Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15137 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15137 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a ACQUAVIVA DELLE FONTI il 13/05/1960
avverso la sentenza del 04/04/2024 della CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA Visti gli atti, il provvediménto impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; lette le conclusioni scritte con cui l’avv. NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 4 aprile 2024, la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la decisione con cui il Triblinale di Pescara aveva ritenuto COGNOME COGNOME responsabile del reato di ‘cui all’art. 496 cod. pen., condannandolo alla pena di giustizia.
Avverso tale sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi di censura.
2.1. Il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’articolo 420-ter cod. proc. pen. e nullità della sentenza il ricorrente. La sentenza impugnata avrebbe dichiarato l’imputato assente, nonostante che dagli atti emergesse che egli, al momento del giudizio di primo grado, era sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata con obbligo di permanenza nel comune di Civitaquana, sicché egli era impossibilitato a partecipare al processo a causa della misura in atto. Tale circostanza era stata rappresentata oralmente in udienza e, per quanto non verbalizzata avrebbe dovuto indurre il giudice di primo grado a compiere accertamenti in ordine alla sussistenza della condizione detentiva.
Invero, già all’udienza svoltasi davanti al GIP in data 11.11.2021, il difensore aveva dichiarato che l’imputato era detenuto presso la colonia penale agricola e per tale ragione l’udienza era stata rinviata.
Diversamente, il Tribunale aveva omesso ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’impedimento e non aveva disposto il rinvio dell’udienza.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del reato ascritto all’imputato. Secondo il ricorrente la condotta rientrerebbe nell’ipotesi di cui all’art. 495 cod. pen. e non già in quella contestata e riconosciuta di cui all’art. 496 cod. pen.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Il ricorrente ha depositato conclusioni scritte, insistendo nell’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è nel suo complesso infondato e deve pertanto essere rigettato.
Conviene preliminarmente dare conto del fatto che alla prima udienza dibattimentale, svoltasi in data 20.09.2022, il COGNOME era stato dichiarato assente. Tale dichiarazione non è oggetto di contestazione, e le censure svolte dal ricorrente si appuntano piuttosto sulla celebrazione della seconda udienza, in data 12.04.2023, nonostante che – secondo la prospettazione difensiva – fosse stata rappresentata al giudice l’esistenza di un legittimo impedimento dell’imputato, il quale era sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata con obbligo di dimora in Civitaquana.
Il richiamo alla scansione temporale degli accadimenti consente innanzitutto di rilevare come nella specie non venga in rilievo la correttezza della dichiarazione di assenza dell’imputato, la quale non è oggetto dei rilievi difensivi, bensì il mancato riconoscimento del legittimo impedimento a comparire in udienza. Occorre, altresì,
precisare che trattavasi di impedimento verificatosi successivamente allo svolgimento della prima udienza, e conseguente alla applicazione della suddetta misura di sicurezza disposta con ordinanza del Magistrato di sorveglianza in data 11.03.2023.
La disciplina del processo in assenza, dettata dall’art. 420-bis cod. proc. pen., attiene alla necessità di assicurare che la mancata partecipazione dell’imputato al giudizio che lo riguarda sia frutto di una sua scelta libera e informata. · ,
Ciò comporta che, ai sensi dell’art. 420, comma 2-bis cod. proc. pen., il giudice, una volta che abbia positivamente verificato la ritualità delle notifiche e tuttavia l’imputato non sia presente, prima di dichiararne l’assenza, deve appurare se sussista un impedimento legittimo, ricorrendo alcuna delle condizioni indicate nel successivo art. 420-ter. Invero, il processo in assenza è legittimo solo qualora vi sia la certezza della conoscenza dell’accusa, della data e delle possibilità di accesso all’udienza da parte dell’imputato e vi sia stato, a cura del giudice, un rigoroso e non equivoco accertamento della volontà dell’interessato di sottrarsi al procedimento (Sez. U, n. 7635 del 30/09/2021, dep. 2022, Costantino, Rv. 282806 – 01).
È perciò necessario che il giudice accerti che l’imputato abbia avuto conoscenza effettiva (e perciò fuori da ogni forma di presunzione o di conoscenza legale) dello svolgimento del processo e che la mancata comparizione sia frutto di una libera scelta del medesimo.
Diversa è invece l’ipotesi – che ricorre nel caso in esame – in cui, ritualmente dichiarata l’assenza, si verifichi successivamente un impedimento che renda impossibile per l’imputato di comparire in udienza, ai sensi dell’art. 420-ter cod. proc. pen.
Già le Sezioni Unite Arena avevano affermato il principio di diritto in forza del quale la detenzione dell’imputato per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia, anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione, in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento. In particolare, la richiamata sentenza ha osservato che «nell’ottica di un processo a carattere accusatorio, la partecipazione dell’imputato al processo in cui è coinvolto è condizione indefettibile per il regolare esercizio della giurisdizione; essa afferisce al fondamentale diritto di difesa (autodifesa) e non è perciò confiscabile» (Sez. U, n. 37483 del 26/09/2006, Arena, Rv. 234600 – 01, in motivazione).
Più di recente le Sezioni unite Costantino hanno stabilito che nel giudizio ordinario deve essere sempre assicurata, in mancanza di inequivoco rifiuto alla partecipazione, la presenza dell’imputato. Di conseguenza in virtù della norma
generale fissata dall’art. 420-ter, commi 1 e 2, cod. proc. pen., qualora l’imputato non si presenti ed in qualunque modo risulti (o appaia probabile) che l’assenza sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, spetta al giudice disporre, anche di ufficio, il rinvio ad una nuova udienza, senza che sia necessaria una qualche richiesta in tal senso (Sez. U, n. 7635 del 30/09/2021, dep. 2022, Costantino, cit.).
La conferma della natura ineludibile dell’accertamento della mancanza di qualsiasi impedimento alla partecipazione dell’imputato e il valore recessivo dell’esigenza di efficienza del processo rispetto alla necessità di tutela del diritto all partecipazione, è stata rinvenuta dal Supremo collegio nella espressa previsione di un obbligo per il giudice di valutare, anche in chiave probabilistica, la sussistenza di un impedimento alla partecipazione, riconducibile al caso fortuito o alla forza maggiore, imposto dall’art. 420-ter, comma 2, cod. proc. pen., il quale equipara l’accertamento dell’impedimento al dubbio sulla sua sussistenza.
Pertanto, qualora l’imputato sia detenuto o agli arresti domiciliari o comunque sottoposto a limitazione della libertà personale che non gli consente la presenza in udienza, poiché in tali casi sussiste in re ipsa un legittimo impedimento, il giudice, in qualunque modo ed in qualunque tempo venga a conoscenza dello stato di restrizione della libertà, anche in assenza di una richiesta dell’imputato, deve d’ufficio rinviare il processo ad una nuova udienza e disporre la traduzione dell’imputato, salvo che non vi sia stato un espresso rifiuto dell’imputato ad assistere all’udienza.
4. Nel caso in esame, dagli atti del giudizio – cui la Corte ha accesso in ragione del carattere processuale della censura – non emerge che il Tribunale fosse a conoscenza dell’impedimento dell’imputato a partecipare all’udienza. Invero, dal verbale del 12.04.2023 non risulta che il difensore abbia dedotto l’impossibilità del Petragallo di allontanarsi dal comune ove dimorava, né risulta presente alcuna documentazione attestante la sottoposizione del medesimo a misura di sicurezza con obbligo di dimora in luogo diverso da quello ove aveva sede il Tribunale. Non valgono al riguardo i rilievi svolti dal ricorrente in ordine alla asserita mancata verbalizzazione delle deduzioni svolte dal difensore in udienza, posto che gravava su costui l’onere di controllare la correttezza di tale verbalizzazione. Inoltre, se è vero che l’obbligo del giudice di verificare la sussistenza di un legittimo impedimento ricorre allorché esso appaia anche solo probabile, ai sensi dell’art. 420-ter, comma 2, cod. proc. pen., nella specie non emergevano elementi da cui emergesse la probabilità che la mancata compartizione dell’imputato fosse dovuta ad assoluta impossibilità di prendere parte all’udienza per caso fortuito o forza maggiore o altro legittimo impedimento. Invero, la misura di sicurezza che impediva al Petragallo di allontanarsi dal Comune di Civitaquana risulta essere stata applicata in relazione a procedimento diverso e in un momento successivo all’avvio del dibattimento, e precisamente con ordinanza del
a
Magistrato di sorveglianza in data 11.03.2023; si trattava, inoltre, di misura differente rispetto a quella da cui l’imputato era gravato al momento della
celebrazione dell’udienza preliminare, svoltasi circa due anni prima, di tal che essa non poteva costituire elemento da valutare, anche in chiave probabilistica, in
relazione alla sussistenza di un impedimento dell’imputato, non risultando, né
essendo dedotto alcun collegamento tra le due misure.
La Corte d’appello ha pertanto fatto ineccepibile applicazione dei principi sopra richiamati, sicché la censura svolta dal ricorrente risulta del tutto destituita d
fondamento.
5. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Esso, oltre ad essere del tutto generico e aspecifico esaurendosi in mere affermazioni prive di confronto argomentativo con le ragioni poste a base della
pronuncia di condanna, è inammissibile per carenza d’interesse.
Tale interesse costituisce, ai sensi dell’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., condizione di ammissibilità dell’impugnazione, e deve essere connotato dai requisiti
della concretezza e dell’attualità, oltre che sussistere non soltanto all’atto della proposizione dell’impugnazione, ma anche fino al momento della decisione, perché questa possa potenzialmente avere una effettiva incidenza di vantaggio sulla situazione giuridica devoluta alla verifica del giudice dell’impugnazione.
Nel caso in esame, il difetto di interesse all’impugnazione con riguardo alla qualificazione giuridica del reato ascritto all’imputato, emerge in modo evidente.
A fronte dell’intervenuta condanna per il reato di cui all’art. 496 cod. pen. per aver reso false dichiarazioni sulla propria identità personale alla polizia giudiziaria reato punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni – l’imputato chiede riqualificarsi il fatto nel reato di cui all’art. 495 cod. pen., il quale tuttavia – come correttamente rilevato dalla Corte territoriale – risulta sanzionato in misura più grave (reclusione da uno a sei anni), sicché alcun vantaggio potrebbe al medesimo derivare dall’accoglimento della censura.
Nel consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 29/01/2025