Liberazione anticipata: quando la nuova istanza è inammissibile
La liberazione anticipata rappresenta un istituto fondamentale nel nostro ordinamento penitenziario, incentivando la partecipazione del condannato al percorso rieducativo. Tuttavia, le modalità per richiederla e per contestare eventuali provvedimenti negativi seguono regole procedurali precise. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale riguardo le istanze volte a integrare un beneficio già concesso, ma in misura ritenuta incompleta.
Il caso esaminato riguarda un detenuto che, dopo aver già ottenuto la liberazione anticipata ordinaria, ha presentato una nuova istanza per vedersi riconoscere un’ulteriore riduzione di pena prevista da una disciplina speciale e temporanea. Vediamo come la Suprema Corte ha risolto la questione.
I Fatti di Causa
Un detenuto, con fine pena previsto per il 2026, si era visto rigettare dal Tribunale di Sorveglianza il reclamo contro la decisione del Magistrato di Sorveglianza. Quest’ultimo aveva dichiarato inammissibile la sua istanza volta a ottenere un’integrazione della liberazione anticipata già concessa. Nello specifico, il detenuto chiedeva l’applicazione del beneficio speciale di ulteriori trenta giorni (portando il totale a 75 giorni per semestre) per il periodo di detenzione compreso tra il 1° gennaio 2010 e il 31 dicembre 2015, come previsto da una normativa speciale (d.l. n. 146/2013).
Il Tribunale di Sorveglianza aveva basato la sua decisione su due pilastri: in primo luogo, un principio di diritto già affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui una richiesta di integrazione di un provvedimento già adottato deve essere fatta valere tramite reclamo contro quel provvedimento e non con una nuova e separata istanza. In secondo luogo, il medesimo Tribunale si era già espresso in passato su un’analoga richiesta dello stesso detenuto, respingendola.
Contro questa decisione, il difensore del detenuto ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando una presunta mancanza di motivazione.
La decisione della Corte sulla liberazione anticipata
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che le censure presentate dal ricorrente fossero generiche e non si confrontassero adeguatamente con la solida motivazione del Tribunale di Sorveglianza. La decisione impugnata, secondo la Suprema Corte, è esente da vizi logici o giuridici.
Le motivazioni
Il punto centrale della motivazione risiede nel corretto strumento processuale da utilizzare. La Corte ha richiamato un suo precedente orientamento giurisprudenziale (sentenza n. 20278/2020), il quale stabilisce un principio molto chiaro: se un detenuto ritiene che il provvedimento di liberazione anticipata sia incompleto (perché, ad esempio, non ha applicato il beneficio speciale aggiuntivo), la sua doglianza non può essere introdotta con una nuova istanza al magistrato di sorveglianza. La questione, infatti, è “deducibile esclusivamente in sede di reclamo al tribunale di sorveglianza” avverso il provvedimento originario che si ritiene errato o parziale.
In pratica, il detenuto avrebbe dovuto impugnare tempestivamente la prima ordinanza con cui gli era stata concessa la liberazione anticipata “standard” (45 giorni), lamentando la mancata concessione del beneficio “speciale” (ulteriori 30 giorni). Proporre, a distanza di tempo, una nuova istanza per ottenere un'”integrazione” è una via proceduralmente non corretta e, come tale, inammissibile. Il Tribunale di Sorveglianza aveva, quindi, correttamente respinto il reclamo, avendo il detenuto scelto uno strumento processuale sbagliato.
Le conclusioni
Questa ordinanza rafforza un principio di economia processuale e di certezza del diritto. Le decisioni giudiziarie, una volta emesse, possono essere contestate solo attraverso gli specifici mezzi di impugnazione previsti dalla legge e entro termini perentori. Non è consentito aggirare tali meccanismi presentando nuove istanze sullo stesso oggetto. Per i detenuti e i loro difensori, ciò significa che è fondamentale esaminare con la massima attenzione i provvedimenti ricevuti e, in caso di presunti errori od omissioni, attivare immediatamente il corretto rimedio processuale, ovvero il reclamo al Tribunale di Sorveglianza, per evitare di incorrere in una declaratoria di inammissibilità che preclude l’esame nel merito della richiesta.
È possibile chiedere un’integrazione della liberazione anticipata con una nuova istanza?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la richiesta di integrare un provvedimento di liberazione anticipata già adottato è inammissibile se presentata come nuova istanza. La questione doveva essere sollevata impugnando il provvedimento originale.
Qual è il rimedio corretto per contestare un provvedimento di liberazione anticipata ritenuto incompleto?
Il rimedio corretto è il reclamo al Tribunale di Sorveglianza, da proporsi contro il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza che si ritiene errato o parziale, entro i termini di legge.
Perché il ricorso in esame è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure erano generiche e non si confrontavano con la motivazione del Tribunale di Sorveglianza, che aveva correttamente applicato il principio secondo cui la richiesta di integrazione non poteva essere proposta con una nuova istanza, ma solo tramite reclamo avverso la decisione originaria.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 17118 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 17118 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il 09/08/1958
avverso l’ordinanza del 10/12/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti;
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata;
Ritenuto che siano inammissibili le censure dedotte nel ricorso presentato da NOME COGNOME – detenuto con fine pena fissato al 15/03/2026 – a mezzo dell’avv. NOME COGNOME relative mancanza della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. c) cod. proc. pen., che sarebb riscontrabile nel provvedimento indicato in epigrafe, mediante il quale il Tribunale di sorvegli di L’Aquila ha rigettato il reclamo proposto avverso la decisione del Magistrato di sorveglian della medesima città, che aveva dichiarato inammissibile l’istanza volta ad ottenere l’integrazi della già concessa liberazione anticipata, con concessione di ulteriori trenta giorni, relativam al periodo che va dal 01/01/2010 al 31/12/2015.
Viene posto specificamente a fondamento della decisione reiettiva, in primo luogo, i principio di diritto enunciato da questa Corte (si veda Sez. 1, n. 20278 del 16/06/2020, Gangemi Rv. 279370 – 01, a mente della quale: «In tema di liberazione anticipata, è inammissibi l’istanza, presentata al magistrato di sorveglianza, volta ad ottenere, in applicazione disciplina speciale introdotta per i periodi di detenzione compresi tra 11. gennaio 2010 e i dicembre 2015 dal d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, l’integrazione del provvedimento già adottato con la riduzione della pe di ulteriori trenta giorni rispetto agli ordinari quarantacinque già concessi, in relazione ai s di pena in corso di espiazione alla data del 1 gennaio 2010, trattandosi di questione deducib esclusivamente in sede di reclamo al tribunale di sorveglianza»); a tale dato, si aggiun l’essersi il medesimo Tribunale di sorveglianza già pronunciato, in sede di reclamo avvers l’ordinanza del 16/11/2020, inerente al medesimo oggetto;
Ritenuto che le doglianze sussunte nell’atto di impugnazione siano interamente versate in fatt e, soprattutto, evitino il confronto con l’intero contenuto della motivazione adottata dal Tri di sorveglianza, che appare scevra da vizi logici e giuridici e priva di profili di contradditt pertanto, meritevole di rimanere al riparo da qualsivoglia stigma, in sede di legittimità;
Ritenuto, alla luce delle considerazioni che precedono, che il ricorso debba essere dichiarat inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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Così deciso in Roma, il 03 aprile 2025.