Legittimazione a querelare: quando il dipendente può denunciare il danno?
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 43556/2024, ha fornito un importante chiarimento sulla legittimazione a querelare in caso di danneggiamento di beni aziendali. La questione centrale è se un semplice dipendente, non proprietario né legale rappresentante, possa validamente sporgere querela. La risposta della Suprema Corte è affermativa e si fonda sul concetto di “detenzione qualificata”, un principio con rilevanti implicazioni pratiche per la tutela dei patrimoni aziendali.
I fatti del caso: un atto di danneggiamento in un centro commerciale
Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato condannato per il reato di danneggiamento, previsto dall’art. 635 del codice penale. L’episodio si era verificato ai danni di uno stand di una nota compagnia telefonica situato all’interno di un centro commerciale. L’imputato, attraverso la sua difesa, contestava la sentenza di merito sollevando tre motivi principali. Tra questi, spiccava l’eccezione relativa alla presunta assenza di legittimazione a querelare da parte della persona che aveva sporto la denuncia: un addetto alle vendite dello stand.
Secondo la tesi difensiva, il dipendente non avrebbe avuto il titolo per avviare l’azione penale, in quanto non era il proprietario del bene danneggiato. Inoltre, la difesa lamentava la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).
La decisione della Cassazione e la legittimazione a querelare del dipendente
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni della difesa. La parte più significativa della decisione riguarda proprio la legittimazione a querelare del dipendente. I giudici hanno stabilito che l’addetto alle vendite era pienamente legittimato a sporgere querela, poiché deteneva la disponibilità dello stand e dei beni in esso contenuti in virtù del suo rapporto di lavoro. Questa posizione configura una “detenzione qualificata”, sufficiente a radicare il diritto di tutelare il bene da aggressioni esterne.
Il principio della “detenzione qualificata”
La Corte ha spiegato che la legittimazione a proporre querela non spetta esclusivamente al proprietario del bene, ma anche a chiunque abbia su di esso una relazione di interesse giuridicamente rilevante. La detenzione qualificata si verifica quando una persona ha la custodia e la gestione di un bene per uno scopo specifico, come l’esercizio di un’attività commerciale. L’addetto alle vendite, essendo responsabile dello stand, era titolare di una posizione di garanzia e tutela sui beni aziendali a lui affidati.
A sostegno di questa interpretazione, la Cassazione ha richiamato precedenti consolidati, tra cui sentenze che hanno riconosciuto la legittimazione alla cassiera di un supermercato, al custode di uno stabilimento e all’amministratore di condominio per i beni comuni.
Gli altri motivi di ricorso respinti
La Corte ha inoltre rigettato gli altri due motivi di ricorso. Il primo, relativo all’insussistenza del reato, è stato giudicato inammissibile per mancanza di specificità, in quanto non si confrontava con le prove decisive, come i filmati di videosorveglianza richiamati nella sentenza impugnata. Anche l’argomento sulla presunta rinuncia alla querela da parte di un altro dipendente è stato ritenuto infondato, poiché non si trattava di una rinuncia espressa e formale.
Infine, riguardo alla richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p., i giudici hanno confermato la valutazione del tribunale di merito, che aveva motivato in modo congruo la non particolare tenuità del fatto, rendendo la questione non sindacabile in sede di legittimità.
le motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su un’interpretazione estensiva e pragmatica del diritto di querela. Il fulcro della decisione risiede nel riconoscimento che la tutela penale del patrimonio non può essere limitata al solo titolare del diritto di proprietà. Chiunque abbia un rapporto qualificato con la cosa, derivante da un obbligo di custodia o gestione, è portatore di un interesse meritevole di protezione. Questa visione è coerente con la realtà operativa di molte aziende, dove la protezione quotidiana dei beni è affidata ai dipendenti presenti sul posto. Negare loro la possibilità di agire tempestivamente con una querela svuoterebbe di efficacia la tutela penale.
La Corte ha inoltre ribadito l’importanza della specificità dei motivi di ricorso: non è sufficiente contestare genericamente una decisione, ma è necessario confrontarsi punto per punto con le argomentazioni del giudice di merito. La dichiarazione di inammissibilità per questo vizio procedurale sanziona la superficialità dell’atto di impugnazione.
le conclusioni
Questa ordinanza consolida un principio di fondamentale importanza pratica: un dipendente responsabile di beni aziendali ha piena legittimazione a querelare in caso di danneggiamento. La decisione rafforza gli strumenti di tutela a disposizione delle imprese, consentendo una reazione più immediata ed efficace contro gli atti illeciti. Per le aziende, ciò significa che la denuncia presentata da un proprio collaboratore è un atto valido e sufficiente per avviare un procedimento penale. Per i dipendenti, rappresenta il riconoscimento del loro ruolo di garanti dei beni affidati, con il conseguente diritto di attivarne la protezione legale.
Un dipendente può sporgere querela per un danno ai beni dell’azienda?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, un dipendente può sporgere querela se ha la ‘detenzione qualificata’ del bene danneggiato, ovvero ne ha la disponibilità materiale e la responsabilità in virtù del suo rapporto di lavoro, come un addetto alle vendite che gestisce uno stand.
Cosa si intende per ‘detenzione qualificata’ ai fini della legittimazione a querelare?
Si intende la disponibilità materiale di un bene che un soggetto esercita per uno scopo specifico (come la custodia o l’esercizio di un’attività commerciale), che gli conferisce un interesse giuridicamente tutelato alla protezione del bene stesso, fondando così il suo diritto di sporgere querela.
La rinuncia alla querela da parte di un altro dipendente non proprietario è valida?
No. La Corte ha chiarito che la presunta ‘rinuncia’ da parte di un altro dipendente (in questo caso un addetto marketing), che non era titolare del bene, non ha alcun valore. Inoltre, una rinuncia, per essere valida, deve essere espressa e formale, non potendo desumersi da comportamenti equivoci o da semplici comunicazioni interne non formalizzate.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43556 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43556 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a GORIZIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/02/2024 del TRIBUNALE di GORIZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
letto il ricorso di COGNOME NOME, letta altresì la memoria difensiva tramessa in data 25.10.2024,
ritenuto che il primo motivo di ricorso, con cui la difesa denunzia violazione di legge con riguardo al delitto di cui all’art. 635 cod. pen. con particolare riferimento all’insussistenza dell’elemento oggettivo, difetta di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (cfr. pag. 3 dove correttamente si richiamano i filmati di video sorveglianza del centro commerciale che hanno consentito di ricostruire il fatto e sussumerlo correttamente nella fattispecie ascritta all’odierno ricorrente), queste non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, che comporta, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., l’inammissibilità;
considerato che il secondo motivo di ricorso, che deduce violazione di legge in relazione all’assenza di legittimazione del querelante, è a sua volta manifestamente infondato: dalla ricostruzione della vicenda restituita dalla lettura delle due sentenze di merito risulta pacifico che il querelante avesse la disponibilità dello stand quale addetto alle vendite della TIM e, pertanto, ne avesse una detenzione “qualificata” idonea, pertanto, a fondare la legittimazione a proporre querela (cfr., tra le più recenti, Sez. 4 – , n. 7193 del 20/12/2023, dep. 19/02/2024, P. Rv. 285824 – 01, che ha riconosciuto la legittimazione a proporre querela alla cassiera di un supermercato pur se sprovvista dei poteri di rappresentanza del proprietario, in quanto titolare della detenzione qualificata del bene a scopo di custodia o per l’esercizio del commercio al suo interno; conf., Sez. 5, n. 55025 del 26/09/2016, COGNOME, Rv. 268906 – 01, che ha ritenuto legittimato il custode di uno stabilimento al cui interno era stato commesso un furto, in quanto titolare di una posizione di detenzione materiale qualificata della cosa; Sez. 5 – , n. 33813 del 26/05/2023, Breda, Rv. 284991 – 01, relativa all’amministratore di condominio in ragione della detenzione qualificata rispetto alle risorse economiche del condominio e della necessità di assicurare il corrette espletamento dei servizi comuni); per contro, nessun rilievo poteva essere attribuito alla “rinuncia” da parte dell’addetto all’area marketing, COGNOME, sia perché a sua volta non era certamente titolare del bene danneggiato, sia anche perché non si tratterebbe di una rinuncia espressa ma, a ben guardare, in quanto non accompagnata da ulteriori circostanze, nemmeno di rinuncia tacita (cfr., così, Sez. 5, n. 35564 del 12/06/2012, Campagnolo, Rv. 253279 – 01, in cui la Corte ha chiarito che la dichiarazione di rinuncia al diritto di querela ove menzionata ir
una relazione di servizio di P.G. e non contenuta invece in un verbale, non integra rinuncia espressa per difetto dei requisiti formali previsti dalla legge processuale e non può nemmeno valere come rinuncia tacita, salvo che ad essa non si accompagnino fatti valutabili, di per se stessi, come incompatibili con la volontà di sporgere querela);
osservato, inoltre, che parimenti reiterativo risulta il terzo motivo di ricorso che lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. e, pertanto, non consentito a fronte di una corretta e congrua motivazione – sia dal punto di vista giuridico che logico – contenuta a pag. 4 della sentenza oggetto di ricorso in cui la Corte ha considerato l’episodio nel suo complesso operando un apprezzamento di merito circa la sua non particolare tenuità che, come tale, è insindacabile in questa sede;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2024