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Liberazione anticipata: inammissibile nuova istanza

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto che chiedeva l’integrazione della liberazione anticipata speciale. La Corte ha stabilito che la questione doveva essere sollevata tramite reclamo avverso il provvedimento originario e non con una nuova istanza, confermando così la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Il ricorso è stato ritenuto inammissibile per motivi procedurali.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Liberazione anticipata: quando la nuova istanza è inammissibile

La liberazione anticipata rappresenta un istituto fondamentale nel nostro ordinamento penitenziario, incentivando la partecipazione del condannato al percorso rieducativo. Tuttavia, le modalità per richiederla e per contestare eventuali provvedimenti negativi seguono regole procedurali precise. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale riguardo le istanze volte a integrare un beneficio già concesso, ma in misura ritenuta incompleta.

Il caso esaminato riguarda un detenuto che, dopo aver già ottenuto la liberazione anticipata ordinaria, ha presentato una nuova istanza per vedersi riconoscere un’ulteriore riduzione di pena prevista da una disciplina speciale e temporanea. Vediamo come la Suprema Corte ha risolto la questione.

I Fatti di Causa

Un detenuto, con fine pena previsto per il 2026, si era visto rigettare dal Tribunale di Sorveglianza il reclamo contro la decisione del Magistrato di Sorveglianza. Quest’ultimo aveva dichiarato inammissibile la sua istanza volta a ottenere un’integrazione della liberazione anticipata già concessa. Nello specifico, il detenuto chiedeva l’applicazione del beneficio speciale di ulteriori trenta giorni (portando il totale a 75 giorni per semestre) per il periodo di detenzione compreso tra il 1° gennaio 2010 e il 31 dicembre 2015, come previsto da una normativa speciale (d.l. n. 146/2013).

Il Tribunale di Sorveglianza aveva basato la sua decisione su due pilastri: in primo luogo, un principio di diritto già affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui una richiesta di integrazione di un provvedimento già adottato deve essere fatta valere tramite reclamo contro quel provvedimento e non con una nuova e separata istanza. In secondo luogo, il medesimo Tribunale si era già espresso in passato su un’analoga richiesta dello stesso detenuto, respingendola.

Contro questa decisione, il difensore del detenuto ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando una presunta mancanza di motivazione.

La decisione della Corte sulla liberazione anticipata

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che le censure presentate dal ricorrente fossero generiche e non si confrontassero adeguatamente con la solida motivazione del Tribunale di Sorveglianza. La decisione impugnata, secondo la Suprema Corte, è esente da vizi logici o giuridici.

Le motivazioni

Il punto centrale della motivazione risiede nel corretto strumento processuale da utilizzare. La Corte ha richiamato un suo precedente orientamento giurisprudenziale (sentenza n. 20278/2020), il quale stabilisce un principio molto chiaro: se un detenuto ritiene che il provvedimento di liberazione anticipata sia incompleto (perché, ad esempio, non ha applicato il beneficio speciale aggiuntivo), la sua doglianza non può essere introdotta con una nuova istanza al magistrato di sorveglianza. La questione, infatti, è “deducibile esclusivamente in sede di reclamo al tribunale di sorveglianza” avverso il provvedimento originario che si ritiene errato o parziale.

In pratica, il detenuto avrebbe dovuto impugnare tempestivamente la prima ordinanza con cui gli era stata concessa la liberazione anticipata “standard” (45 giorni), lamentando la mancata concessione del beneficio “speciale” (ulteriori 30 giorni). Proporre, a distanza di tempo, una nuova istanza per ottenere un'”integrazione” è una via proceduralmente non corretta e, come tale, inammissibile. Il Tribunale di Sorveglianza aveva, quindi, correttamente respinto il reclamo, avendo il detenuto scelto uno strumento processuale sbagliato.

Le conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio di economia processuale e di certezza del diritto. Le decisioni giudiziarie, una volta emesse, possono essere contestate solo attraverso gli specifici mezzi di impugnazione previsti dalla legge e entro termini perentori. Non è consentito aggirare tali meccanismi presentando nuove istanze sullo stesso oggetto. Per i detenuti e i loro difensori, ciò significa che è fondamentale esaminare con la massima attenzione i provvedimenti ricevuti e, in caso di presunti errori od omissioni, attivare immediatamente il corretto rimedio processuale, ovvero il reclamo al Tribunale di Sorveglianza, per evitare di incorrere in una declaratoria di inammissibilità che preclude l’esame nel merito della richiesta.

È possibile chiedere un’integrazione della liberazione anticipata con una nuova istanza?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la richiesta di integrare un provvedimento di liberazione anticipata già adottato è inammissibile se presentata come nuova istanza. La questione doveva essere sollevata impugnando il provvedimento originale.

Qual è il rimedio corretto per contestare un provvedimento di liberazione anticipata ritenuto incompleto?
Il rimedio corretto è il reclamo al Tribunale di Sorveglianza, da proporsi contro il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza che si ritiene errato o parziale, entro i termini di legge.

Perché il ricorso in esame è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure erano generiche e non si confrontavano con la motivazione del Tribunale di Sorveglianza, che aveva correttamente applicato il principio secondo cui la richiesta di integrazione non poteva essere proposta con una nuova istanza, ma solo tramite reclamo avverso la decisione originaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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