Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38859 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38859 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/04/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo giudizio.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 18 aprile 2024 il Tribunale di sorveglianza di Firenze ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME contro l’ordinanza con cui il magistrato di sorveglianza di Livorno aveva negato la liberazione anticipata per i semestri dal 03/11/2016 al 03/05/2019. Il magistrato aveva motivato il diniego con la gravità del delitto commesso in quel periodo, essendo stato l’istante condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis cod.pen. commesso in quell’arco temporale, durante parte del quale egli si trovava in stato di detenzione per precedenti reati.
Il Tribunale ha ritenuto condivisibile tale decisione, impugnata dal reclamante solo sostenendo di avere tenuto, in quel periodo, un comportamento intramurario corretto, sottolineando che la condotta carceraria non costituiva il motivo del diniego e che la commissione del delitto associativo fino al 2019 è stata accertata con sentenza definitiva. Il Tribunale ha ritenuto irrilevante il fatto che, nella medesima sentenza, il detenuto risulti condannato per numerose estorsioni commesse nell’anno 2016, mentre era in libertà, essendo ostativo alla concessione del beneficio il reato associativo, accertato con la permanenza indicata. Il detenuto non si è mai formalmente dissociato dal clan di appartenenza, e non ha fornito alcuna prova da cui dedurre la cessazione del vincolo associativo con l’inizio della detenzione, detenzione che, notoriamente, non determina da sola il venir meno del vincolo stesso.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo, con il quale denuncia l’erronea applicazione dell’art. 54 Ord. pen. e il vizio di motivazione.
Il Tribunale si è riportato alla decisione del magistrato di sorveglianza senza fornire una motivazione autonoma, ed ha svalutato l’elemento favorevole costituito dal buon comportamento intramurario che dimostra, invece, la partecipazione del ricorrente al programma riabilitativo. Inoltre, nonostante la richiesta del ricorrente, non ha verificato e valutato l’effettiva epoca di commissione del delitto di partecipazione all’associazione criminosa, e non ha indicato elementi che dimostrino la prosecuzione di essa durante il periodo di detenzione. Non è, peraltro, onere del detenuto dimostrare, in caso di contestazione aperta, la permanenza della consumazione del delitto sino alla emissione della sentenza di primo grado, dovendo l’accusa dimostrare l’effettiva durata della condotta criminosa. La giurisprudenza di legittimità ha precisato che tale verifica deve essere compiuta anche ai fini della valutazione della
concedibilità del beneficio della liberazione anticipata, non potendo il diniego derivare da un semplice automatismo.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per un nuovo giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei termini precisati, e deve essere accolto.
La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che «in tema di benefici penitenziari, ai fini della concessione della liberazione anticipata in presenza di un reato ostativo permanente con contestazione cd. aperta (nella specie quello di partecipazione ad associazione di tipo mafioso), è necessario che il giudice verifichi, tenendo conto della motivazione della sentenza di condanna, le date cui deve essere riferita in concreto ed entro le quali deve ritenersi esaurita la condotta partecipativa attribuita al condannato» (Sez. 1, n. 49625 del 14/11/2023, Rv. 285429).
L’ordinanza impugnata non chiarisce se tale verifica sia stata o meno effettuata, mediante un esame approfondito della motivazione della sentenza di condanna per il delitto associativo. Essa, infatti, riporta varie date, in merito alla sussistenza di tale delitto, senza precisare se si tratti dell’esito accertamenti compiuti dai giudici della cognizione, o di un’epoca presunta di cessazione della condotta criminosa, contestata nella forma c.d. “aperta”, conseguente alla emissione della sentenza di primo grado. In particolare, nella parte iniziale della motivazione l’ordinanza riporta la decisione del magistrato di sorveglianza, che ha citato la durata del delitto associativo come commesso dal 2009 «e con condotta perdurante fino al maggio 2019» solo come dato riportato nella contestazione, senza chiarire se tali date siano state confermate dalla sentenza di condanna, e che ha riferito in modo generico l’intervenuta emissione, in data 12 marzo 2019, di una ordinanza di custodia cautelare per tale reato, senza precisare quando sarebbe stato commesso. Il Tribunale aggiunge, poi, , che il perdurare del vincolo associativo «fino al maggio 2019» è stato stabilito dalla sentenza definitiva di condanna, ma nello stesso tempo conferma che, come sostenuto dal ricorrente, le condotte materiali di estorsione sono state commesse nell’anno 2016, fino alla sopravvenuta detenzione del condannato, e, pur definendo tale dato irrilevante al fine di valutare la durata del vincolo associativo, scrive che questo è stato ritenuto, dalla predetta sentenza di
condanna, «perdurante fino al 2016», rendendo così non chiaro quale sia l’effettivo accertamento compiuto dai giudici della cognizione.
La motivazione, poi, è corretta nella parte in cui afferma che il sopravvenire di uno stato di detenzione non determina, da solo, la cessazione del vincolo associativo, ma erra nella parte in cui attribuisce al detenuto l’onere di produrre «prove oggettive ed apprezzabili» circa l’avere interrotto in un’epoca precisa la sua appartenenza all’associazione criminosa. Il giudice, infatti, ha l’onere di verificare direttamente la durata della consumazione di tale delitto, attraverso l’attenta lettura della sentenza o delle sentenze di merito, e non deve pretendere dal condannato delle prove ulteriori, anche perché non potrebbe in alcun caso tenere conto di elementi contrastanti con la decisione di merito, se questa consegue ad accertamenti specifici in merito alla durata della partecipazione all’associazione, non avendo egli un autonomo potere di delimitazione temporale della condotta di reato, ma dovendo attenersi all’accertamento compiuto dal giudice della cognizione (Sez. 1, n. 9167 del 14/12/2022, dep. 2023, Rv. 284511).
L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata, con rinvio al giudice dell’esecuzione per un nuovo giudizio circa la concedibilità della liberazione anticipata per il periodo richiesto, da valutare all’esito di una specifica verifica dell’effettiva durata della commissione del delitto associativo, come accertata dai giudici della cognizione, e di eventuali ulteriori informazioni, che il Tribunale può acquisire (vedi Sez. 1, n. 2886 del 12/07/2018, dep. 2019, Rv. 274801).
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Firenze.
Così deciso il 27 settembre 2024
Il Consigliere estensore