Liberazione Anticipata: Perché il Ricorso Diventa Inammissibile se la Pena è Già Scontata?
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 20 giugno 2024, ha fornito un importante chiarimento sul tema della liberazione anticipata e sui requisiti necessari per poter impugnare un provvedimento di diniego. Il caso analizzato dimostra come la cessazione dell’esecuzione della pena faccia venir meno l’interesse del ricorrente, portando alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Questa decisione sottolinea un principio fondamentale del nostro ordinamento: l’interesse ad agire deve essere concreto e attuale per tutta la durata del procedimento.
I Fatti del Caso
Un soggetto aveva presentato reclamo contro una decisione del Magistrato di Sorveglianza che gli negava il beneficio della liberazione anticipata. Tuttavia, nel corso del procedimento, la sua pena detentiva era giunta al termine. Di conseguenza, il Tribunale di Sorveglianza di Ancona, con un’ordinanza del 10 gennaio 2024, aveva dichiarato il reclamo inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, poiché il ricorrente aveva ormai scontato interamente la sua pena.
Nonostante ciò, il soggetto ha deciso di proporre ricorso per cassazione avverso questa ordinanza, lamentando una presunta violazione di legge e un vizio di motivazione.
L’Importanza dell’Interesse nel Ricorso per la Liberazione Anticipata
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, definendolo manifestamente infondato. Il cuore della decisione si basa su un principio cardine del diritto processuale: l’interesse ad agire. Per poter impugnare un provvedimento, non è sufficiente una mera astratta violazione di legge; è necessario che il ricorrente abbia un interesse concreto e attuale a ottenere una modifica della decisione impugnata.
Nel contesto della liberazione anticipata, questo interesse consiste nella possibilità di ottenere una riduzione della pena e, di conseguenza, una più rapida cessazione dello stato detentivo. Se la pena è già stata interamente espiata, questo interesse viene meno. Non esiste più alcun vantaggio pratico che il ricorrente potrebbe ottenere da un’eventuale riforma del provvedimento di diniego.
Le motivazioni della decisione
La Suprema Corte ha confermato la correttezza della decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici hanno ribadito che la concretezza e l’attualità dell’interesse sono requisiti imprescindibili per poter impugnare un provvedimento che nega la liberazione anticipata. Una volta che la pena è stata scontata, il procedimento perde il suo scopo pratico. L’eventuale accoglimento del ricorso non potrebbe più incidere sulla durata della detenzione, che è già terminata.
Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle ammende. Questa condanna, prevista dall’art. 616 del codice di procedura penale, viene applicata quando l’inammissibilità è dovuta a colpa del ricorrente, come nel caso di un’impugnazione proposta senza un valido interesse giuridico.
Conclusioni
L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale: non si può ricorrere in giudizio senza un interesse concreto e attuale. Nel caso specifico della liberazione anticipata, questo interesse si esaurisce con il termine della pena. Chi intende contestare un diniego di questo beneficio deve farlo finché la detenzione è ancora in corso. Dopo l’espiazione della pena, qualsiasi impugnazione sarà inevitabilmente destinata a essere dichiarata inammissibile, con la conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria. Questa decisione serve da monito sull’importanza di valutare attentamente i presupposti processuali prima di avviare un’azione legale.
È possibile presentare ricorso contro il diniego di liberazione anticipata dopo aver scontato tutta la pena?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che una volta espiata la pena, viene meno l’interesse concreto e attuale ad impugnare, rendendo il ricorso inammissibile.
Cosa si intende per ‘sopravvenuta carenza di interesse’?
Significa che l’interesse che giustificava l’avvio di un procedimento legale è venuto a mancare nel corso dello stesso. Nel caso specifico, l’interesse a ottenere una riduzione della pena svanisce quando la pena è stata già interamente scontata.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di elementi che escludano la sua colpa, al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34873 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34873 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME ANCONA il DATA_NASCITA
NOME l’ordinanza del 10/01/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RAI
IN FATTO E IN DIRITTO
Con ordinanza emessa il 10 gennaio 2024 il Tribunale di Sorveglianza di Ancona ha dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse il reclamo introdotto da COGNOME NOME la decisione in tema di liberazion anticipata emessa in data 1 agosto 2023 dal MdS di Ancona, per intervenuta espiazione della pena.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – nelle forme di legge – COGNOME NOME deducendo violazione di legge e vizio di motivazione
Il ricorso va dichiarato inammissibile perché proposto per motivi manifestamente infondati.
Ed invero, la necessaria concretezza ed attualità dell’interesse ad impugnare provvedimento di diniego della liberazione anticipata) non può ravvisarsi nel ipotesi di intervenuta espiazione della pena, così come si è ritenuto in se merito. GLYPH L.,..’Ax -bco CA. GLYPH CA-52-)a GLYPH tiL, GLYPH 1,0 (..,,,uu- n “–r) GLYPH cAL( At-., GLYPH LI” GLYPH uo GLYPH .2 e u4AA
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue di diritto la condanna de ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibili al versamento a favore della Cassa delle ammende di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. pr pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 20 giugno 2024
Il Consigliere estensore
Presidente