’opera rieducativa, purché la sua decisione sia basata su una motivazione logica e giuridicamente corretta.
Per quale motivo principale il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto aspecifico e rivalutativo. Invece di contestare errori di diritto, le argomentazioni del ricorrente miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti e del comportamento del detenuto, un’attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.
Cosa comporta per il ricorrente la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la conferma della decisione impugnata, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9179 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9179 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in NIGERIA il 11/05/1989
avverso l’ordinanza del 06/11/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di Catania
RITENUTO IN FATTO CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Catania ha rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il provvedimento emesso dal Magistrato di sorveglianza di Siracusa in data 24/05/2024, che aveva disatteso l’istanza di riconoscimento della liberazione anticipata, per il semestre 29/09/2017-02/10/2017, per essere il condannato incorso in un rilievo disciplinare del 27/02/2024, sanzionato dal Consiglio di disciplina con cinque giorni di isolamento durante la permanenza all’aperto.
Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo violazione e/o errata applicazione dell’art. 54 legge 26 luglio 1975, n. 354, in relazione agli artt. 77 e 80 del d.P.R. n. 230 del 2000, per esser stata dedotta in modo automatico – dalla sussistenza della sopra detta sanzione disciplinare – la mancata partecipazione del condannato all’opera rieducativa.
Il ricorso è inammissibile, in quanto aspecifico e rivalutativo. Invero, le doglianze sussunte nell’atto di impugnazione sono interamente versate in fatto e non riescono a confrontarsi compiutamente con la motivazione adottata dal Tribunale di sorveglianza, che appare scevra da vizi logici e giuridici e ritiene provata la mancata adesione del condannato all’opera di rieducazione, posta a fondamento dell’invocato beneficio penitenziario.
Per queste ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2025.