Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6844 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6844 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nata a Napoli il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/06/2023 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza del 30 giugno 2023, la Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza presentata da NOME COGNOME per ottenere la revoca o sospensione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo impartito, ex art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, all’esito del processo per abuso edilizio concluso con sentenza di condanna divenuta definitiva emessa nei confronti di tale NOME COGNOME.
Avverso detta ordinanza, a mezzo del difensore fiduciario, l’istante, nella asserita qualità di attuale proprietaria dell’immobile oggetto dell’ordine di demolizione, avente causa dall’originario proprietario COGNOME, nel frattempo deceduto, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con unico motivo, la violazione dell’art. 32, comma 3, I. 47/1985 e il difetto di motivazione sul punto. Nella versione risultante dalla novella approvata con l’art. 2, comma 44, I. 662/1996 – si allega – detta disposizione esclude che il condono edilizio di opere abusive eseguite su aree vincolate che, per quanto qui rileva, ricadano in un parco sia subordinato al parere favorevole dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo allorquando questo, come nella specie, sia stato istituito in epoca successiva all’abuso. Aveva dunque errato l’ordinanza nel ritenere – richiamando, peraltro, giurisprudenza amministrativa che si allega essere minoritaria l’illegittimità del permesso di costruire in sanatoria rilasciato ex I. 724/1994 con riguardo all’immobile in questione per non essere questo stato preceduto dal parere favorevole dell’RAGIONE_SOCIALE.
Si contesta, inoltre, l’erroneità dell’affermazione secondo cui la ricorrente non avrebbe documentato la propria legittimazione ad avanzare l’istanza in esame, rilevandosi che la documentazione attestante il proprio diritto di proprietà era presente agli atti allegati alla richiesta di permesso a costruire in sanatoria.
3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e genericità.
Al di là dell’esatto richiamo fatto dall’ordinanza impugnata alla condivisibile giurisprudenza anche di recente riaffermata dal Consiglio di Stato (Sez. IV, 3 gennaio 2023, n. 65) – con le cui argomentazione in diritto, esaustive rispetto alla questione qui proposta, la ricorrente non si confronta – è assorbente il rilievo che chi agisce in sede di esecuzione quale terzo interessato ha l’onere di documentare in giudizio la propria legittimazione, non potendosi certo, come invece nella specie avvenuto, fare rinvio a documentazione asseritamente esistente in un distinto procedimento amministrativo.
Incensurabile, dunque, è il rilievo con cui l’ordinanza impugnata esclude la legittimazione ad agire della ricorrente per non averla questa dimostrata in sede di giudizio di esecuzione, dovendosi soltanto ulteriormente rilevare come neppure in questa sede la ricorrente abbia cercato di documentare la propria allegata qualità di proprietaria – e ciò nonostante si tratti di prova agevole allorquando sussista un incontrovertibile titolo di proprietà – continuando invece a fare inammissibile e generico rinvio a documentazione asseritamente esistente nel procedimento amministrativo di sanatoria.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della cassa delle ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 30 novembre 2023.