Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 31815 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 31815 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Casamicciola Terme (Na) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 5/3/2024 del Tribunale del riesame di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurato generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 5/3/2024, il Tribunale del riesame di Napoli rigettav l’appello cautelare proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa il 16/1/2024 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale con riguard ad un’istanza di dissequestro di beni, sottoposti a vincolo in ordine al delitto agli artt. 81 cpv., 110, 452-quaterdecies cod. pen.
%. GLYPH 2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi: – illogicità e carenza di motivazione. Il Tribunale avrebbe steso un argoment del tutto carente con riguardo alla documentazione prodotta dalla difesa, con
quale sarebbe stato provato che la società amministrata dal’COGNOME avrebbe cessato ogni condotta illecita nell’agosto 2020, poi proseguendo la propria attività nel pieno rispetto della normativa. L’ordinanza, nell’omettere ogni motivazione su questi documenti, avrebbe solo confermato il provvedimento genetico, n’el quale, peraltro, si sarebbe dato atto della medesima circostanza indicata dalla difesa;
la carenza e la genericità della motivazione, ancora, sono denunciate in ordine alle esigenze cautelari, non riscontrandosi alcun elemento per sostenere che la libera disponibilità di quanto in sequestro potrebbe recare concreto pregiudizio alle esigenze di cui all’art. 321 cod. proc. pen. Questa indicazione, per contro, risulterebbe necessaria, specie considerando che il vincolo avrebbe colpito – per ammissione del provvedimento genetico – beni diversi da quelli utilizzati per commettere il reato contestato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso – che riguarda soltanto le esigenze cautelari – risulta inammissibile, sotto un duplice profilo.
In primo luogo, l’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. stabilisce che per proporre impugnazione è necessario avervi interesse; la costante giurisprudenza di questa Corte interpreta la disposizione nel senso che tale interesse deve essere apprezzabile non soltanto nei termini dell’attualità, ma anche in quelli della concretezza, sì da non potersi risolvere nella mera aspirazione alla correzione di un errore di diritto contenuto nella sentenza impugnata (Sez. U, n. 40049 del 29/5/2008, Guerra, Rv. 240815; successivamente, tra le altre, Sez. 5, n. 35722 del 29/4/2013, COGNOME, Rv. 256950). La concretezza dell’interesse, peraltro, può esser ravvisata anche quando il gravame sia volto esclusivamente a lamentare la violazione astratta di una norma formale, purché da essa derivi un reale pregiudizio per i diritti dell’imputato, che si intendono tutelare attraverso i raggiungimento di un interesse non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (Sez. U, n. 6203 del 11/5/1993, COGNOME, Rv. 193743).
4.1. Ancora in termini generali, poi, questa Corte ha costantemente affermato che l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro – quale è l’COGNOME, legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE” – è legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare purché vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame che, dovendo corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale, va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (si veda, ex plurimis, Sez. 3, n. 47313 del 17/5/2017, Ruan, Rv. 271231, a mente della quale “l’articolo 322 del codice di procedura penale implica che i soggetti legittimati –
“l’imputato ed il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione” – possano conseguire, a seguito del riesame, la restituzione del bene e che quest’ultimo, ontologicamente o in quanto appartenente ad un determinato soggetto, sia effettivamente stato sottoposto a vincolo con il provvedimento cautelare reale che si impugna”; in termini, tra le molte, Sez. 5, n. 22231 del 17/3/2017, COGNOME, Rv. 270132; Sez. 3, n. 9947 del 20/1/2016, COGNOME, Rv. 266713; Sez. 2, n. 50315 del 16/9/2015, Mokchane, Rv. 265463; Sez. 5, n. 20118 del 20/4/2015, COGNOME, Rv. 263799).
4.2. Tanto premesso in termini generali, la Corte osserva che un tale interesse alla restituzione di quanto in sequestro non viene né allegato né, tantomeno, provato nel caso di specie, limitandosi di fatto il ricorrente – che agisce in proprio, non nella veste di legale rappresentante della società – a rivendicare ex se il legame tra la qualità di soggetto indagato e la legittimazione ad impugnare ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen.; quel che, tuttavia, non risulta sufficiente ad assegnargli tale legittimazione, in forza di quanto appena richiamato, non potendo ciò solo consentire il risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale, ossia la restituzione di un bene nella titolarità di un diverso soggetto, nella specie una società in nome collettivo.
4.3. Soltanto quest’ultima, dunque, avrebbe potuto proporre istanza di riesame, a tal fine munendo il difensore di procura speciale (che, invece, il ricorrente ha rilasciato in proprio); il decreto di sequestro preventivo, infatti, stato emesso nei confronti dell’COGNOME non quale persona fisica, ma quale legale rappresentante della società, ed il vincolo ha avuto ad oggetto esclusivamente beni di quest’ultima (una cisterna, un furgone e un bob cartmacchina operatrice).
4.4. L’COGNOME quale persona fisica, pertanto, non aveva interesse ad impugnare il provvedimento, né, in questa sede, risulta legittimato a proporre ricorso per cassazione.
L’impugnazione, peraltro, risulta comunque inammissibile nel merito.
Premesso che il Tribunale si è espresso quale Giudice dell’appello cautelare, occorre innanzitutto ribadire che in tema di c.d. giudicato cautelare, la preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame concerne solo le questioni esplicitamente o implicitamente trattate e non anche quelle deducibili e non dedotte; pertanto, detta preclusione opera allo stato degli atti, ed è preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una modifica della situazione di riferimento, con la conseguenza che essa può essere superata laddove intervengano elementi nuovi che alterino il quadro precedentemente definito (tra le molte, Sez. 2, n. 49188 del 9/9/2015, Masone, Rv. 265555. Tra le
non massimate, Sez. 3, n. 10245 del 15/2/2024, RAGIONE_SOCIALE; Sez. 5, n. 48120 del 8/9/2023, Zuppante; Sez. 3, n. 13545 del 16/12/2022, Casales).
6.1. Tanto premesso, il Tribunale ha evidenziato – ed il ricorso nulla osserva sul punto – che l’appello cautelare non presentava alcun “significativo elemento di novità” rispetto a quanto valutato nel provvedimento genetico del 12/5/2023, se non il mero decorso del tempo; ancora, l’ordinanza ha sottolineato l’irrilevanza di quest’ultimo dato nel caso specifico, specie alla luce di una misura cautelare preventiva disposta soltanto pochi mesi prima. Analogamente, il dato della cessazione dell’attività delittuosa al settembre 2020 era stato già esaminato dal G.i.p. in sede di decreto di sequestro preventivo, e valutato nell’ottica della cautela da adottare, pertanto allora applicata soltanto in sede reale, non personale, proprio in ragione della medesima circostanza. Anche sul punto, dunque, si è formato il giudicato cautelare, che l’interessato può chiedere di superare soltanto proponendo elementi di novità – non ravvisati nel caso di specie – idonei a scardinare la struttura cautelare delineata, anche solo in punto di periculum.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
nsigliere estensore
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2024
Presidente