Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3355 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3355 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il 26/04/1972 COGNOME NOME nato a AFRAGOLA il 02/05/1965 Testa NOME nato a NAPOLI il 09/06/1976 inoltre:
RAGIONE_SOCIALE parte civile noh tilet , t-teu-kt
avverso la sentenza del 03/04/2024 della Corte d’appello di Napoli Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza emessa il 3 aprile 2024, ha riqualificato la condotta originariamente contestata a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME – oltre che a NOME COGNOME nelle more deceduto –
da furto in abitazione in quello di furto pluriaggravato per la violenza sulle cose, per il numero superiore a tre degli autori del reato, nonché per l’aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità.
Ai fini anche della migliore comprensione dei motivi di ricorso, vai bene riportate la contestazione che, nella sua formulazione originaria, rifluiva nell’imputazione per la violazione del reato previsto dagli artt. 61 n. 7, 110, 624bis, commi 1 e 3, 625, comma 1, nn. 2 e 5, cod. pen. perché i menzionati imputati, in concorso ed unione tra loro e con precisa ripartizione dei compiti, al fine di trarne profitto per sé o per altri, introducendosi col favore del buio negli uffici della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. legalmente rappresentata da Benigni Olimpia, siti in Casalnuovo al INDIRIZZO – centro Partenope, mediante lo scardinamento della porta blindata d’ingresso la quale veniva totalmente divelta dal relativo telaio, sabotando la sirena dell’antifurto ivi installato con l’utilizzo di schiuma espansa, mettendo a soqquadro i locali, danneggiando la saracinesca esterna degli uffici forzandola, si impossessavano di svariati arredi, attrezzature di ufficio, computer, fax, stampanti, fotocopiatrici, programmi informatici, una cassetta di sicurezza contenente titoli di credito ed altri effetti societari, somma di denaro pari a C 14.000,00 sottraendoli alla persona offesa.
I ricorsi per cassazione, proposti con unico atto, nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME constano di sei motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 552, lett. d) cod. proc. pen. e 111 Cost in quanto, dopo l’udienza del 30 settembre 2016, tenuta nei locali del Tribunale di Noia in Cimitile, la trattazione della stessa veniva differita dinanzi al Giudice competente, senza specificare in quali locali.
Tale doglianza quanto alla nullità, tempestivamente eccepita, veniva disattesa dai Giudici del merito e la Corte di appello rendeva a riguardo motivazione apparente, rappresentando che la difesa non avesse subito alcun concreto vulnus, non necessario, a fronte della previsione normativa e dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità a riguardo.
Inoltre, la Corte di appello non si è confrontata con l’assenza di prova quanto a comunicazioni alle parti della ubicazione della trattazione, anche non formali, e con il dato che le sedi in questione non erano contigue.
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Il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello non avrebbe operato la sollecitata riqualificazione del delitto in origine contestato in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con motivazione ritenuta illogica, in quanto per un verso viene ritenuto che gli imputati potessero agire in giudizio per fare valere le proprie ragioni nei confronti della debitrice società RAGIONE_SOCIALE, poi affermando che il furto avvenne in danno di altra società, la Cra RAGIONE_SOCIALE infine ritenendo legittimato l’amministratore della prima società quanto allo sporgere querela per il furto subito dalla seconda.
Il terzo motivo lamenta nullità della sentenza per violazione di legge e vizio di motivazione in ordine agli artt. 336, 337, 122 cod. proc. pen. e 37 disp. att. cod. proc. pen. in quanto la Corte di appello, pur riqualificando il delitto in una fattispecie procedibile a querela, non ha rilevato il difetto di legittimazione del querelante.
Difatti, la querela sporta da COGNOME – marito di COGNOME, amministratrice della RAGIONE_SOCIALE, che in precedenza aveva solo sporto solo denuncia – risulterebbe inefficace in quanto COGNOME non era legittimato a sporgerla quale danneggiato, per le conseguenze indirette che il danno subito dalla società amministrata dal coniuge avrebbe potuto avere su di sé.
Difetterebbe la procura speciale, la indicazione dei poteri di rappresentanza e della fonte statutaria o assembleare degli stessi.
Il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del delitto di furto, in ordine al quale la Corte di appello ha offerto una motivazione apparente, a fronte di censura specifica, difettando la prova che l’intento degli imputati fosse la conservazione della refurtiva.
Il quinto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’annessa applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., pur a fronte della intervenuta derubricazione. Difatti la Corte di appello non avrebbe fatto buon governo dei principi in materia di tenuità dell’offesa, da intendersi riferita a tutti gli elementi del delitto descritti dall’art. 133 cod. pen. all’esito di una valutazione complessa, che nel caso in esame non solo non valorizza la restituzione immediata dei beni, ma anche il risarcimento del danno, che la Corte di appello esclude sia stato comprovato dal documento allegato, non rinvenuto, all’atto di appello. Il tutto in difetto dì abitualità di condotte ostative al riconoscimento della causa di non punibilità.
Il sesto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sospensione condizionale della pena per COGNOME, non riconosciuta senza alcuna motivazione a fronte di un motivo di censura specifico, che rilevava come l’applicazione di pena concordata ritenuta ostativa per superamento del cumulo delle pene risulterebbe estinta al verificarsi delle condizioni previste dall’art. 445, comma 2, cod. proc. pen.
I ricorsi, depositati il 27 giugno 2024, sono stati trattati senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’art. 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5-duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME COGNOME ha depositato requisitoria e conclusioni con le quali ha chiesto annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata per la sopravvenuta improcedibilità per difetto di querela a seguito della riqualificazione del delitto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono complessivamente infondati per le ragioni che seguono.
Logicamente pregiudiziale è l’analisi del terzo motivo di ricorso, inerente all’efficacia della querela – richiesta ora anche per il delitto di furto contestato, in conseguenza della riqualificazione operata dalla Corte di appello – a seguito delle modifiche apportate alla relativa disciplina dall’art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150.
Va richiamato preliminarmente lo stato della giurisprudenza in ordine all’esistenza di una relazione di fatto fra la res oggetto del furto e il soggetto che propone la querela.
Le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 40354 del 18/07/2013, COGNOME, Rv. 255975 – 01) hanno chiarito che con l’incriminazione del reato di furto si tutela il possesso di cose mobili, e che il possesso, a tali fini, non va inteso negli stretti termini di cui all’art. 1140 cod. civ., ma in senso più ampio,
comprensivo della detenzione a qualsiasi titolo, quale mera relazione di fatto qualunque sia la sua origine.
Si è pertanto rilevato che il bene giuridico protetto dal reato di furto è costituito non solo dal diritto di proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche del possesso, come sopra delineato, inteso nel senso di detenzione qualificata con la cosa, con il conseguente potere di utilizzarla e di disporne.
Di conseguenza si è affermato che non è necessario che il detentore debba avere anche poteri di rappresentanza del proprietario della cosa, quasi che il diritto di querela debba in ogni caso spettare solo al proprietario o a soggetto che di questo abbia poteri di rappresentanza, discendendone ulteriormente che persona offesa del reato è il detentore e non il proprietario non detentore, danneggiato dallo stesso.
In questa prospettiva, è stata espressamente attribuita dalle Sezioni Unite al direttore dell’esercizio commerciale, che ha l’obbligo di custodia delle cose ivi contenute e la conseguente detenzione delle stesse, la qualifica di persona offesa, a causa del pregiudizio socialmente protetto che questi subisce per effetto della sottrazione del bene che gli è affidato.
Analogamente si è affermato anche per il responsabile della sicurezza di un supermercato, ritenendolo legittimato a proporre querela (Sez. 5, n. 3736 del 04/12/2018, dep. 2019, Lafleur, Rv. 275342 – 01; massime conformi: N. 8094 del 2014 Rv. 259289 – 01, N. 11968 del 2018 Rv. 272696 – 01, N. 41592 del 2010 Rv. 249416 – 01, N. 55025 del 2016 Rv. 268906 – 01).
Or bene, tanto premesso, come rilevato dalla Corte di appello, l’amministratrice della società RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME aveva sporto denuncia alle ore 12.15 del 6 settembre 2014. In pari data aveva sporto denunciaquerela il coniuge, NOME COGNOME alle ore 18.00 richiamando e integrando la denuncia della COGNOME.
L’esame della querela sporta dal COGNOME palesa come sia stato quest’ultimo e non la moglie ad essere avvisato dal portiere dell’intervenuto furto nel corso della notte precedente, e il querelante aggiunge all’elenco dei beni sottratti anche 14 mila euro custoditi in un cassetto, in uso alla «mia segretaria», specificando in dettaglio tutti gli altri beni prelevati, con preciso riferimento alle caratteristiche e al valore, richiamando anche il furto di assegni ed effetti cambiari «consegnatimi in pagamento da miei clienti acquirenti in varie vendite effettuate».
Il COGNOME, inoltre, indicava agli investigatori, guardando la registrazione video dell’impianto di video sorveglianza, fruibile in uno «sgabuzzino chiuso a chiave, sempre di mia proprietà» le persone che risultavano ivi raffigurante, indicate come persone che «da anni hanno rapporti con le società in capo alla mia famiglia».
La querela – accessibile a questa Corte di legittimità a fronte della denuncia di error in procedendo (Cass., Sez. Un. 31 ottobre 2001, Policastro, rv. 220092) e comunque allegata anche ai ricorsi – palesa l’esistenza di una relazione di fatto di RAGIONE_SOCIALE con i beni sottratti alla RAGIONE_SOCIALE a fronte del ruolo di amministratore legale della società RAGIONE_SOCIALE della moglie NOME COGNOME.
Perdono chiarisce in sede di querela di avere disponibilità dei locali e dei beni rubati, di essere sostanzialmente in una relazione stabile con la refurtiva, tanto da descriverne nel dettaglio le caratteristiche e il valore.
Corretto è, nella sostanza, l’esito della valutazione operata dalla Corte di appello, pur dovendo evidenziarsi che Perdono non querela quale danneggiato, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di appello, ma quale comproprietario e codetentore qualificato di beni sottratti alla società.
Pertanto, essendo divenuta necessaria la querela – a seguito delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 2, lett. i), d.lgs. 150/2022 all’art. 624, comma 3, cod. pen. – la stessa è stata ritualmente proposta, senza per altro che l’amministratrice della CRA abbia mai contestato la stessa, anzi convalidandola con la costituzione di parte civile.
Per altro, la circostanza che vi sia stata la costituzione di parte civile della società RAGIONE_SOCIALE in data 7 ottobre 2016, quindi prima della necessità della querela per il reato come riqualificato dalla Corte di appello, esprime comunque una valida volontà di punizione da parte della legittimata amministratrice legale.
Difatti, la costituzione di parte civile non revocata equivale a querela ai fini della procedibilità dei reati che il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ha reso perseguibili a querela, posto che la volontà punitiva della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere legittimamente desunta anche da atti che non contengono la sua esplicita manifestazione (Sez. 1, n. 26575 del 14/05/2024, COGNOME, Rv. 286741 – 01, nel caso relativo a parte civile che non aveva depositato le proprie conclusioni nel giudizio di appello, definito dopo l’entrata in vigore della cd. riforma “Cartabia”; conf. N. 27147 del 2023 Rv. 284844 – 01).
Né, la circostanza che la parte civile non abbia concluso in appello incide sull’espressione della volontà di perseguire l’autore del reato, in quanto, la parte civile costituita, che non partecipi al giudizio di appello personalmente e non presenti conclusioni scritte ai sensi dell’art. 523 cod. proc. pen., deve ritenersi comunque presente nel processo e le sue conclusioni, pur rassegnate in primo grado (come è stato nel caso in esame), restano valide in ogni stato e grado in virtù del principio di immanenza previsto dall’art. 76 cod. proc. pen (Sez. 5, n. 24637 del 06/04/2018, COGNOME Rv. 273338 – 01, conf. N. 25723 del 2003 Rv.
225576 – 01, N. 24063 del 2008 Rv. 240616 – 01, N. 25012 del 2013 Rv. 257032 – 01, N. 39471 del 2013 Rv. 257199 – 01).
Quanto al primo motivo di ricorso, l’esame degli atti, consentito dalla deduzione dell’error in procedendo, consente di rilevare come la prima udienza fu tenuta dinanzi alla dott. COGNOME il 28 aprile 2016, in sostituzione della dott. COGNOME dichiarando l’assenza degli attuali ricorrenti, COGNOME e COGNOME mentre per COGNOME e COGNOME la notifica non era andata a buon fine e veniva rinnovata per l’udienza del 5 maggio 2016 dinanzi alla dott. COGNOME che disponeva per questi ultimi la notifica ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen. al difensore, con rinvio al 30 settembre 2016 dinanzi alla dott. COGNOME
A tale udienza, la difesa di COGNOME e COGNOME, non anche quella di COGNOME, eccepiva l’omessa notifica agli imputati del cambio di sede.
A ben vedere, l’esame del verbale di udienza allegato al ricorso consente di verificare come il Giudice abbia dato atto che il processo era stato ‘chiamato’ alle ore 9.00 nella sede di INDIRIZZO e successivamente rinviato nello stesso giorno alla sede centrale del Tribunale di Noia.
Con tale dato non si confronta la doglianza difensiva, che lamenta una nullità non verificatasi, in quanto gli imputati ora ricorrenti erano già stati dichiarati assenti e, dunque, a ogni effetto erano rappresentati dal difensore ex art. 420-bis, comma 3, cod. proc. pen.
In sostanza, nel caso in esame non si verte in tema di rinvio fuori udienza, ma di rinvio in udienza, fermo restando che questa Corte concorda con il principio per cui anche il decreto con il quale, ai sensi dell’art. 465 cod. proc. pen., sia disposta l’anticipazione o il rinvio del dibattimento fuori udienza non deve essere notificato personalmente all’imputato, già dichiarato contumace o assente, essendo sufficiente la notifica al difensore che lo rappresenta (Sez. 2, n. 8729 del 12/11/2019, dep. 04/03/2020, Libri, Rv. 278426 – 01, che in motivazione la Corte ha precisato che il legislatore, laddove ha voluto che l’imputato, benché dichiarato contumace o assente, sia destinatario diretto di determinati atti compiuti nel corso del dibattimento, lo ha previsto espressamente, conf.: N. 52507 del 2014 Rv. 261514 – 01).
D’altro canto, l’accesso agli atti del fascicolo consente di rilevare che effettivamente esiste il verbale, non allegato dalla difesa, dal quale emerge che il processo fu ‘chiamato’ alle ore 9.42 del 30 settembre 2016 nella sede di INDIRIZZO e rinviato alle ore 11.00 dello stesso giorno nella sede centrale di INDIRIZZO. Il motivo è quindi del tutto infondato.
Quanto al secondo motivo la Corte di appello ha escluso che si potesse vertere in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, perché il furto avvenne in relazione a beni di altra società, la RAGIONE_SOCIALE e non la RAGIONE_SOCIALE, che risultava debitrice, nella prospettazione degli imputati, nei loro confronti.
A ben vedere la motivazione non è viziata da violazione di legge, né da manifesta illogicità né da contraddittorietà.
Per un verso, infatti, corretto è affermare che COGNOME e COGNOME potevano agire in giudizio solo nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, della quale COGNOME era stato amministratore, in quanto il debito gravava questa prima società e non la RAGIONE_SOCIALE
Se questo è il presupposto fattuale non contestato, deve ricordarsi che in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato è la sostituzione dello strumento di tutela pubblico con quello privato, operata dall’agente al fine di esercitare un diritto, con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente (Sez. 6, n. 47672 del 04/10/2023, 0., Rv. 285883 – 03; conf. : N. 46288 del 2016 Rv. 268362 – 01, N. 38820 del 2006 Rv. 235765 – 01, N. 2819 del 2015 Rv. 263589 – 01). È evidente che l’identità fra la pretesa azionabile in giudizio e quella arbitrariamente attuata implica anche la coincidenza soggettiva dei contraenti dell’obbligazione – e delle parti del giudizio istaurabile in sede civile – con l’autore del reato e la persona offesa del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, il che nel caso in esame non si verifica.
Né il suggestivo argomento, che deduce contraddittorietà della motivazione, che vede Perdono legittimato a sporgere querela per la CRA, consente di ritenere mutati i termini della questione: difatti Perdono, per quanto si è evidenziato querela nella qualità di comproprietario e codetentore dei beni della RAGIONE_SOCIALE, ruolo diverso, pur se compatibile, con quello di amministratore di diritto dell’unica debitrice degli imputati, la RAGIONE_SOCIALE
Ne consegue l’assenza dei vizi dedotti e l’infondatezza del motivo.
5. Il quarto motivo risulta infondato, oltre che aspecifico.
Sotto tale ultimo profilo, la doglianza non si confronta con la sentenza impugnata che rinvia ai foll. 20 e 21 della sentenza di primo grado, ove con chiarezza il Tribunale rilevava come l’intenzione, riferita dagli imputati, di voler solo ‘punire’ Perdono, integrasse il dolo specifico di profitto richiesto dalla fattispecie incriminatrice.
A ben vedere correttamente i Giudici di merito declinano il principio, già maggioritario ed ora autorevolmente affermato da Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, C., Rv. 285145 – 01, per cui nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall’autore.
La lettura della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite consente di verificare come le stesse (par. 1.1) abbiano aderito al maggioritario orientamento, che non richiede la volontà di trarre un’utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, a una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta (tra le numerose, v. Sez. 4, n. 4144 del 06/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282605-01; Sez. 5, n. 11225 del 16/01/2019, Dolce, Rv. 275906-01; Sez. 4, n. 30 del 18/09/2012, dep. 2013, Caleca, Rv. 254372-01; Sez. 2, n. 40631 del 09/10/2012, Sesta, Rv. 253593-01; Sez. 5, n. 19882 del 16/02/2012, COGNOME, Rv. 252679-01).
Il motivo è quindi anche infondato.
Il quinto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omessa applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., pur a fronte della intervenuta derubricazione.
Il motivo è però del tutto aspecifico, in quanto non si confronta con una delle ratio decidendi, quella relativa alla inapplicabilità dell’istituto in ragione della pena al di fuori della previsione normativa.
Correttamente la Corte di appello rileva come, anche alla luce delle modifiche più favorevoli agli imputati, apportate alVart. 131-bis cod. pen. dal d.lgs n. 150 del 2022, la pena prevista per il delitto di furto pluriaggravato ex art. 625, comma 2, cod. pen. è quella da tre a dieci anni di reclusione – già prima della riforma aggravatrice delle pene ad opera della legge n. 103 del 2017 – ed esorbita rispetto al limite previsto dall’art. 131-bis, commi 1 e 5, cod. pen., vale a dire che la pena detentiva non sia superiore nel minimo a due anni.
Il quinto comma della norma codicistica richiede, infatti, di valutare ai fini della pena le circostanze aggravanti ad effetto speciale, quali sono quelle dell’art. 625, comma 2, cod. pen.
Ne consegue che il motivo è aspecifico, in quanto il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti: difatti da una pronuncia favorevole solo su una di esse non potrebbe derivare all’impugnante quella modificazione della sua situazione processuale in cui si sostanzia l’interesse che, per espresso dettato normativo, deve sottostare ad ogni impugnazione (Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 27119 del 05/03/2015,
P.G. in proc. COGNOME Rv. 264267; Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, Bimonte, Rv. 272448)
7. Il sesto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sospensione condizionale della pena per COGNOME, non riconosciuta senza alcuna motivazione, a fronte di un motivo di censura specifico, che rilevava come l’applicazione di pena concordata ritenuta ostativa per superamento del cumulo delle pene risulterebbe estinta al verificarsi delle condizioni previste dall’art. 445, comma 2, cod. proc. pen.
A ben vedere la censura è infondata.
Certamente la Corte di appello riporta in sentenza la richiesta dell’applicazione di «ogni beneficio» per gli imputati COGNOME e COGNOME (quarto motivo, riportato al fol. 7 della sentenza impugnata), doglianza poi specificata, come la stessa Corte territoriale rileva, nella richiesta avanzata con i motivi nuovi di applicazione della sospensione condizionale della pena in ordine a COGNOME (fol. 8), che sollecitava la Corte di appello ha rilevare l’estinzione dei reati commessi in precedenza dall’imputato.
Va anche evidenziato che il motivo è concentrato sulla circostanza che sarebbe non rilevante ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena la pena applicata ex art. 444 e ss. cod. proc. pen. in quanto estinta ex art. 445 cod. proc. pen.
A ben vedere aderisce questa Corte al consolidato orientamento per cui in tema di sentenza di patteggiamento, l’estinzione degli effetti penali conseguente, ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., all’utile decorso del termine di due o cinque anni (secondo che si tratti di delitto o di contravvenzione), deve intendersi limitata, con riferimento alla reiterabilità della sospensione condizionale, ai soli casi in cui sia stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, con la conseguenza che, ove sia stata applicata una sanzione detentiva, di questa occorre comunque tenere conto ai fini della valutazione, imposta dagli artt. 164, ultimo comma, e 163 cod. pen. circa la concedibilità di un secondo beneficio (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, dep. 03/05/2001, COGNOME, Rv. 218529 – 01; conf. Sez. 6, n. 27589 del 22/03/2019, P., Rv. 276076 – 01; nello stesso senso Sez. 3, n. 43095 del 12/10/2021, COGNOME, Rv. 282377, per la quale la sentenza di applicazione della pena, in quanto equiparata a sentenza di condanna, costituisce un precedente penale, valutabile anche nell’ipotesi in cui sia già intervenuta, ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., l’estinzione del reato cui essa si riferisce).
Nel caso in esame dal certificato penale di COGNOME emerge che costui abbia goduto in precedenza già due volte della sospensione condizionale della pena,
rispettivamente per una condanna a mesi sei di reclusione e per una applicazione concordata di mesi dieci di reclusione, cosicché la misura di tali pene risultava ostativo per la Corte di appello al riconoscimento del beneficio, a fronte della pena di anni uno di reclusione irrogata per il furto per cui si procede.
Non potendo ritenersi rilevante l’estinzione della seconda pena, per l’orientamento richiamato, per il cumulo delle pene alcun margine di discrezionalità aveva la Corte territoriale a riguardo, dal che l’infondatezza del motivo.
Ne consegue il complessivo rigetto dei ricorsi, con condanna alle spese processuali dei ricorrenti.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 14/11/2024 Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente