Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23432 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23432 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a Cutro il DATA_NASCITA;
avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di L’Aquila del 14/11/2023;
visti gli atti, il provvedimento impugNOME ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso limitatamente al periodo dal 06/04/2018 al 30/10/2018 ed il rigetto nel resto.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Pescara del 12 giugno 2023 con la quale, tra l’altro, era stata respinta la sua domanda di liberazione anticipata ex art. 54 ord. pen. in relazione ai periodi di detenzione sofferti dal 28 gennaio 2015 al 21 febbraio 2015 e dal 3 settembre 2015 al 5 aprile 2018 (per avere riportato due sanzioni disciplinari il 24 agosto 2017 ed il 15 dicembre 2017) e per essere stato condanNOME per violazione dell’art. 416-bis cod. pen. con contestazione c.d. ‘aperta’ sino a febbraio 2018 ed era stata dichiarata inammissibile la richiesta con riferimento al periodo dal 6 aprile 2018 al 30 ottobre 2018, in quanto relativo ad una carcerazione non riguardante il titolo esecutivo attualmente in espiazione.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico ed articolato motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. p insistendo per l’annullamento del provvedimento impugNOME.
2.1. Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 54 ord. pen. e degli artt. 24 e 6, comma 3, CEDU ed il relativo vizio di motivazione rispetto al rigetto ed alla declaratoria inammissibilità della sua richiesta di riduzione della pena per liberazione anticipata.
2.2. Al riguardo deduce, anzitutto, la contraddittorietà della motivazione rispetto al periodo di detenzione sofferta dal 6 aprile 2018 sino al 30 ottobre 2018 che lo stesso Tribunale indica come incluso nel provvedimento di cumulo emesso iI 5 ottobre 2022 dalla Procura generale presso la Corte di appello di Bologna attualmente in espiazione, per poi ritenere corretta la decisione del Magistrato di sorveglianza che l’aveva invece considerata estranea rispetto al titolo in esecuzione.
2.3. Il condanNOME, con riferimento alla carcerazione dal 28 gennaio 2015 al 21 febbraio 2015 e dal 3 settembre 2015 al 5 aprile 2018, osserva che il richiamo operato dal Tribunale di sorveglianza alla c.d. contestazione ‘aperta’ rispetto al reato associativo è stato impropriamente utilizzato per respingere la domanda di liberazione anticipata, senza alcun esame del suo comportamento durante detti periodi.
2.4. Infine, il ricorrente censura la ordinanza per avere confermato il rigetto della richiesta sulla base delle sanzioni disciplinari sopra indicate (del 24 agosto 2017 e del 15 dicembre 2017), senza però valutarne la effettiva gravità e la
concreta rilevanza, al fine di escludere la partecipazione del condanNOME all’opera di rieducazione anche nei semestri nei quali tali episodi non si erano verificati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va accolto per le ragioni di seguito illustrate.
Anzitutto risulta fondata la censura riguardante la pronuncia di inammissibilità della liberazione anticipata per il periodo di detenzione dal 6 aprile 2018 al 30 ottobre 2018 poiché, effettivamente, il Tribunale di sorveglianza – pur dando atto che esso riguarda il titolo che NOME COGNOME sta espiando – ha tuttavia confermato la decisione del Magistrato di sorveglianza sul punto, incorrendo in tal modo nella lamentata contraddittorietà della motivazione.
Con riferimento alla carcerazione maturata dal 28 gennaio 2015 al 21 febbraio 2015 e dal 3 settembre 2015 al 5 aprile 2018, deve ricordarsi che la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione è concorde nell’affermare che, quando dalla data di cessazione della permanenza debba farsi derivare, anche in sede esecutiva, un qualsiasi effetto giuridico, “non può bastare il puro e semplice riferimento alla data della sentenza di primo grado, ma occorre verificare … ove si sia trattato di contestazione aperta, se il Giudice di merito abbia o meno ritenuto, esplicitamente o implicitamente, provata la permanenza della condotta illecita oltre la data dell’accertamento” ed, eventualmente, se tale permanenza risulti effettivamente accertata fino alla sentenza (tra le altre Sez. 1, n.774 del 14.12.2004, dep. 2005, COGNOME, Rv.232966; nello stesso senso, Sez. 1, n. 46583 del 17/11/2005, COGNOME, Rv.230727). In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha specificato che tale principio deve trovare, a maggior ragione, applicazione – come nel caso di specie – ai fini della valutazione della concessione del beneficio della liberazione anticipata, in considerazione della necessità, in tale materia, di fare riferimento a comportamenti concreti, escludendo ogni automatismo collegato al sopravvenire di una condanna, sia in sede di ammissione che in sede di revoca del beneficio (Sez. 5, n. 25578 del 15/05/2007, COGNOME, Rv. 237707).
3.1. Dunque, ai fini della concessione del beneficio della liberazione anticipata in presenza di un reato permanente con contestazione cosiddetta aperta, è necessario che il giudice verifichi, alla luce della motivazione della sentenza di condanna, le date cui devono essere riferite in concreto ed entro le quali devono ritenersi concluse le condotte di partecipazione attribuite al condanNOME (Sez. 1, n. 20158 del 22/3/2017, Rizzo, Rv.270118). Va, insomma, ribadito che la regola
per cui nel caso di contestazione cosiddetta aperta la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado ha valore esclusivamente processuale e non sostanziale, nel senso che non ricade sull’imputato l’onere di dimostrare, a fronte di una presunzione contraria, la cessazione dell’illecito prima della data della condanna di primo grado, spettando, viceversa, all’accusa l’onere di fornire la prova del protrarsi della condotta criminosa fino all’indicato ultimo limite processuale (Sez. 2, n. 23343 dell’1/3/2016, Ariano e altri, Rv.267080).
3.2. Degli enunciati principi non ha fatto corretta applicazione il provvedimento impugNOME che, nonostante gli specifici rilievi difensivi sulla natura aperta della imputazione del reato di associazione di stampo mafioso, formulata nei confronti del ricorrente, non ha adempiuto all’onere di verificare, sulla scorta della motivazione delle sentenze di merito, quale fosse, in concreto, l’epoca, precedente concomitante o successiva, della condotta di partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa ritenuta ostativa al beneficio. Né, d’altra parte, sono stati indicati elementi che, a prescindere dal tempus commisi delicti, siano comunque sintomatici della protrazione dei collegamenti del condanNOME con la criminalità organizzata, circostanza di per sé significativa della mancata partecipazione all’opera di rieducazione (Sez. 1, n. 2886 del 12/07/2018, dep. 2019, Torcasio, Rv.274801 – 01).
3.3. Infine, anche rispetto alle due sanzioni disciplinari sopra richiamate, l’ordinanza impugnata ha omesso di argomentare circa la loro valenza per escludere la partecipazione dell’odierno ricorrente all’opera di rieducazione sia nel corso dei semestri in cui sono avvenute e sia, soprattutto, la loro rilevanza anche nei semestri precedenti e successivi ad esse, stante il principio generale di valutazione frazionata dei semestri ai sensi del citato art.54.
Le lacune motivazionali rilevate impongono quindi l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di L’Aquila per nuovo giudizio che – in piena autonomia decisionale – tenga conto dei rilievi sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di L’Aquila.
Così deciso in Roma, il 2 maggio 2024.