Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20755 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20755 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a GELA il 02/04/1964
avverso l’ordinanza del 17/02/2025 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso contro l’ordinanza con cui la Corte di appello di Caltanissetta, in data 17 febbraio 2025, ha respinto la sua richiesta di sostituire alla pena dell’ergastolo, irrogata con sentenza della Corte di assise di appello di Caltanissetta in data 23 settembre 2000, quella di anni trenta di reclusione, sul presupposto della erroneità del diniego del rito abbreviato all’epoca richiesto, affermando che, essendo stata l’ammissione al rito abbreviato esclusa dal giudice della cognizione ed essendo tale decisione coperta dal giudicato, non può operare la regola giurisprudenziale dell’applicazione della lex mitior successiva;
rilevato che il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio d motivazione per non avere il giudice tenuto conto dell’effettiva epoca in cui egli ebbe a richiedere l’ammissione al giudizio abbreviato, cioè in data 07/02/2000 e poi reiterandola in data 12/06/2000, circostanza che, alla luce della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 7 d.l. n. 341/2000, consente di applicare a condannato all’ergastolo la sostituzione di tale pena con quella di trenta anni di reclusione, secondo l’interpretazione fornita da Sez. U, n.18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Ercolano, Rv. 258649, avendo egli presentato tempestivamente la richiesta di procedere con il rito abbreviato, e per non avere il giudice neppure valutato la richiesta di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 ter d.l. n. 82/2000;
vista la memoria depositata in data 28/04/2025, con cui il ricorrente afferma la non inammissibilità del ricorso, avendo il provvedimento impugnato violato gli artt. 6 e 7 CEDU omettendo di applicare retroattivamente la lex mit – for, pur avendo egli chiesto l’ammissione al rito abbreviato prima della sua emanazione, così creando disparità di trattamento tra gli imputati nei processi di appello, solo in base alla data di chiusura dell’istruttoria suppletiva;
ritenuto che il ricorso sia meramente reiterativo di un altro ricorso proposto per le medesime ragioni, e rigettato con la sentenza Sez. 1, n. 13398 del 10/01/2014, nonché di un ulteriore ricorso, dichiarato inammissibile con la sentenza Sez. 7, n. 16774 del 10/02/2017, e che debbano qui ribadirsi le motivazioni di tali decisioni, secondo le quali non può essere applicata al ricorrente la /ex mitior n. 479/1999, che consentiva l’ammissione al giudizio abbreviato anche per i reati punibili con l’ergastolo, con conseguente sostituzione
di tale pena con quella di trenta anni di reclusione, perché egli non è stato mai ammesso a tale rito, essendo stata la sua richiesta respinta dal giudice della
cognizione, con decisione da lui mai impugnata, mentre tale ammissione è stata sempre ritenuta essere il presupposto indispensabile affinché il giudice
dell’esecuzione possa concedere la riduzione di pena, non potendo questi violare il giudicato neppure in relazione alla decisione di non ammettere l’imputato al
rito abbreviato (vedi Sez. 1, n. 11916 del 21/11/2018, dep. 2019, Rv. 275324, e le molte sentenze citate nella sua motivazione);
ritenuto che il ricorso sia manifestamente infondato anche in relazione alla dedotta mancata valutazione della richiesta di sollevare una questione di
legittimità costituzionale dell’art.
4-ter d.l. n. 82/2000, essendo state analoghe
questioni, sollevate per le medesime ragioni esposte dal ricorrente, già dichiarate inammissibili con le sentenze della Corte costituzionale n. 147/2021 e n.
57/2016, decisioni che rendono legittimo il mancato accoglimento della richiesta avanzata dal ricorrente al giudice dell’esecuzione;
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 08 maggio 2025
Il Consigliere estensore
NOME