Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 47715 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 47715 Anno 2024
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il 22/0471983 a GELA NOME COGNOME nato il 26/08/1997 a GELA
avverso la sentenza in data 22/04/2024 della CORTE DI APPELLO DI CAL- TANISSETTA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
sentita l’Avvocata NOME COGNOME che ha illustrato i motivi d’impugnazione e ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME e NOME COGNOME per il tramite del comune procuratore speciale, ma con ricorsi separati, impugnano la sentenza in data 22/04/2024 della Corte di appello di Caltanissetta che -a seguito di annullamento con rinvio disposto da questa Corte con Sentenza n. 2746 del 20/12/2023- ha rideterminato la pena loro inflitta dal G.u.p. del Tribunale di Gela, in relazione ai reati di tentativo d estorsione e cessione di sostanza stupefacente. Va precisato che l’annullamento veniva disposto limitatamente alla determinazione della pena.
Deducono:
1. RAITANO COGNOME
1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 179 e 420-ter, comma 1, cod. proc. pen..
Il ricorrente si duole del mancato accoglimento dell’istanza di rinvio per legittimo impedimento per ragioni di salute dell’imputato, avanzata all’udienza del 22/04/2024 davanti alla Corte di appello.
Precisa che una prima istanza era stata inoltrata in relazione all’udienza del 17/04/2024 e con essa si rappresentava che le gravi condizioni di salute di Raitano richiedevano un rinvio di almeno due mesi, mentre la Corte di appello rinviava soltanto a cinque giorni, all’udienza del 22/04/2024.
In tale udienza veniva rinnovata l’istanza di rinvio, richiamando quella del 17/0472024 e le documentate condizioni di salute dell’imputato, ma tale istanza veniva disattesa sul presupposto che COGNOME aveva rinunciato a comparire e che l’assoluto impedimento non era documentato.
A tale proposito la difesa evidenzia che «la dichiarazione di rinuncia a presenziare dell’imputato veniva fatta pervenire alla Corte da parte dei Carabinieri di Gela i quali, recatisi presso l’abitazione del Raitano, dopo aver constatato che lo stesso non era in grado di affrontare nemmeno il viaggio in macchina Gela Caltanissetta, gli facevano firmare una rinuncia a presenziare».
Aggiunge che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, l’istanza di rinvio era stata compiutamente documentata già all’udienza del 17/04/2024.
2. NOME e NOMECOGNOME
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione.
Il ricorrente premette che l’annullamento veniva disposto dalla Corte di cassazione per la violazione del divieto di reformatio in peius in relazione all’aumento di pena in continuazione e per l’omessa motivazione sulla pena base, rispetto alla quale i giudici si erano discostati dal minimo edittale senza rendere conto delle ragioni di tale scelta.
Si sostiene, dunque, che la Corte di appello ha reiterato il medesimo vizio che aveva provocato l’annullamento, in quanto la motivazione risulta generica e non aderente ai principi di diritto fissati dalla Corte di legittimità, in relazione all’obbli di motivazione in riferimento a una pena che si discosti dal minimo edittale, oltre che dai principi fissati dalla Corte costituzionale e dal diritto convenzionale, tanto più in relazione a un delitto perfezionatosi sotto forma di tentativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo del ricorso di NOME è inammissibile perché manifestamente infondato.
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Il ricorrente si duole della violazione della disciplina relativa al legittimo impedimento, ma ha precisato che COGNOME aveva rinunciato a comparire all’udienza, con dichiarazione raccolta dai Carabinieri di Gela.
A tale ultimo riguardo va rilevato come risulti affatto generica e priva di significato giuridico quanto precisato dalla difesa, là dove scrive che i Carabinieri «gli facevano firmare una rinuncia a presenziare».
In mancanza di specificazioni al riguardo, tali da inficiare l’espressione di volontà dell’imputato, si rileva come la Corte di appello abbia giustamente disatteso l’istanza di rinvio, richiamando correttamente richiamando il principio di diritto fissato da questa Corte, a mente del quale «L’imputato che abbia espressamente rinunciato a comparire all’udienza non può poi invocare l’applicazione delle disposizioni sul legittimo impedimento, ancorché sussistano in astratto le condizioni per la loro operatività», (Sez. 5,n. 1129 del 04/10/2021 Cc., dep. il 2022, COGNOME, Rv. 282535 – 01; Sez. 6, n. 17137 del 11/04/2013, G., Rv. 256248 01).
L’ulteriore doglianza circa la produzione documentale a dimostrazione del legittimo impedimento risulta assorbita.
Il motivo è, conclusivamente, manifestamente infondato.
Entrambi i ricorrenti si dolgono -poi- della motivazione relativa al trattamento sanzionatorio.
Anche in questo caso la sentenza non merita censura, in quanto i giudici hanno dato seguito al compito loro demandato dalla sentenza rescindente e hanno illustrato gli elementi presi in considerazione per la determinazione della pena base, al di sopra del minimo edittale e dell’aumento in continuazione, facendo riferimento ai numerosi e variegati precedenti penali che facevano emergere una personalità pericolosa, tale da richiedere la somministrazione di una pena più grave, per una maggiore efficacia rieducativa, richiamando l’entità dei fatti e la personalità degli imputati.
Da ciò discende che non sussiste il vizio di omessa motivazione denunciato dai ricorrenti, dovendosi ricordare che «deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen.», (Sez. 1, Sentenza n. 3155 del 25/09/2013 Ud., dep. 23/01/2014, Waycheym Rv. 258410 – 01).
A ciò si aggiunga che il motivo in esame si risolve in una generica lamentela circa l’incongruità della pena, priva di reali censure alla sentenza impugnazione, così risultando aspecifico.
Da quanto esposto discende l’inammissibilità dei ricorsi, cui segue, ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così è deciso il 14/11/2024