Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25133 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25133 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/05/2025
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da: CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a CAGLIARI il 26/03/1949
avverso l’ordinanza del 14/02/2025 della CORTE APPELLO di CAGLIARI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto annullarsi senza rinvio il provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata nel preambolo, la Corte di appello di Cagliari ha accolto l’opposizione avanzata ex art. 667, comma 4, cod. proc. pen. dai difensori di NOME COGNOME dichiarato colpevole del reato di peculato con sentenza di condanna irrevocabile del 26 marzo 2019 e, per l’effetto, ha accertato e dichiarato che, contrariamente a quanto sostenuto nel decreto emesso dal Segretario regionale Consiglio della Regione autonoma della Sardegna, la sospensione del trattamento post mandato erogato a COGNOME NOME, prevista da ll’art. 28 n. 5
cod. pen, come uno degli effetti della sanzione penale accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ‘ non può eccedere l’ammontare, fissato nel settimo comma dell’articolo 545 cod. proc. civ. del doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale, con un minimo di mille euro, e, per la parte eccedente, la misura di un quinto e che allo stesso spettano le maggiori somme finora trattenute ‘. Ha, altresì, disposto la comunicazione del provvedimento al segretario generale del Consiglio della Regione autonoma della Sardegna per le consequenziali modifiche del decreto in data 23 luglio 2021 ed il pagamento delle somme a tutt’oggi trattenute oltre il limite suddetto.
A ragione della decisione osserva che il vitalizio erogato ad COGNOME nella qualità di ex consigliere regionale ha natura di ‘indennità che tiene luogo di pensione ‘, con conseguente divieto di aggressione oltre i limiti indicati nell’art. 545 del cod. proc. civ. Trattasi, infatti, di limiti aventi carattere generale, siccome espressione dei principi di cui agli artt. 2, 36 e 38 della Costituzione; e, quindi, opponibili a tutte le ipotesi di ablazione, comprese quelle che trovano titolo in sanzioni penali.
Ricorre per cassazione il Consiglio regionale della Sardegna, rappresentato e difeso dall’ Avvocatura distrettuale dello Stato di Cagliari, articolando due motivi.
2.1. Con il primo deduce violazione del principio del contraddittorio
Lamenta che l’incidente di esecuzione si è svolto senza la partecipazione del Consiglio regionale nonostante avesse ad oggetto la legittimità di un suo provvedimento
2.2. Con il secondo motivo denuncia falsa applicazione dell’art. 545 cod. proc. civ., violazione dell’articolo 69 della Costituzione, della l., 5 gennaio 1950, n. 180 nonché dell’art. 1 d.P.R., 28 luglio 1950, n. 895.
Il provvedimento impugnato -sostiene il ricorrente – si è discostato dai principi ripetutamente affermati per la Corte costituzionale in base ai quali deve escludersi qualunque assimilazione tra rapporto di pubblico impiego e cariche elettive, con conseguente esclusione di ogni forma di assimilazione tra vitalizi e pensioni in considerazione della natura giuridica completamente diverse dei due istituti.
La Corte di cassazione, occupandosi del vitalizio dei consiglieri regionali ha, in più decisioni analiticamente richiamate, escluso la possibilità di assimilarlo alla pensione del pubblico dipendente, anche con riferimento alla questione della sua pignorabilità.
Non depone in senso contrario la sentenza n. 126 del 2023 della Corte costituzionale, che, nel risolvere il conflitto di attribuzione tra un Tribunale e la Camera dei deputati, si è limitata a precisare che rientra nell’autonomia regolamentare attribuita alle Camere dell’art. 64, primo comma, della Costituzione
il potere di disciplinare con propri regolamenti i vitalizi dei deputati, anche dettando disposizioni che ne riconoscono la natura previdenziale così da determinare l’applicazione dei limiti di impignorabilità previsti per tali erogazioni.
Con memoria tempestivamente depositata NOME COGNOME nel ribadire la fondatezza delle argomentazioni contenute nell’ordinanza impugnata, ha evidenziato che il Consiglio regionale non è parte del processo penale in esito al quale è stata adottata l’ordinanza impugnata e, quindi, non è munito di legittimazione ad impugnare. Nel merito, sottolinea che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’ordinanza impugnata non è fondata sulla natura pensionistica del trattamento economico post mandato del consigliere regionale, ma sulla sua natura di ‘ indennità che tiene luogo di pensione’ ai sensi dell’art. 545, comma 7, cod. proc. civ.
CONSIDERATO IN DIRITTO
E’ fondata ed assorbente l’eccezione sollevata dal condannato sul difetto di legittimazione del Consiglio della Regione autonoma della Sardegna a partecipare all’incidente di esecuzione in materia di sanzioni penali accessorie.
La giurisprudenza di questa Corte ha condivisibilmente affermato che, in ragione de ll’inequivoco tenore letterale dell’art. 666, comma 1, cod. proc. pen., gli unici soggetti legittimati a proporre l’ incidente di esecuzione sono il pubblico ministero o l’interessato o, infine, il difensore di quest’ultimo (Sez. 1, n. 43208 del 16/10/2012, Scialpi Rv. 253791 -01).
Muovendo da questa premessa, si è ulteriormente precisato che il procedimento in esame, salvo che abbia ad oggetto l’applicazione dell’amnistia o dell’indulto, esige sempre l’impulso di una delle parti legittimate con la conseguenza che il provvedimento del giudice dell’esecuzione adottato d’ufficio è viziato da nullità insanabile ai sensi dell’art. 178, primo comma, lett. b), cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 23525 del 18/05/2021, COGNOME Rv. 281396 – 01; Sez. 3, n. 10108 del 21/01/2016, COGNOME Rv. 266714 – 01; Sez. 1, n. 2939 del 17/10/2013, dep. 2014, Deuscit, Rv. 258392 – 01
Una volta che l’incidente di esecuzione sia stato legittimamente promosso, la decisione del giudice, salvo i casi particolari previsti dagli artt. 667, comma 4, e 676 cod. proc. pen., può essere assunta solo previa instaurazione del necessario contraddittorio fra tutti i soggetti interessati.
Il terzo comma dell’art. 666 cod. proc. pen. dispone infatti che ‘salvo quanto previsto dal comma 2, il giudice o il presidente del collegio, designato il difensore di ufficio all’interessato che ne sia privo, fissa la data dell’udienza in camera di
consiglio e ne fa dare avviso alle parti e ai difensori. L’avviso è comunicato o notificato almeno dieci giorni prima della data predetta. Fino a cinque giorni prima dell’udienza possono essere depositate memorie ‘ .
Quanto alla nozione di ‘ interessato ‘ , la giurisprudenza di legittimità non l’ha ritenuta sovrapponibile a quella del condannato.
La qualifica di ‘interessato’ è stata, infatti, riconosciuta:
alla parte civile rispetto alla richiesta di rimozione di un pregiudizio derivato dal provvedimento adottato nella fase esecutiva (Sez. 3, n. 2013 del 21/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277725);
alla parte civile rispetto all’incidente di esecuzione promosso dal pubblico ministero per la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena conseguente al mancato adempimento degli obblighi risarcitori perché in grado di fornire informazioni, anche “in favor”, in ordine all’adempimento dell’obbligazione risarcitoria (Sez. 1, n. 27151 del 31/05/2024, COGNOME, Rv. 286633 -01 anche se in senso contrario Sez. 1, n. 35841 del 29/05/2015, COGNOME, Rv. 264639 – 01);
alla persona offesa titolare dei beni confiscati non costituitisi parte civile rispetto alla richiesta di revoca del provvedimento ablatorio e di restituzione dei beni (Sez. 1, n. 6059 del 30/10/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287486 – 01;
alla parte civile della quale è stato accertato il diritto al risarcimento del danno rispetto alla revoca della confisca del profitto del delitto di usura disposto ai sensi dell’ art. 644, ultimo comma, cod. pen., a condizione che dimostri l’esistenza di un fatto nuovo, successivo al giudicato (Sez. 1, n. 7869 del 14/11/2023, dep., 2024 Del COGNOME, Rv. 285854 – 01).
ai terzi titolari di diritti reali sui beni confiscati, che non hanno rivestito la qualità di parte nel giudizio di cognizione, con riferimento alla richiesta di revoca della confisca divenuta irrevocabile (Sez. 1, n. 4096 del 24/10/2018 dep. 2019, Lacatus, Rv. 276163 – 01);
ai terzi gravati da specifici obblighi per la definizione del procedimento amministrativo di concessione in sanatoria rispetto alla richiesta di sospensione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo disposto con sentenza di condanna per il reato urbanistico.
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, quale organo deputato a mente dell’art. 5, comma 3 l. n. 400 del 1998, a curare l’esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, in ordine alla richiesta di revoca della confisca di un bene già considerata dai giudici europei in contrasto con l’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Sez. 3, n. 23761 del 11/05/2010, Rv. 247281 – 01).
In definitiva, può affermarsi che sono ‘interessati’ e, quindi, legittimati a partecipare all’incidente di esecuzione i titolari di situazioni giuridiche soggettive
astrattamente tutelabili nel processo di cognizione – a prescindere se abbiano scelto di intervenirvi o meno – che, in seguito ad una statuizione, positiva o negativa, divenuta irrevocabile, o abbiano subito un concreto pregiudizio, patrimoniale o no, che intendono rimuovere perché ritenuto illegittimo oppure siano state private, sempre illegittimamente, di un vantaggio, sempre strettamente correlato alla propria posizione processuale (le persone offese, le parti civili, i terzi estranei titolari di diritti sui beni confiscati, siano stati o meno citati ai sensi dell’art. 104 -bis, comma 1-quinquies, disp. att. cod. proc. pen.).
Parimenti è ‘ interessato ‘ il soggetto che ha uno specifico obbligo giuridico di conseguire il consolidamento o la rimozione del deliberato del giudice della cognizione (la Presidenza del Consiglio dei Ministri rispetto alla richiesta di revoca della confisca disposta in violazione dell’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo).
Il Consiglio della Regione autonoma della Sardegna non ha prospettato di trovarsi in alcuna delle posizioni passate sin qui in rassegna né risulta altrimenti la sua condizione di titolare di una specifica situazione soggettiva, lesa dal provvedimento impugnato, diversa dal generico interesse all ‘ esecuzione della sanzione accessoria inflitta al condannato in termini conformi alle previsioni della normativa vigente, cui si era asseritamente conformato il provvedimento del Segretario generale, emendato dall’impugnato provvedimento del Giudice dell’esecuzione.
3.1. Con tutta evidenza trattasi dello stesso interesse che le norme del codice di rito attribuiscono alla cura esclusiva del pubblico ministero quale organo dell’esecuzione .
L’ art. 662 cod. proc. pen. stabilisce che: «per l’esecuzione delle pene accessorie il pubblico ministero, fuori dai casi previsti dagli artt. 32 e 34 del codice penale, trasmette l’estratto della sentenza di condanna agli organi della polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, e, occorrendo, agli altri organi interessati, indicando le pene accessorie da eseguire. Nei casi previsti dagli artt. 32 e 34 del codice penale, il pubblico ministero trasmette l’estratto della sentenza al giudice civile competente».
L’ art. 183 disp. att. cod. proc. pen, prevede che «quando alla condanna consegue di diritto una pena accessoria predeterminata dalla legge nella specie e nella durata, il pubblico ministero ne richiede l’applicazione al giudice dell’esecuzione se non si è provveduto con la sentenza di condanna».
L’ ‘art. 139 cod. pen., secondo cui «nel computo delle pene accessorie temporanee non si tiene conto del tempo in cui il condannato sconta la pena detentiva o è sottoposto a misura di sicurezza detentiva, né del tempo in cui egli
si è sottratto volontariamente alla esecuzione della pena o della misura di sicurezza».
Ne segue che l ‘esecuzione delle pene accessorie incompatibili con le limitazioni della libertà personale patite dal condannato in costanza di sottoposizione alle pene detentive in regime di restrizione carceraria o mediante misure alternative deve essere necessariamente differita alla completa espiazione della pena principale detentiva (Sez. 1,.n. 13499 del 09/03/2011, Lieto, rv. 249865)..
Secondo la, stringata ma chiara, disciplina sin qui ricordata, l’unico organo giurisdizionale preposto all’esecuzione delle sanzioni accessorie è il pubblico ministero.
L’iniziativa del pubblico ministero non è necessaria solo quando la sanzione accessoria consista nell’interdizione dal compimento di attività, rimesse alla volontà del condannato senza che altri organismi o autorità debbano intervenire (Sez. 5, n. 582 del 11/07/2000, COGNOME, Rv. 218828 in tema di divieto di emissione di assegni).
Gli altri soggetti coinvolti nell’esecuzione; forze dell’ordine, pubbliche amministrazioni ed enti privati, hanno compiti meramente ancillari: a prescindere dagli effetti patrimoniali che possono determinare nei loro confronti le sanzioni accessorie, sono privi di poteri decisionali autonomi ma devono limitarsi a recepire le indicazioni del pubblico ministero procedente, che li mette a conoscenza del titolo esecutivo, del suo contenuto, delle prescrizioni inerenti alla pena ulteriore rispetto a quella principale.
Neanche il condannato , quando l’esecuzione richiede l’intervento di altri soggetti, può sostituirsi al pubblico ministero essendo stata condivisibilmente esclusa qualunque forma di automatismo tra passaggio in cosa giudicata della condanna ed inizio dell’esecuzione (cfr. Sez. 1, n. 39004 del 06/10/2021, COGNOME, in motivazione).
D’altra parte, il ruolo esclusivo e non surrogabile del pubblico ministero nell’ esecuzione è perfettamente coerente con la natura penalistica delle sanzioni accessorie, che possono avere, proprio nel caso dell’interdizione dai pubblici uffici tanto perpetua che temporanea, un carattere fortemente afflittivo, limitando fortemente le situazioni giuridiche soggettive, di cui il condannato è già titolare o che potrebbe acquisire in un momento futuro,
Si ricordi che l’interdizione dai pubblici uffici a mente dell’art. 28 cod. pen. priva il condannato: del diritto di elettorato attivo e passivo in qualsiasi comizio elettorale, nonché di ogni altro diritto politico; di ogni pubblico ufficio o incarico di pubblico servizio, purché non obbligatorio, e relativa qualità di pubblico ufficiale; degli uffici di tutore e curatore e di ogni altro ufficio riguardante la tutela e la cura;
dei gradi e delle dignità accademiche, dei titoli, decorazioni e pubbliche insegne onorifiche; degli stipendi, pensioni ed assegni che siano a carico dello Stato o di altri enti pubblici; di ogni altro diritto onorifico inerente a qualunque ufficio, servizio, grado o titolo e qualità, dignità e decorazioni indicati in precedenza; della capacità di assumere o di acquistare qualsiasi diritto, ufficio, servizio, qualità, grado, dignità, decorazione e insegna onorifica indicati in precedenza.
Le uniche eccezioni sono state introdotte per effetti di due interventi demolitori della Corte costituzionale (sentenze n. 3 del 13 gennaio 1966 e n. 13 del 19 luglio 1968) in riferimento alle situazioni soggettive derivanti da rapporto di lavoro ed inerenti a pensioni di guerra.
Per di più, secondo il disposto l’art. 139 cod. pen., che detta il criterio di raccordo cronologico tra le diverse sanzioni irrogate con lo stesso titolo, l’espiazione della reclusione o dell’arresto risultano incompatibili con la contemporanea sottoposizione alla pena accessoria di cui all’art. 28 cod. pen. Ne discende il necessario differimento dell’esecuzione di quest’ultima alla completa espiazione della pena principale detentiva.
In conclusione, il ricorso proposto da un soggetto non legittimato a partecipare all’ incidente di esecuzione promosso dal condannato per delimitare gli effetti della sanzione accessoria deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 13 maggio 2025.