Legittima Difesa Sproporzionata: Quando la Reazione Diventa Reato
Il confine tra il diritto di difendersi e la commissione di un reato è spesso sottile e complesso. La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 19288/2024 offre un’importante lezione sulla legittima difesa sproporzionata, chiarendo i limiti invalicabili del ricorso in sede di legittimità. Questo caso ci permette di analizzare quando una reazione a un’offesa cessa di essere una difesa legittima e si trasforma in un’azione penalmente rilevante, e quali sono i poteri della Suprema Corte in queste delicate valutazioni.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un uomo per il reato di lesioni gravi, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello. L’imputato, non accettando la decisione, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, basando la sua difesa principalmente su un punto: a suo dire, avrebbe agito sotto la scriminante della legittima difesa, anche in forma putativa (cioè per un errore sulla situazione di fatto) o, al più, commettendo un eccesso colposo.
Inoltre, il ricorrente contestava la decisione dei giudici di merito di considerare equivalenti le circostanze aggravanti del reato e le attenuanti generiche a lui concesse, chiedendo un giudizio di prevalenza di queste ultime che avrebbe comportato una pena più mite.
I Motivi del Ricorso e la Legittima Difesa Sproporzionata
I motivi del ricorso si concentravano su due aspetti fondamentali:
1. Il mancato riconoscimento della legittima difesa: L’imputato sosteneva che la sua reazione fosse giustificata da un’aggressione subita, chiedendo alla Cassazione di riconsiderare i fatti per ammettere la scriminante.
2. Il bilanciamento delle circostanze: A suo avviso, la Corte d’Appello aveva errato nel non far prevalere le attenuanti generiche sulle aggravanti, optando per un’equivalenza che egli riteneva ingiusta.
La difesa mirava a ottenere una rivalutazione completa delle dinamiche dell’evento, sperando che la Suprema Corte potesse fornire una lettura dei fatti diversa da quella dei giudici di merito.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le argomentazioni della difesa con motivazioni chiare e nette.
Sulla Proporzionalità della Reazione
Il cuore della decisione riguarda la legittima difesa sproporzionata. La Corte ha sottolineato che i giudici di merito avevano già condotto un’analisi completa e logica dei fatti, basata su certificati medici e testimonianze. Da questa analisi era emersa una reazione “consapevole e volontaria” e palesemente sproporzionata rispetto all’offesa ricevuta. In altre parole, la difesa non era stata commisurata all’attacco.
La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento: il suo ruolo non è quello di un “terzo grado” di giudizio dove si possono riesaminare le prove. La Corte di legittimità non può sovrapporre la propria valutazione a quella dei giudici di merito, né può verificare la tenuta logica della sentenza confrontandola con altri possibili modelli di ragionamento. Il suo compito è solo verificare se la motivazione della sentenza impugnata sia manifestamente illogica o contraddittoria, cosa che in questo caso non era.
Sul Bilanciamento delle Circostanze
Anche il secondo motivo di ricorso è stato ritenuto infondato. La valutazione e il bilanciamento delle circostanze attenuanti e aggravanti rientrano nella discrezionalità del giudice di merito. Tale valutazione sfugge al controllo della Cassazione, a meno che non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva motivato adeguatamente la sua scelta di equivalenza, considerando non solo l’entità delle lesioni provocate alla vittima, ma anche il grado di deviazione della condotta dell’imputato dalle regole di comportamento legate alla sua professione di pubblica rilevanza.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida due principi cardine del processo penale. In primo luogo, la scriminante della legittima difesa richiede inderogabilmente il requisito della proporzionalità tra difesa e offesa; una reazione eccessiva e volontaria non può essere giustificata. In secondo luogo, viene riaffermato il limite invalicabile del giudizio di Cassazione: la Suprema Corte non è un giudice del fatto, ma del diritto. Non si può adire la Cassazione sperando in una nuova lettura delle prove, ma solo per denunciare vizi di legge o motivazioni gravemente illogiche che, nel caso di specie, sono stati esclusi.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove per dimostrare di aver agito per legittima difesa?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, non ricostruire i fatti.
Quando una reazione può essere considerata una legittima difesa sproporzionata?
Secondo la Corte, una reazione è sproporzionata quando è consapevole, volontaria ed eccede i limiti di quanto strettamente necessario per difendersi dall’offesa. La valutazione si basa su un confronto oggettivo tra i mezzi usati per difendersi e la gravità dell’aggressione subita.
Il giudice di merito è libero di decidere come bilanciare le circostanze aggravanti e attenuanti?
Sì, il bilanciamento delle circostanze è un’attività discrezionale del giudice di merito. Questa decisione non può essere contestata in Cassazione, a meno che non sia il risultato di un ragionamento arbitrario o palesemente illogico e non sia supportata da una motivazione sufficiente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19288 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19288 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TAURIANOVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/05/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte d’appello di Reggio Calabria ne ha confermato la condanna per il reato di lesioni gravi.
Considerato che i primi due motivi di ricorso ed il motivo aggiunto proposto a sostegno del primo del ricorso principale, con i quali si deducono violazione di legge e vizi di motivazione in relazione al mancato riconoscimento, nel caso di specie, della scriminante della legittima difesa – anche in forma putativa o di eccesso colposo – è manifestamente infondato in quanto, a fronte di una completa e logica disamina delle modalità di verificazione dell’evento, anche in relazione alla ritenuta sproporzione (consapevole e volontaria) della reazione dello COGNOME rispetto all’offesa subita, per come ampiamente compendiate in atti sulla base del certificato medico e delle testimonianze raccolte, di fatto sollecita una rivalutazione di dette fonti di prova, non tenendo però conto della preclusione per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (ex multis Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
Considerato che il terzo motivo di ricorso, il quale contesta il giudizio di comparazione fra le opposte circostanze di cui agli artt. 583 c.p. e 62 bis c.p., non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito che sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931), circostanza questa certamente ravvisabile nel caso di specie, avendo la Corte territoriale considerato non solo l’entità delle lesioni subite dalla vittima ma altresì il grado di deviazione della condotta dalle regole di comportamento riferite alla professione – di pubblica rilevanza – svolta dall’imputato.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro 3.000,00 a favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 27 ma o 2024