Liberazione Anticipata Negata per Condotta Violenta: Analisi di un’Ordinanza
La Liberazione Anticipata è un istituto fondamentale dell’ordinamento penitenziario, pensato per incentivare la partecipazione del condannato al percorso di rieducazione. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione complessiva della condotta. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come un singolo, grave episodio negativo possa compromettere l’intero percorso, anche quello pregresso.
I Fatti del Caso: La Violenza Durante la Detenzione Domiciliare
Il caso in esame riguarda un uomo in regime di detenzione domiciliare che aveva presentato ricorso contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Napoli di negargli il beneficio della liberazione anticipata. La decisione del tribunale si basava su un elemento fortemente negativo: le dichiarazioni rese dalla moglie del ricorrente ai carabinieri, nelle quali la donna affermava di essere stata violentemente aggredita dal marito per futili motivi, anche in presenza dei figli.
Sebbene la moglie avesse successivamente ritrattato le sue accuse, il Tribunale di Sorveglianza aveva ritenuto tale smentita inattendibile, interpretandola come il frutto del timore di subire ulteriori ripercussioni. Di conseguenza, il reclamo era stato rigettato, portando il caso dinanzi alla Corte di Cassazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando pienamente la valutazione del Tribunale di Sorveglianza. Secondo i giudici, le censure mosse dal ricorrente erano manifestamente infondate e non facevano altro che riproporre argomentazioni già correttamente respinte in sede di merito. La Corte ha quindi condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Perché la Liberazione Anticipata è Stata Rifiutata?
Il cuore della decisione risiede nella gravità della condotta tenuta dal ricorrente. La Corte di Cassazione ha sottolineato che l’aggressione violenta contro la moglie è un atto talmente grave da essere rivelatore di una carenza totale degli effetti positivi dell’opera di rieducazione. In altre parole, tale comportamento dimostra una perseveranza nelle logiche devianti che il percorso rieducativo avrebbe dovuto correggere.
Un punto cruciale della motivazione è che la gravità di questo singolo episodio è tale da inficiare anche i semestri antecedenti alla sua commissione. La valutazione per la liberazione anticipata, infatti, non è una semplice somma algebrica di comportamenti positivi e negativi, ma un giudizio complessivo sulla personalità e sul percorso del condannato. Un atto di tale violenza, avvenuto durante l’esecuzione della pena, cancella i progressi precedenti perché dimostra che il cambiamento non è stato autentico e profondo.
Le Conclusioni: Implicazioni sulla Valutazione della Condotta
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la partecipazione al percorso rieducativo deve essere costante e genuina. Non sono ammessi ‘scivoloni’, specialmente se di grave entità come un atto di violenza domestica. La decisione insegna che la valutazione del giudice di sorveglianza è globale e può attribuire a un singolo fatto negativo un peso tale da superare mesi o anni di condotta apparentemente regolare. Per i condannati, ciò significa che ogni azione ha un peso e che la dimostrazione di un reale cambiamento interiore è l’unica via per accedere ai benefici penitenziari come la liberazione anticipata.
Una singola condotta negativa può compromettere il diritto alla liberazione anticipata anche per i semestri precedenti?
Sì, secondo l’ordinanza, una condotta di particolare gravità, come l’aggressione violenta ai danni di un familiare, è considerata rivelatrice della mancanza di effetti positivi del percorso rieducativo e può quindi inficiare la valutazione anche per i semestri antecedenti all’episodio.
La ritrattazione della vittima di violenza ha valore in questi casi?
No, in questa specifica situazione, la Corte ha ritenuto la smentita delle accuse da parte della moglie non attendibile, poiché dettata dal timore di subire ulteriori ripercussioni. Pertanto, la ritrattazione non ha modificato la valutazione negativa della condotta del ricorrente.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro (tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2548 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2548 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a TEORA il 19/02/1950
avverso l’ordinanza del 11/07/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole della violazione di legge in relazione all’art. 54 I. 26 luglio 1975, 354 e degli artt. 392 bis e ss. cod. proc. pen. – sono manifestamente infondate.
Considerato che dette censure sono, altresì, riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal Tribunale di sorveglianza di Napoli, nel rigettare il reclamo in tema di liberazione anticipata. Invero, nell’ordinanza impugnata si evidenzia che: – il periodo preso in esame, trascorso in regime di detenzione domiciliare, si accompagna all’elemento fortemente negativo delle dichiarazioni rese ai carabinieri dalla moglie del ricorrente, la quale riferiva di essere stata violentemente aggredita per futili motivi dal marito anche alla presenza dei figli; – il successivo atteggiamento di smentita della moglie è dettato dal timore di subire ripercussioni e, di conseguenza, non sembra attendibile; – la condotta tenuta dal ricorrente è così grave da inficiare anche i semestri antecedenti in quanto rivelatrice della carenza di effetti positivi dell’opera di rieducazione, deponendo per la perseveranza nelle pregresse logiche devianti.
Rilevato, pertanto, che il ricorso – nel quale si contestano tali argomentazioni, in particolare la ritenuta gravità e l’estensione ai semestri antecedenti – deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2024.