Legittimazione a sporgere querela per truffa: La Cassazione fa chiarezza
Quando si subisce una truffa, chi ha il diritto di denunciare? La risposta potrebbe sembrare ovvia: la vittima. Ma cosa succede se la persona che subisce il raggiro economico non è la stessa a cui è formalmente intestato il bene? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, offre un’importante precisazione sul tema della legittimazione a sporgere querela per truffa, stabilendo un principio che privilegia la sostanza sulla forma.
I fatti di causa
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda due individui condannati per truffa in concorso. Essi avevano venduto un veicolo a un acquirente, inducendolo in errore attraverso artifici e raggiri: il mezzo consegnato presentava caratteristiche diverse e inferiori rispetto a quelle promesse e pubblicizzate. L’acquirente, sentendosi truffato, aveva sporto querela. La difesa dei venditori, tuttavia, ha basato il proprio ricorso su un dettaglio formale: il veicolo non era stato intestato all’acquirente, bensì a sua moglie. Secondo i ricorrenti, quindi, l’uomo non avrebbe avuto la legittimazione a presentare la denuncia, non essendo il proprietario legale del bene.
I motivi del ricorso: La questione della legittimazione attiva
I ricorrenti hanno presentato un unico, ma articolato, motivo di ricorso alla Corte di Cassazione, incentrato su due punti principali:
1. Violazione di legge sul diritto di querela: Sostenevano il difetto di legittimazione a sporgere querela per truffa da parte dell’acquirente, poiché l’intestataria del veicolo era la moglie. A loro avviso, solo quest’ultima, in qualità di proprietaria formale, avrebbe potuto avviare l’azione penale.
2. Errata valutazione della responsabilità: Contestavano l’affermazione di colpevolezza, proponendo una diversa lettura delle prove e una ricostruzione alternativa dei fatti, chiedendo di fatto alla Corte un nuovo giudizio nel merito.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni della difesa con motivazioni chiare e fondate su principi giuridici consolidati.
Sulla legittimazione a sporgere querela per truffa
Il punto centrale della decisione riguarda l’identificazione della “persona offesa” dal reato. I giudici hanno chiarito che, ai sensi dell’art. 120 del codice penale, la titolarità del diritto di querela spetta al soggetto che detiene l’interesse direttamente protetto dalla norma violata. Nel reato di truffa (art. 640 c.p.), l’interesse protetto è il patrimonio e la libertà di autodeterminazione negoziale.
La Corte ha stabilito che la persona offesa è colui che, a causa della condotta ingannatoria, subisce una lesione patrimoniale. Nel caso specifico, anche se il veicolo era intestato alla moglie, era stato l’acquirente a condurre le trattative, a essere ingannato e a subire il danno economico derivante dall’acquisto. È su di lui che è ricaduta la “condotta decettiva”. Pertanto, egli è stato correttamente individuato come la vittima del reato e, di conseguenza, pienamente legittimato a sporgere querela. La Corte ha sottolineato che l’identità tra la persona offesa e l’intestatario formale del bene non è un requisito necessario.
Sui limiti del giudizio di legittimità
Per quanto riguarda il secondo punto, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. La Corte Suprema non ha il potere di riesaminare le prove o di sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici dei gradi precedenti. Il suo compito è limitato a verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.
Poiché le argomentazioni dei ricorrenti si limitavano a riproporre censure già vagliate e respinte dalla Corte d’Appello e a sollecitare una nuova e diversa ricostruzione dei fatti, sono state considerate inammissibili. La difesa, in sostanza, chiedeva alla Corte di fare ciò che per legge non le è consentito.
Le conclusioni: Principi di diritto e implicazioni pratiche
L’ordinanza in esame rafforza un principio di giustizia sostanziale: nel reato di truffa, ciò che conta per individuare la vittima legittimata a denunciare non è l’intestazione formale di un bene, ma chi ha effettivamente subito l’inganno e il danno patrimoniale. Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche, poiché tutela tutte quelle persone che, pur compiendo un atto economico per sé, decidono per varie ragioni di intestare il bene a un familiare. La giustizia penale, in questo modo, guarda alla realtà effettiva dei rapporti economici e alla concreta dinamica del reato, garantendo una protezione più efficace alle vittime di frode.
Chi è considerato “persona offesa” nel reato di truffa e può sporgere querela?
Secondo la Corte, la persona offesa è il soggetto titolare dell’interesse direttamente protetto dalla norma, ovvero colui che subisce la condotta ingannatoria e il conseguente danno patrimoniale, indipendentemente dal fatto che sia l’intestatario formale del bene oggetto della truffa.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti di un processo?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione non è un giudice di merito e non può effettuare una nuova valutazione delle prove o dei fatti. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.
Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure proposte erano una mera riproduzione di argomenti già adeguatamente valutati e respinti dalla Corte d’Appello e miravano a ottenere un riesame dei fatti, attività che esula dalle competenze della Corte di Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 224 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 224 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a CANOSA DI PUGLIA il 08/06/1988 NOME nato a TRINITAPOLI il 17/02/1962
avverso la sentenza del 12/10/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
letti i ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME, presentati con un unico atto;
considerato che con l’unico articolato motivo di ricorso, la difesa deduce, in primo luogo, violazione di legge in ordine all’art. 120 cod. pen., eccependo il difetto di legittimazione a proporre querela da parte di NOME COGNOME; in secondo luogo, in relazione all’affermazione di responsabilità per il concorso nel reato di truffa ascritto agli odierni ricorrenti;
rilevato che entrambe le doglianze sono meramente riproduttive di profili di censura già prospettati con l’atto di appello e adeguatamente vagliati e disattesi dalla Corte territoriale, a partire da quello concernente il difetto di legittimazion a sporgere querela su cui la Corte d’appello ha fornito una risposta puntuale in fatto e corretta in diritto, evidenziando come, indipendentemente dall’intestazione del veicolo alla di lui moglie, la vettura fosse stata acquistata proprio dal Menolascina sul quale, inoltre, era caduta la condotta decettiva ascritta agli odierni ricorrenti (cfr., Sez. 2 , n. 55945 del 20/07/2018, COGNOME, Rv. 274255 – 01, in cui la Corte ha chiarito che la persona offesa dal reato titolare del diritto di querela a norma dell’art. 120 cod. pen. deve essere individuata nel soggetto titolare dell’interesse direttamente protetto dalla norma penale e la cui lesione o esposizione a pericolo costituisce l’essenza dell’illecito, ritenendo perciò legittimato a proporre querela l’effettivo acquirente di un bene sebbene risulti un diverso intestatario);
ritenuto che, a fronte del dato fattuale dell’artificio e raggiro rappresentato dall’essere stato consegnato un mezzo con caratteristiche differenti da quelle pubblicizzate nella proposta di vendita, ed integrante gli estremi del reato di cui all’art. 640 cod. pen., la difesa dei ricorrenti articola censure tese a proporre una differente lettura e un diverso giudizio di rilevanza delle risultanze processuali, nonché una ricostruzione dei fatti da operare mediante il ricorso a criteri di valutazione differenti rispetto a quelli utilizzati dai giudici di merito, nonostant questi ultimi abbiano già congruamente spiegato che la tesi alternativa prospettata dagli assunti difensivi è sfornita di qualsiasi elemento di concreto riscontro, e senza tenere conto, tra l’altro, di come l’operazione sollecitata dalla difesa esuli dal sindacato dinanzi a questa Corte, avendo l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione un orizzonte circoscritto, essendo limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (cfr., Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074), né tanto meno di saggiare la tenuta logica della pronuncia
portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (cfr., ancora, tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260);
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma, il 3 dicembre 2024.