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Legittimazione a proporre querela: il possesso basta

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un condannato per furto. L’imputato contestava la legittimazione a proporre querela della denunciante, non proprietaria del bene. La Corte ribadisce che il possesso di fatto del bene, anche senza titolo di proprietà, è sufficiente a qualificare il soggetto come persona offesa e a conferirgli la legittimazione a sporgere querela.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Legittimazione a proporre querela per furto: anche il convivente può denunciare

L’ordinanza n. 12040/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante precisazione sulla legittimazione a proporre querela in caso di furto. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: per essere considerati ‘persona offesa’ non è necessario essere il proprietario del bene sottratto, ma è sufficiente averne il possesso, inteso come una relazione di fatto con la cosa. Questo principio amplia la tutela penale a situazioni molto comuni, come la convivenza.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un ricorso presentato da un individuo condannato in primo e secondo grado per il reato di furto aggravato. L’imputato, attraverso il suo difensore, sollevava un’unica, ma cruciale, obiezione: la persona che aveva sporto la querela non era la proprietaria del bene rubato (un anello), bensì la figlia della proprietaria, con cui conviveva. Secondo la tesi difensiva, questa circostanza avrebbe reso la querela invalida, minando alla base l’intero procedimento penale.

La Corte d’Appello di Genova aveva già respinto questa argomentazione, confermando la condanna. L’imputato ha quindi deciso di portare la questione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando un’errata applicazione della legge penale proprio in merito alla legittimazione a querelare.

La questione giuridica e la legittimazione a proporre querela

Il nucleo del problema giuridico risiede nella definizione di ‘persona offesa’ dal reato di furto. Chi ha il diritto di attivare la giustizia penale quando un bene viene rubato? Solo il proprietario formale o anche chi, pur non essendolo, ha un legame stabile e di fatto con l’oggetto?

La difesa dell’imputato sosteneva una visione restrittiva, legando la legittimazione esclusivamente al diritto di proprietà. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha abbracciato un’interpretazione più ampia, in linea con un orientamento consolidato e autorevole della giurisprudenza.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni principali.

In primo luogo, ha qualificato le argomentazioni del ricorrente come ‘mere doglianze in punto di fatto’. In altre parole, l’imputato non stava contestando una violazione di legge, ma tentava di ottenere una diversa ricostruzione dei fatti, un’operazione preclusa in sede di legittimità. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito, ma valuta unicamente la corretta applicazione delle norme giuridiche e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.

Nel merito, e qui risiede il punto di maggiore interesse, la Corte ha richiamato la giurisprudenza delle Sezioni Unite (in particolare la sentenza ‘Sciuscio’ n. 40354 del 2013). Secondo questo fondamentale precedente, il bene giuridico tutelato dal reato di furto non è solo la proprietà o altri diritti reali, ma anche il possesso. Il possesso è definito come una relazione di fatto con la cosa, che non richiede necessariamente un titolo giuridico formale. Può esistere persino se si è costituito in modo clandestino o illecito.

Applicando questo principio al caso di specie, la Corte ha osservato che la querelante, essendo la figlia della proprietaria e sua convivente, aveva una situazione di possesso di fatto su tutti i beni presenti nell’abitazione comune, incluso l’anello rubato. Questa relazione materiale e di disponibilità con il bene è sufficiente a qualificarla come persona offesa dal reato di furto e, di conseguenza, a conferirle piena legittimazione a proporre querela.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio di grande importanza pratica. La tutela contro il furto non è riservata al solo titolare del diritto di proprietà, ma si estende a chiunque eserciti un potere di fatto sul bene, come un convivente, un coinquilino o un detentore qualificato. Questa interpretazione estensiva garantisce una protezione più efficace e aderente alla realtà delle relazioni sociali, riconoscendo che il danno derivante da una sottrazione non è solo patrimoniale in senso stretto, ma colpisce anche la sfera di disponibilità e controllo che un soggetto esercita sui beni con cui vive quotidianamente. La decisione conferma che, ai fini della procedibilità per il reato di furto, ciò che conta è la relazione fattuale con la cosa, non il titolo formale di proprietà.

Chi può sporgere querela per il reato di furto?
Può sporgere querela non solo il proprietario del bene rubato, ma anche chi ne ha il possesso, inteso come una relazione di fatto con la cosa, anche in assenza di un titolo giuridico.

Il convivente non proprietario di un bene rubato in casa può denunciare il furto?
Sì. Secondo la Corte, la convivenza crea una situazione di possesso di fatto sui beni presenti nell’abitazione comune. Pertanto, il convivente è qualificato come persona offesa e ha la piena legittimazione a proporre querela per il furto di un bene, anche se di proprietà di un altro convivente.

La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti di un processo?
No, alla Corte di Cassazione è preclusa una ‘rilettura’ degli elementi di fatto che sono a fondamento della decisione di merito. Il suo compito è valutare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non può fornire una ricostruzione alternativa dei fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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