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Liberazione anticipata: no se c’è una recidiva

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto a cui era stata negata la liberazione anticipata. La Corte ha stabilito che la commissione di nuovi reati, anche se avvenuta dopo il periodo di detenzione per cui si chiede il beneficio, è una prova valida del fallimento del percorso rieducativo. Tale comportamento successivo dimostra una persistente personalità deviante e la mancanza di una reale adesione al trattamento, giustificando il diniego del beneficio.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Liberazione Anticipata: La Condotta Post-Detenzione Può Annullare il Beneficio?

La liberazione anticipata rappresenta un istituto fondamentale nel diritto penitenziario italiano, concepito come incentivo alla partecipazione del condannato al percorso di rieducazione. Tuttavia, la valutazione del giudice non è un mero calcolo matematico basato sulla buona condotta formale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come comportamenti tenuti dopo il periodo di detenzione possano influenzare retroattivamente la concessione del beneficio, dimostrando il fallimento del trattamento.

I Fatti del Caso

Un detenuto presentava istanza per ottenere la liberazione anticipata per due semestri di pena scontati, dal luglio 2020 al luglio 2021. La sua richiesta veniva rigettata prima dal Magistrato di Sorveglianza e poi, in sede di reclamo, dal Tribunale di Sorveglianza. La motivazione del diniego si fondava su comportamenti che, secondo i giudici, erano indicativi di una mancata adesione al trattamento rieducativo.

Nello specifico, il Tribunale evidenziava come alcuni episodi criminali emersi successivamente, per i quali il soggetto si trovava in fase cautelare, non solo dimostravano la mancata adesione al percorso rieducativo, ma erano anche indice di una personalità ancora legata a una sub-cultura deviante. Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione, in particolare sotto il profilo del “travisamento del fatto”.

La Decisione della Corte sulla Liberazione Anticipata

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno ritenuto che la motivazione del Tribunale di Sorveglianza fosse logica, coerente e priva di vizi. La Corte ha confermato che il giudice di merito ha correttamente valutato gli elementi di fatto per dedurre la carenza di adesione al trattamento rieducativo. Il ricorso, secondo la Cassazione, si limitava a contestare nel merito la valutazione dei fatti, tentativo non consentito in sede di legittimità.

Le Motivazioni: La Condotta Successiva Come Prova del Fallimento Rieducativo

Il cuore della pronuncia risiede nel principio secondo cui la valutazione per la liberazione anticipata non è un compartimento stagno, limitato al semestre di riferimento. La Corte di Cassazione ha ribadito un orientamento consolidato: il comportamento tenuto dal condannato dopo la sua scarcerazione o durante un periodo di libertà può avere un effetto retroattivo sulla valutazione del periodo di detenzione precedente.

La motivazione del Tribunale di Sorveglianza, avallata dalla Cassazione, sottolinea che i nuovi reati commessi alla prima occasione utile dimostrano il “fallimento del percorso rieducativo anche per il periodo precedente”. In altre parole, la ricaduta nel reato è un “sicuro elemento rivelatore” del fatto che, anche durante la detenzione, mancava del tutto la volontà di partecipare all’opera di rieducazione. Questo approccio olistico permette al giudice di avere un quadro completo della personalità del condannato e dell’effettività del suo percorso di reinserimento.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza conferma un importante principio per la concessione della liberazione anticipata. La valutazione non si limita a un esame formale della condotta tenuta all’interno delle mura carcerarie durante un dato semestre. Al contrario, il giudice ha il potere e il dovere di considerare tutti gli elementi utili a comprendere se il percorso rieducativo sia stato genuino e profondo. La commissione di nuovi reati dopo il periodo di detenzione diventa una sorta di “prova del nove” del fallimento di tale percorso. Per i detenuti, ciò significa che l’ottenimento del beneficio dipende non solo dal comportamento tenuto durante la pena, ma anche dalla capacità di dimostrare un reale e duraturo cambiamento una volta tornati in libertà.

Un nuovo reato commesso dopo il periodo di detenzione può influenzare la richiesta di liberazione anticipata per quel periodo?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che un comportamento negativo successivo, come la commissione di un nuovo reato, può essere considerato una prova retroattiva del fatto che la volontà di partecipare al percorso rieducativo era assente anche durante il periodo di detenzione precedente, giustificando così il diniego del beneficio.

Per quale motivo il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché contestava la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, invocando un “travisamento del fatto”. Questo tipo di valutazione non è consentito in sede di Cassazione, la quale può giudicare solo sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione, non riesaminare le prove.

Qual è il principio fondamentale ribadito da questa ordinanza in materia di liberazione anticipata?
Il principio fondamentale è che la valutazione della partecipazione del condannato all’opera di rieducazione non è rigidamente limitata al semestre in esame. Il giudice può e deve considerare la condotta complessiva del soggetto, inclusi eventi successivi al periodo di detenzione, per formare un giudizio completo sulla sincerità e l’efficacia del percorso di riabilitazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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