Liberazione Anticipata: Quando la Cattiva Condotta Sbarra la Strada
La liberazione anticipata rappresenta uno degli strumenti più importanti nel percorso di rieducazione del condannato, premiando la buona condotta con uno sconto di pena. Tuttavia, cosa accade quando il comportamento del detenuto non è esemplare? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che la presenza di rapporti disciplinari negativi costituisce un ostacolo insormontabile per l’accesso a tale beneficio, confermando la linea dura del Tribunale di Sorveglianza.
I Fatti del Caso
Un detenuto si è visto parzialmente respingere la sua richiesta di liberazione anticipata dal Tribunale di Sorveglianza di Torino. La decisione del tribunale era fondata su una valutazione negativa della condotta del soggetto durante i semestri di detenzione presi in esame. Nello specifico, a carico del detenuto erano stati elevati due distinti rapporti disciplinari in date diverse, uno nel gennaio 2020 e l’altro nel maggio 2021.
Contro questa decisione, il detenuto ha proposto ricorso per Cassazione, cercando di ottenere una revisione del provvedimento e il riconoscimento del beneficio negatogli.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha esaminato il ricorso e lo ha ritenuto manifestamente infondato, dichiarandolo inammissibile. Di conseguenza, non solo la decisione del Tribunale di Sorveglianza è stata confermata, ma il ricorrente è stato anche condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria aggiuntiva è stata comminata poiché non sono emersi elementi per escludere la colpa del ricorrente nell’aver presentato un ricorso palesemente privo di fondamento.
Le Motivazioni: Condotta Irregolare e Genericità del Ricorso
Le motivazioni alla base della decisione della Cassazione sono chiare e si articolano su due punti principali.
In primo luogo, la Corte ha dato pieno valore ai due rapporti disciplinari. Questi episodi sono stati considerati una prova concreta e inconfutabile della ‘irregolare condotta’ del detenuto, elemento che per sua natura osta alla concessione della liberazione anticipata. Il beneficio, infatti, è strettamente legato alla prova di una partecipazione attiva e positiva al percorso rieducativo, e le infrazioni disciplinari dimostrano esattamente il contrario.
In secondo luogo, la Corte ha sottolineato come il detenuto fosse pienamente consapevole dei procedimenti disciplinari a suo carico. A riprova di ciò, in entrambi i casi egli si era rifiutato di firmare il verbale di contestazione. Questo dettaglio ha rafforzato la posizione dell’accusa, escludendo qualsiasi possibile vizio di notifica o mancata conoscenza degli addebiti.
Infine, il ricorso stesso è stato giudicato generico. Le censure mosse dal detenuto non sono entrate nel merito del ragionamento logico-giuridico del Tribunale di Sorveglianza, limitandosi a contestazioni superficiali che non hanno scalfito la solidità della decisione impugnata.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale nell’ambito dell’esecuzione penale: la buona condotta non è un dettaglio, ma il presupposto essenziale per accedere ai benefici penitenziari come la liberazione anticipata. La pronuncia insegna che la presenza di sanzioni disciplinari documentate rende quasi impossibile ottenere uno sconto di pena. Inoltre, evidenzia l’importanza di presentare ricorsi specifici e ben argomentati. Un’impugnazione generica, che non contesta punto per punto le motivazioni del giudice, è destinata a essere dichiarata inammissibile, con l’ulteriore conseguenza negativa della condanna a spese e sanzioni pecuniarie.
Un detenuto può ottenere la liberazione anticipata se ha avuto rapporti disciplinari a suo carico?
No, secondo questa ordinanza, la presenza di rapporti disciplinari che dimostrano una condotta irregolare è un motivo valido per negare o respingere parzialmente la richiesta di liberazione anticipata.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene giudicato manifestamente infondato?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, in assenza di prove che escludano la sua colpa, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
La mancata firma del verbale di contestazione di un’infrazione disciplinare aiuta il detenuto?
No, al contrario. In questo caso, il rifiuto di firmare il verbale è stato considerato dalla Corte come prova che il detenuto era a conoscenza del procedimento disciplinare a suo carico.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5426 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5426 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LOCRI il 13/09/1982
avverso l’ordinanza del 30/04/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e la ordinanza impugnata.
Rilevato che il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato;
Considerato, infatti, che il Tribunale di sorveglianza di Torino ha parzialmente respinto la richiesta di liberazione anticipata avanzata dall’odierno ricorrente in ragione della irregolare condotta da lui serbata nel corso dei relativi semestri ed a causa della quale erano stati elevati, nei suoi confronti, due rapporti disciplinari in data 24 gennaio 2020 e 5 maggio 2021;
Rilevato che il provvedimento impugnato ha evidenziato che in entrambi i casi il detenuto si era rifiutato di firmare il verbale di contestazione e che, pertanto, egli era a conoscenza dei procedimenti disciplinari stessi;
Rilevato che le censure del ricorrente, oltre ad essere generiche, non si confrontano con il compiuto ragionamento svolto dal Tribunale di sorveglianza per respingere il suo reclamo;
Ritenuto che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2025.