Liberazione Anticipata: Quando la Cattiva Condotta in Carcere Blocca il Beneficio
La liberazione anticipata rappresenta uno degli strumenti più importanti nel sistema penitenziario italiano, concepito per incentivare la partecipazione del detenuto al percorso di rieducazione. Tuttavia, non è un diritto automatico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce con fermezza che gravi infrazioni disciplinari dimostrano una mancata adesione al trattamento e, di conseguenza, giustificano pienamente il diniego del beneficio. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Un detenuto si è visto respingere la richiesta di liberazione anticipata dal Tribunale di Sorveglianza di Milano. La decisione era motivata dalla presenza di specifici e gravi episodi di cattiva condotta avvenuti durante il periodo di detenzione. In particolare, al detenuto venivano contestati due rilievi disciplinari:
1. Un comportamento prepotente e verbalmente violento nei confronti di un operatore di Polizia Penitenziaria, che gli è costato l’esclusione dalle attività ricreative e sportive.
2. Il tentativo di utilizzare la telefonata autorizzata di un altro detenuto per parlare con un legale, contravvenendo alle regole interne.
Ritenendo ingiusto il diniego, il detenuto ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione da parte del Tribunale.
La Decisione della Corte di Cassazione sulla Liberazione Anticipata
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile. Questa decisione ha comportato due conseguenze dirette per il ricorrente, come previsto dalla legge:
* La condanna al pagamento delle spese processuali.
* Il versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, un ente che finanzia progetti di reinserimento per i detenuti.
La Corte ha quindi confermato integralmente la valutazione del Tribunale di Sorveglianza, chiudendo definitivamente la porta alla concessione del beneficio per il semestre in questione.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Corte è netta e si fonda su un principio cardine: la liberazione anticipata è una ricompensa per chi dimostra un’adesione concreta e costante al percorso rieducativo. Secondo i giudici, i comportamenti del detenuto erano tutt’altro che banali, ma rappresentavano la prova di una “totale indifferenza del rispetto delle regole detentive”.
L’aggressione verbale a un agente e il tentativo di aggirare le norme sulle comunicazioni non sono state considerate semplici leggerezze, ma sintomi di una mancata comprensione del significato del percorso trattamentale. La Corte ha sottolineato come tali episodi dimostrino che il ricorrente non aveva aderito in maniera adeguata all’opera di rieducazione, facendo venir meno il presupposto fondamentale per la concessione del beneficio. In sostanza, il rigetto del reclamo non è stato arbitrario, ma fondato su elementi concreti e inequivocabili che delineavano un profilo incompatibile con la finalità premiale della norma.
Conclusioni: L’Importanza della Partecipazione al Trattamento Rieducativo
Questa ordinanza invia un messaggio chiaro: la valutazione per la liberazione anticipata non si limita a un calcolo matematico dei giorni di pena scontati. È un’analisi sostanziale della condotta e della personalità del detenuto. La partecipazione all’opera di rieducazione deve essere genuina e dimostrata attraverso un comportamento rispettoso delle regole e delle persone all’interno dell’istituto penitenziario. Ogni infrazione disciplinare, specialmente se grave, può essere interpretata come un segnale negativo che interrompe il percorso virtuoso richiesto dalla legge, precludendo l’accesso ai benefici penitenziari.
La liberazione anticipata è un diritto automatico del detenuto?
No, l’ordinanza chiarisce che non è un diritto, ma un beneficio concesso solo a fronte della prova di un’effettiva e costante partecipazione al percorso di rieducazione.
Quali comportamenti possono impedire la concessione della liberazione anticipata?
Comportamenti che dimostrano indifferenza e mancato rispetto delle regole detentive. Nel caso specifico, un atteggiamento prepotente e verbalmente violento verso un agente e il tentativo di usare impropriamente il telefono sono stati decisivi per il diniego.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Come stabilito nell’ordinanza, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, in questo caso fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2519 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2519 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CROTONE il 02/01/1990
avverso l’ordinanza del 03/07/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME relative alla violazione di legge e al vizio di motivazione in ordine al rigetto del reclamo proposto in tema di liberazione anticipata, siano manifestamente infondate.
Invero, nell”ordinanza impugnata, a fronte di tutti i rilievi svolti dalla difesa evidenzia che il ricorrente ha dimostrato di non aver aderito in maniera adeguata all’opera di rieducazione nei periodi di cui alla richiesta del beneficio penitenziari emergendo gravi rilievi disciplinari commessi il 9.4.2023 e il 30.6.2023, il primo relativo a comportamento prepotente e verbalmente violento tenuto nei confronti di un operatore di Polizia penitenziaria (punito con esclusione dalle attività ricreative e sportive) e il secondo relativo al tentativo di parlare al telefono con un legale durante una telefonata autorizzata ad altro detenuto, entrambi dimostrativi della totale indifferenza del rispetto delle regole detentive da parte di COGNOME.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2024.