Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26199 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26199 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a KRASNODON( UCRAINA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/09/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il PG conclude per il rigetto del ricorso
udito il difensore i
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Corte di Cassazione – copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 dicembre 2020, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena, in esito a giudizio abbreviato, concesse le circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, computata la diminuente per la scelta del rito, condannava NOME COGNOME alla pena di tre anni e dieci mesi di reclusione per i seguenti reati commessi in Modena il 25 marzo 2018 nei pressi di un locale pubblico: tentato omicidio in danno di NOME COGNOME, ferito da COGNOME con un fendente di coltello all’addome; di porto di detto coltello fuori della propria abitazione; di partecipazione a una rissa. L’imputato veniva condannato anche, in favore della persona offesa costituitasi parte civile, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in sede civile, e alla rifusione delle spese giudiziali.
NOME COGNOME proponeva appello rivolto alla Corte di appello di Bologna, che lo rigettava con sentenza del 13 settembre 2022.
La difesa di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con atto articolato in tre motivi volti ad ottenere l’annullamento della sentenza di appello.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., deduce violazione di legge e vizi di motivazione in relazione all’art. 588, secondo comma, cod. pen. La difesa afferma che la Corte di appello non ha tenuto conto delle deduzioni difensive, contenute anche nei motivi nuovi di appello, e che la motivazione della sentenza impugnata è in contrasto con gli elementi di prova ricavabili dalle riprese di videosorveglianza, dalle quali emergerebbe che i fatti si svolsero in tre distinti momenti.
In una prima fase, si collocherebbe l’aggressione, del tutto unilaterale, ad opera di un gruppo di persone, ai danni di COGNOME e di un altro soggetto, rimasti esclusivamente passivi, nonostante il numero e la violenza dei colpi subiti soprattutto da COGNOME; dalle immagini di videosorveglianza non si evincerebbe – a differenza di come affermato nella motivazione della sentenza impugnata – che i due aggrediti risposero con calci e pugni ai predetti aggressori, ma solo che gli aggrediti si limitarono a proteggersi il capo per evitare danni maggiori. I testi presenti al fatto (COGNOME e COGNOME) avrebbero confermato tale circostanza.
In una fase successiva, si collocherebbe l’intervento dei buttafuori del vicino locale pubblico, che avrebbero allontanato il gruppo degli aggressori.
In una terza fase, si collocherebbe il momento in cui COGNOME si era avvicinato ad uno degli aggressori sferrandogli un fendente al corpo.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., deduce violazioni degli artt. 56 e 575 cod. pen. in
relazione alla qualificazione come tentato omicidio del comportamento relativo all’accoltellamento, da parte di COGNOME e in danno di NOME COGNOME.
Il ricorrente afferma che la Corte di appello non ha tenuto conto che COGNOME inflisse il colpo, una volta che la situazione si era tranquillizzata, soltanto a fin vendicativo, tanto è vero che, dopo aver compiuto tale azione, peraltro istantanea, rimase sul posto, come risulta dal filmato che ha ripreso l’accaduto, probabilmente neppure rendendosi conto dell’entità della sua azione, ad ulteriore conferma dell’assenza in lui di intento omicida, bensì della volontà unicamente lesiva.
La difesa contesta, inoltre, anche l’accertamento relativo all’ulteriore elemento costitutivo del tentativo, affermando che l’unicità del fendente, il tipo di colpo inferto e la zona attinta avrebbero dovuto far ritenere che gli atti commessi non erano idonei a causare la morte della vittima.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., deduce violazioni dell’art. 62, comma secondo, cod. pen. e degli artt. 125 e 546 cod. proc. pen., sia in relazione alla mancata applicazione dell’attenuante della provocazione con riferimento all’accoltellamento da parte di COGNOME in danno di NOME, sia in relazione al mancato esame delle deduzioni difensive sul punto, inserite fra i motivi nuovi di appello depositati, ai sensi dell’art 585, comma 4, cod. proc. pen., il 27 luglio 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso, diretto a criticare l’affermazione della responsabilità dell’imputato in ordine al reato di rissa, è fondato.
1.1. La giurisprudenza di legittimità ha spiegato che non integra il delitto di rissa la condotta di colui che, aggredito da altre persone, reagisca difendendosi (Sez. 5, n. 22587 del 02/02/2022, Rv. 283398 – 01).
È stato chiarito che detto reato richiede la condotta di due gruppi contrapposti che agiscano con la vicendevole volontà di attentare all’altrui incolumità, presupposto che non è integrato qualora un gruppo di persone assalga altri soggetti che fuggano dall’azione violenta posta in essere ai loro danni (Sez. 6, n. 12200 del 04/12/2019, dep. 2020, Rv. 278728 – 01).
1.2. La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha spiegato che, in presenza di un atto di appello non inammissibile per carenza di specificità, il giudice d’appello non può limitarsi al mero e tralaticio rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, in quanto, anche laddove l’atto di appello riproponga questioni già di fatto dedotte e decise in primo grado, egli ha l’obbligo di motivare in modo puntuale e analitico su ogni punto a lui devoluto, onde non incorrere nel vizio di motivazione apparente (Sez. 2, n. 52617 del 13/11/2018, Rv. 274719 – 02).
È stato precisato che il vizio di motivazione che denunci la carenza argomentativa della sentenza rispetto ad un tema contenuto nell’atto di impugnazione può essere utilmente dedotto in Cassazione soltanto quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano carattere di decisività (Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Rv. 267723 – 01).
1.3. In applicazione dei richiamati principi di diritto, pienamente condivisibili, deve affermarsi, con riferimento al caso ora in esame, che la sentenza di appello qui esaminata non è immune dai vizi lamentati e che le doglianze difensive colgono nel segno quanto all’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al reato di rissa.
La Corte di appello, infatti, riferendosi a COGNOME e COGNOME, coimputati per la rissa, afferma che «…dal video contenuto in atti si evince chiaramente, così come correttamente indicato dal primo giudice, la responsabilità dei due soggetti; in particolare, a nulla rileva la circostanza per cui – solo inizialmente – i prevenuti s siano posti in posizione difensiva essendo aggrediti dal gruppo “rivale”: infatti, i due imputati hanno reagito quasi immediatamente all’aggressione degli altri individui con calci e pugni, e non si sono limitati a un mero tentativo di difesa o di fuga, unica condotta non penalmente rilevante come ribadito di recente dalla Suprema Corte…».
La motivazione esposta, però, non è sufficiente a far comprendere come la Corte di appello abbia superato i rilievi rassegnati dalla difesa di COGNOME, che, nelle censure proposte in appello (v., in particolare, il primo dei motivi nuovi, datati 27 luglio 2022 e richiamati dalla difesa nelle proprie conclusioni del giudizio di appello, come emerge dalla sentenza ora impugnata), aveva puntualizzato la propria ricostruzione dei singoli momenti della prima fase dei fatti, relativa all’aggressione subìta dallo stesso COGNOME; aveva fatto precisi riferimenti sia alle risultanze delle singole videoriprese sia alle dichiarazioni dei testimoni NOME COGNOME e NOME COGNOME; aveva affermato che da tali elementi probatori emergeva una condotta solo difensiva di COGNOME.
Avuto riguardo a tali rilievi difensivi, sarebbero stati necessari chiarimenti più precisi da parte della Corte di appello, e di approfondimenti logici circa le condotte tenute dai soggetti coinvolti, al fine di stabilire se fosse configurabile o dovesse escludersi, a carico di COGNOME, la partecipazione a una rissa.
In mancanza di chiarimenti e di una riflessione più approfondita, da svolgere tenendo conto complessivamente degli elementi istruttori raccolti e della situazione di fatto emersa, risultano inadeguate le considerazioni del giudice di appello sulla valutazione di responsabilità di COGNOME in ordine al reato di rissa.
Sono infondate le censure riguardanti l’elemento psicologico e la qualificazione del reato di accoltellamento, da parte di COGNOME, in danno di COGNOME.
2.1. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di distinzione tra il reato di lesione personale e quello di tentato omicidio, occorre avere riguardo sia al diverso atteggiamento psicologico dell’agente, sia alla differente potenzialità dell’azione lesiva, desumibili dalla sede corporea attinta, dall’idoneità dell’arma impiegata nonché dalle modalità dell’atto lesivo (Sez. 1, n. 24173 del 05/04/2022, Rv. 283390-01). Ha altresì stabilito che, in tema di delitto tentato, l’accertamento dell’idoneità degli atti deve essere compiuto dal giudice di merito secondo il criterio della prognosi postuma, con riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni prevedibili del caso (Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, Rv. 277032-02).
È stato precisato, inoltre, che l’accertamento deve essere condotto desumendo il dolo da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente (Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, Rv. 257208-01).
È stato affermato, poi, che il dolo diretto, anche nella sua forma di dolo alternativo, che ricorre quando il soggetto agente prevede e vuole indifferentemente due eventi alternativi tra loro come conseguenza della sua condotta, è compatibile con il tentativo (Sez. 1, n. 43250 del 13/04/2018, COGNOME, Rv. 274402-01; Sez. 1, n. 9663 del 03/10/2013, dep. 2014, Rv. 259465-01).
2.2. In applicazione dei richiamati principi di diritto, pienamente condivisibili, deve affermarsi, con riferimento al caso ora in esame, che non colgono nel segno le doglianze della difesa dell’imputato volte a criticare la qualificazione giuridica come tentato omicidio dell’accoltellannento commesso da COGNOME in danno di NOME.
La motivazione resa dalla Corte di appello sull’argomento è congrua, rispettosa del dato normativo e dei principi che regolano la materia.
La motivazione, infatti, è adeguata nella parte in cui spiega – così dimostrando di aver preso in considerazione le contrarie tesi difensive – che il reato non può essere riqualificato come lesioni personali gravi, attese le risultanze probatorie e l’entità della ferita inflitta. La Corte di appello espone che emergeva, infatti, dalle immagini, che COGNOME aveva raccolto il coltello lungo cm. 16 di cui cm. 7,5 di lama, e aveva colpito, perforandogli l’addome, NOME, dopo avere percorso diversi metri per raggiungerlo, peraltro quando la rissa era stata sedata per l’intervento degli addetti alla sicurezza del predetto locale.
La motivazione della sentenza risulta ragionevole, nella parte in cui afferma che il fatto integra il reato di tentato omicidio, avuto riguardo all’arma utilizzata, alla parte del corpo attinta, alle modalità dell’azione.
A fronte della chiarezza espositiva e della congruità delle argomentazioni logico-giuridiche presenti nella sentenza impugnata, le doglianze difensive sono prive di pregio.
Il COGNOME provvedimento, COGNOME quindi, COGNOME supera, COGNOME sul COGNOME tema COGNOME della COGNOME qualificazione dell’accoltellamento come tentato omicidio, il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato deve arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento delle circostanze fattuali.
È fondato il motivo di ricorso riguardante la mancata trattazione delle censure avanzate in appello con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione.
Dagli atti emerge, infatti, che la difesa di COGNOME, nel terzo dei motivi nuovi di appello (richiamati dalla difesa nelle proprie conclusioni del giudizio di appello, come emerge dalla sentenza ora impugnata)aveva criticato il mancato riconoscimento, da parte del giudice di primo grado, dell’attenuante della provocazione.
Tale tema non è stato esaminato nella sentenza di appello che, quindi, risulta carente di motivazione su un punto della causa che per la sua decisività avrebbe dovuto formare oggetto di motivazione, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità nei condivisibili principi già sopra ricordati nel trattare il primo motiv di ricorso (Sez. 2, n. 52617 del 13/11/2018, Rv. 274719 – 02; Sez. 6, Sentenza n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Rv. 267723 – 01).
Deve quindi affermarsi che la sentenza di appello non è immune dai vizi lamentati e che le doglianze difensive sull’argomento sono fondate.
Avuto riguardo a detti elementi, la sentenza impugnata risulta carente di motivazione e deve essere annullata, limitatamente al reato di rissa e all’attenuante della provocazione, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna, che svolgerà nuovo giudizio in proposito senza incorrere nei vizi riscontrati. Il giudice del rinvio sarà libero di accogliere o rigettare i motivi appello per i profili evidenziati, ma, nel rispetto delle norme che regolano la materia, dovrà rendere congrua motivazione, compiendo anche, a seconda della decisione che adotterà su detti profili, l’eventuale rideterminazione del trattamento sanzionatorio. Per il resto, il ricorso deve essere rigettato.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di rissa e all’attenuante della provocazione con rinvio per nuovo giudizio anche per l’eventuale rideterminazione del trattamento sanzionatorio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, 18 gennaio 2024.