Liberazione anticipata e accesso alle misure alternative: una guida alla recente sentenza della Cassazione
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale nell’ambito dell’esecuzione penale: la possibilità di considerare la liberazione anticipata non ancora concessa ai fini del calcolo della pena residua per l’accesso a misure alternative alla detenzione. Questa decisione offre importanti spunti di riflessione sui requisiti necessari per beneficiare di percorsi di reinserimento sociale al di fuori del carcere.
I Fatti del Caso: La Richiesta di una Misura Alternativa
Il caso ha origine dal ricorso di un individuo condannato per diversi reati, tra cui furto aggravato, evasione e violazione della legge sugli stupefacenti. La pena residua da scontare ammontava a due anni, sette mesi e undici giorni di reclusione. Il condannato aveva presentato un’istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere una misura alternativa alla detenzione in carcere.
Il Tribunale di Sorveglianza, tuttavia, aveva respinto la richiesta. La decisione era fondata su una valutazione complessiva della personalità del soggetto, ritenuta non idonea a un percorso alternativo. In particolare, i giudici avevano evidenziato la mancanza di un progetto concreto di risocializzazione e la pregressa violazione di altre misure cautelari, elementi che delineavano una prognosi negativa circa il suo futuro reinserimento sociale.
Il Ricorso in Cassazione e la questione della liberazione anticipata
L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, lamentando principalmente che il Tribunale di Sorveglianza avesse errato nel negare la misura alternativa basandosi sulla durata della pena residua, superiore ai due anni. Secondo la difesa, il Tribunale avrebbe dovuto scomputare dalla pena ancora da espiare i giorni di liberazione anticipata potenzialmente maturabili.
Questo calcolo, secondo il ricorrente, avrebbe ridotto la pena al di sotto della soglia prevista dalla legge, rendendolo così idoneo a beneficiare della misura richiesta. Il principio invocato è quello, più volte affermato in giurisprudenza, secondo cui il giudice deve tenere conto della liberazione anticipata, anche se non formalmente concessa, qualora sussistano i presupposti per ottenerla.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. La decisione si articola su due piani principali.
In primo luogo, i giudici supremi hanno qualificato come generica la doglianza relativa al mancato computo della liberazione anticipata. Hanno osservato che tale questione non era stata sollevata in modo specifico e tempestivo dinanzi al Tribunale di Sorveglianza, che peraltro non ha competenza diretta su tale calcolo in quella sede.
In secondo luogo, e in modo più sostanziale, la Corte ha sottolineato che il fulcro della decisione del Tribunale di Sorveglianza non era la mera durata della pena residua. La ragione del diniego risiedeva nella valutazione negativa della personalità del condannato e nella prognosi sfavorevole di recidiva. L’accesso a misure come l’affidamento in prova, ricorda la Corte, è subordinato a una valutazione di meritevolezza che va oltre il semplice dato aritmetico. È necessario analizzare il comportamento del condannato e l’idoneità della misura a contribuire efficacemente al suo reinserimento nella società.
Le argomentazioni del Tribunale di Sorveglianza, basate sulla mancanza di un progetto di recupero sociale e sulle precedenti violazioni, sono state ritenute logiche e sufficienti a giustificare il rigetto dell’istanza, a prescindere dal calcolo esatto della pena residua.
Le Conclusioni: Criteri per le Misure Alternative
La sentenza ribadisce un principio fondamentale del diritto penitenziario: l’accesso alle misure alternative non è un automatismo legato a soglie di pena, ma il risultato di un giudizio complesso sulla persona del condannato. La valutazione deve tenere conto del percorso trattamentale, della condotta e delle prospettive concrete di reinserimento. Sebbene il calcolo della pena, inclusa la potenziale liberazione anticipata, sia un presupposto, esso non può superare un giudizio di inidoneità fondato su elementi concreti e logicamente motivato. La decisione del giudice di sorveglianza deve basarsi su una prognosi favorevole, senza la quale la concessione della misura alternativa perderebbe la sua finalità rieducativa.
È possibile considerare la liberazione anticipata, non ancora concessa, per calcolare la pena residua e accedere a una misura alternativa?
In linea di principio, la giurisprudenza ammette che il giudice possa tener conto della liberazione anticipata anche se non ancora concessa, ma solo se sussistono i presupposti per ottenerla. In questo caso, tuttavia, la Corte ha ritenuto il motivo di ricorso generico e non proposto correttamente in prima istanza.
Perché il Tribunale di Sorveglianza ha negato la misura alternativa nonostante la pena non fosse particolarmente elevata?
Il diniego non si è basato solo sulla durata della pena, ma soprattutto sulla valutazione negativa del percorso del condannato. Il Tribunale ha riscontrato la mancanza di un progetto di reinserimento sociale e la violazione di precedenti misure cautelari, elementi che hanno portato a una prognosi sfavorevole sulla sua idoneità alla misura.
Cosa stabilisce la Corte di Cassazione riguardo ai requisiti per l’affidamento in prova?
La Corte ribadisce che l’accesso all’affidamento in prova è subordinato alla sussistenza di requisiti precisi. Tra questi, sono fondamentali la meritevolezza del condannato, desunta dal suo comportamento, e una prognosi positiva di non recidiva, basata sulla idoneità della misura a contribuire al suo reinserimento sociale.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29853 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29853 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/05/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 1837/2025 CC – 23/05/2025
R.G.N. 11672/2025
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Messina del 26/2/2025
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
1.Con ordinanza in data 26.2.2025, il Tribunale di Sorveglianza di Messina ha provveduto su una richiesta di misura alternativa formulata da NOME COGNOME in relazione al cumulo della Procura Generale di Messina del 2.12.2024 avente ad oggetto una pena complessiva di due anni, sette mesi e undici giorni di reclusione quale residuo per il reato di cui agli artt. 624 e 625 cod. pen. commesso nel 2017, per il reato di cui all’art. 385 cod. pen. commesso nel luglio 2022 e per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 commesso nel dicembre 2021.
Il ricorso lamenta che il tribunale ha negato la detenzione domiciliare in considerazione della pena residua superiore a due anni, così omettendo di considerare la possibilità di una riduzione della pena ai sensi dell’art. 54 ord. pen. per liberazione anticipata, atteso che, come piø volte affermato dalla giurisprudenza, il giudice deve tenere conto della liberazione anticipata anche se non ancora concessa, quando sussistono i presupposti per ottenerla.
3. Con requisitoria scritta trasmessa il 5.5.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto il provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità, tenendo conto di tutti i fattori emersi nel corso dell’istruttoria, con particolare riguardo alla mancanza di un progetto risocializzante e alla violazione delle misure cautelari applicate, e così giungendo ad escludere la possibilità di recupero sociale nell’attualità, con argomentazioni tutt’altro che manifestamente illogiche. Quanto alle doglianze relative al computo della pena residua per mancato riconoscimento della fungibilità, sono generiche e, comunque, non possono trovare ingresso in questa sede, dovendo essere vagliate in sede esecutiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Quanto al primo motivo, deve premettersi che l’accesso all’affidamento in prova al servizio sociale Ł subordinato alla sussistenza di determinati requisiti, alcuni dei quali attinenti alla meritevolezza della misura alternativa che il tribunale di sorveglianza deve ricavare dall’analisi del comportamento tenuto dal condannato e dalla conseguente prognosi di non recidiva da porsi in relazione con la idoneità dell’affidamento a contribuire al suo reinserimento nella società.
Il secondo motivo Ł generico.
La questione, pertanto, non poteva essere sollevata incidentalmente – peraltro, nemmeno risulta che sia stata effettivamente proposta prima del ricorso – dinanzi al tribunale di sorveglianza, che non ha competenza in proposito.
Anche il quarto motivo Ł manifestamente infondato.
Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto il ricorso Ł da considerarsi complessivamente infondato e deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME