Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1831 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1831 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in MAROCCO il 16/10/1995
avverso la sentenza del 21/05/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME lette le conclusioni scritte fatte pervenire dal Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la condanna, resa nei confronti di NOMECOGNOME in data 9 ottobre 2023, alla pena di anni otto di reclusione in relazione al reato di tentato omicidio di cui al capo B, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile assoluzione perché il fatto non sussiste dal reato di tentata rapina aggravata di cui al capo A.
Avverso la sentenza indicata l’imputato ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, avv. COGNOME denunciando, attraverso i motivi di seguito riassunti, nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. tre vizi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 52 cod. pen., nonché vizio di motivazione in relazione ai presupposti oggettivi e soggettivi della legittima difesa.
Le immagini acquisite con il sistema di videosorveglianza, installate in prossimità del Duomo e delle strade adiacenti ad esso, luogo teatro dei fatti, non hanno potuto rilevare il momento in cui ha avuto inizio la colluttazione tra l’imputato e la persona offesa.
Per questo, il ragionamento svolto in punto legittima difesa, dal Giudice di secondo grado, è soltanto deduttivo. Per la Corte territoriale, invero, sarebbe stato l’imputato a inseguire la vittima, cercando insistentemente lo scontro e, quindi, ad aver proposto la sfida.
Tuttavia, la motivazione è illogica perché la Corte di appello afferma che risulta provato, al di là di ogni ragionevole dubbio che, a seguito dell’alterco, sarebbe stato l’imputato a cercare, insistentemente inseguendola, la persona offesa.
Invece, il momento dell’inizio della colluttazione, essendo parziali le immagini percepite attraverso la telecamera, non può che essere stato soltanto ipotizzato dai giudici di merito.
La presenza di una ricostruzione alternativa, nel senso prospettato dalla difesa (l’imputato, nel corso della colluttazione, non è riuscito a fuggire nell immediatezze ma ha continuato a difendersi dagli attacchi della persona offesa), avrebbe dovuto condurre a ritenere sussistente la causa di giustificazione.
1.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 603 cod. proc. pen. in ordine alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ai fini dell’escussion quale testimone, della donna non identificata ritratta dalle videocamere e vizio di motivazione.
La difesa aveva avanzato richiesta di rinnovazione istruttoria perché, dalle immagini estrapolate dal sistema di videosorveglianza, emergeva la presenza di una donna, verosimilmente conosciuta dai contendenti, nei momenti antecedenti alla colluttazione, ripresa mentre discuteva animatamente con la persona offesa e che l’aveva seguita quando questa si era allontanata dal luogo teatro dei fatti.
Illogica, quindi, sarebbe la motivazione della Corte di appello quando afferma che non risulta necessario assumere ulteriori testimonianze per chiarire l’episodio.
Tale motivazione non terrebbe conto della circostanza che non vi è stata una visione completa dell’intera scena, per la mancanza di copertura delle immagini di videosorveglianza, di qui la necessità di ascoltare l’unico testimone dei fatti.
La presenza della teste oculare si evidenzia dalle immagini di videosorveglianza dalle quali risulta che questa persona è stata ripresa mentre discuteva, animatamente, con la persona offesa ed è, dunque, ragionevole pensare che la stessa abbia seguito i protagonisti della vicenda, ai fini di comprendere l’evoluzione della situazione.
1.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 56 e 575 cod. pen., nonché vizio di motivazione in ordine alla richiesta di riqualificazione del fatto nel reato di lesioni personali aggravate.
Da una parte, la Corte di appello non riconosce la legittima difesa in quanto l’imputato avrebbe potuto darsi alla fuga onde scongiurare le ulteriori conseguenze dell’azione.
Dall’altra parte, però, la stessa Corte territoriale afferma che questi si era dato alla fuga, condotta che rappresenta, a parere dei giudici di secondo grado, il motivo per escludere che l’imputato abbia manifestato resipiscenza avendo invece accettato il rischio che la parte offesa morisse.
Secondo la difesa, la fuga è dovuta al fatto che l’imputato temeva per la propria incolumità, essendo egli stesso in quel momento in pericolo di morte come confermato da tutti i referti medici.
Sicché l’imputato non sarebbe stato in grado di fermarsi per prestare soccorso alla persona offesa ma aveva, come unico scopo, quello di portarsi in salvo.
In ogni caso, la Corte di appello non ha dato conto di tutte le tematiche esposte in sede di gravame laddove si erano messi a confronto gli esiti dei referti medici, di entrambi i soggetti coinvolti, evidenziando il maggior pericolo di morte rischiato dall’imputato, sia tenendo conto della durata della degenza, sia considerando le conseguenze e la natura delle ferite inferte con arma da taglio e punta.
2.L’Avvocato generale di questa Corte, PCOGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta, ai sensi degli artt. 614, 611 cod. proc. pen., come modificato
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dall’art. 11, commi 2, lettere a), b), c) e 3 del di. 29 giugno 2024, n. 89, convertit con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120, in assenza di richiesta di trattazione in pubblica udienza nel termine di legge, chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo è inammissibile.
In primo luogo, si osserva che il motivo e reiterativo di analoga censura svolta con il gravame alla quale la Corte di appello ha risposto con un ragionamento ineccepibile.
In secondo luogo, i giudici di secondo grado escludono la sussistenza della legittima difesa con un ragionamento ineccepibile in diritto in quanto si evidenzia che l’imputato è stato il primo ad infliggere la coltellata alla persona offesa che si trovava di spalle, come riscontrato in base alla ricostruzione della sentenza di primo grado.
In ogni caso, la Corte di appello esclude la causa di giustificazione sulla scorta dell’esito dell’istruttoria dibattimentale, oltre che di una consistente prova logica affermando che, comunque, la condotta, avvenuta nei pressi del lungomare di Reggio Calabria, tra l’imputato e la persona offesa, ha avuto modo di presentarsi sulla base di circostanze inconfutabili acclarate, come un inseguimento da parte dell’imputato rispetto alla persona offesa.
Da tale dato certo, i giudici di secondo grado traggono la conclusione immune da illogicità manifesta secondo la quale l’imputato non ha desistito dalla disputa in atto, ma anzi ha percorso diverse decine di metri per giungere allo scontro fisico con la persona offesa, ritenendo così indifferente, ai fini che interessano, l’accertamento sul se sia stato o meno l’imputato a colpire per primo.
Si tratta di ragionamento conforme al principio giurisprudenziale, affermato costantemente da questa Corte, secondo il quale l’accettazione di una sfida per la risoluzione di una contesa o per dare sfogo ad un risentimento, non consente di invocare la legittima difesa da parte di colui che accetti la sfida medesima, in quanto postosi, volontariamente, in una situazione di inevitabile pericolo per la propria incolumità, fronteggiabile solo con l’aggressione altrui (Sez. 1, n. 4874 del 27/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254697 – 01; Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013, COGNOME, Rv. 256016).
Invero, la giurisprudenza di legittimità reputa che (cfr. Sez. 1, n. 21577 del 20/02/2024, COGNOME, Rv. 286440 – 01) in tema di legittima difesa, ciò che rileva è la volontaria determinazione di una situazione di pericolo che poteva essere evitata allontanandosi senza pregiudizio e disonore. T le condizione
osta alla configurabilità della causa di giustificazione, che opera solo quando l’agente è costretto a reagire al “pericolo attuale di un’offesa ingiusta” e non anche quando egli stesso ha dato ab initio causa alla specifica situazione pericolosa o l’ha, comunque, affrontata, accettando il rischio di subirne gli effetti (il precedente citato attiene ad un omicidio commesso da chi, dopo un primo incontro con due soggetti per chiarire questioni relative ad un traffico di stupefacenti, si er presentato, poco dopo, a un nuovo appuntamento con gli stessi soggetti armato di pistola con il colpo in canna, in quanto consapevole del pericolo che l’incontro potesse degenerare in azioni violente, nella quale la Corte ha ritenuto insussistente).
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Nel giudizio di appello, come è noto, la rinnovazione istruttoria ha carattere eccezionale fondato sulla presunzione che l’indagine sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicché il potere del giudice è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266820; Sez. U, 24/01/1996, COGNOME). Atteso che l’esercizio di un simile potere è affidato all’ apprezzamento del giudice di appello, restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato, deve sottolinearsi che a fronte di una motivazione che dà conto, in modo univoco, del fatto che è stato ritenuto non impossibile decidere allo stato degli atti, anche sulla sussistenza della circostanza aggravante, alcun rilievo può assumere la critica difensiva.
Appare priva di censure la motivazione dei giudici di merito, se si tiene conto che, comunque, la Corte territoriale ha sottolineato come sia stata considerata decisiva ed esauriente la descrizione dell’accaduto da parte della persona offesa, in base alle ulteriori, numerose prove assunte nel dibattimento di primo grado.
Tanto, a fronte di un’invocata prova testimoniale relativa all’escussione di una donna, nemmeno compiutamente identificata dal ricorrente, rispetto alla quale non è certa la presenza, in base alla prospettazione dello stesso ricorrente, al momento iniziale del primo scontro fisico tra le parti, cioè l’unica parte della condotta che non è stata compiutamente ricostruita attraverso le immagini delle telecamere installate nella zona.
Dunque, si tratta di richiesta meramente esplorativa rispetto alla quale, peraltro, non vi è alcuna specifica indicazione da parte del ricorrente, nella presente sede. Anzi, come nota l’Avvocato Generale nella requisitoria scritta fatta per venire a questa Corte, si tratta dell’indicazione di soggetto sconosciuto, privo di ogni riferimento utile alla identificazione, né identificato, nemmeno con il ricorso per cassazione.
In ogni caso, si deve rilevare che la parte è legittimata a chiedere l’assunzione di prove, nel caso di cui all’art. 603, comma 2, cod. proc. pen. soltanto con riferimento a quelle che, oltre ad essere nuove rispetto alle prove già assunte, sono altresì sopravvenute o, comunque, risultano scoperte dopo il giudizio di primo grado, diversamente dalle prove non comprese nella lista di cui all’art. 468 cod. proc. pen. requisiti nemmeno delineati nella specie, in cui la rinnovazione invocata riguarda l’escussione di una persona non identificata rispetto alla quale lo stesso istante non ha fornito i riferimenti utili alla identificazione.
1.3. Il terzo motivo è inammissibile.
La questione della qualificazione della condotta come lesioni personali è generica perché non vengono esplicitate, puntualmente, le ragioni della critica, né in fatto né in diritto, in relazione al complesso della motivazione offerta dal giudice di secondo grado (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822; Sez. 2, n. 5522 del 22/10/2013, Rv. 258264; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Rv. n. 254584).
Peraltro, si osserva che la reciprocità delle offese non esclude che sotto il profilo oggettivo, gli atti commessi dal contendente siano idonei a cagionare la morte.
La sentenza di appello valorizza, all’uopo, con ragionamento ineccepibile, una serie di circostanze che sono considerate utili alla ricostruzione del dolo nel tentato omicidio sotto il profilo della natura indiretta di questo.
Nel caso di specie, si descrive /da parte della Corte di appello, un fendente al collo, unito a plurime ferite in varie zone del corpo potenzialmente vitali, con un oggetto in vetro. A ciò i giudici di secondo grado hanno aggiunto che, nei momenti successivi all’arresto, l’imputato ha esposto ai propri familiari la sua intenzione di fornire una versione di comodo, secondo cui la vittima si era procurata da sola la ferita lacero contusa al collo al solo fine di “incastrare” lo stesso imputato.
Inoltre, si valorizza la sede corporea, attinta in un punto vitale, la qualit dell’arma utilizzata, cioè un coltello di metallo a lama seghettata, oltre a segnalare che si è trattato di una coltellata sferrata alle spalle della vittima.
Sicché la censura posta, con riferimento al comportamento relativo alla fuga, successivo alla condotta, appare non decisiva a fronte della pluralità delle circostanze, valorizzate dal giudice di secondo grado, per confermare la qualificazione della condotta come tentativo di omicidio, con ragionamento del tutto conforme alla costante giurisprudenza di legittimità sul punto.
Invero, è appena il caso di osservare che, ai fini della qualificazione della condotta quale tentativo di omicidio invece che di lesioni personali, la giurisprudenza di legittimità afferma in modo costante che, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ai fini dell’accertamento della sussistenza
dell’animus necandi, assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata ex post, ma con riferimento alla situazione che si presentava ex ante all’imputato, al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili (tra le altre, Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275012-01; Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, COGNOME, Rv. 241339 – 01; Sez. 1, n. 3185 del 10/02/2000, COGNOME, Rv. 215511 – 01; Sez. 1, n. 7906 del 24/03/1988, COGNOME, Rv. 178825 – 01). La valutazione dell’esistenza del dolo omicidiario può essere raggiunta, dunque, attraverso un procedimento logico d’induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corp attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l’azione cruenta (Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, Rv. 275012; Sez. 1, n. 5029 del 16/12/2008, dep. 2009, Rv. 243370).
Deriva da quanto sin qui esposto, il rigetto del ricorso e la condanna alle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17 dicembre 2024
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Il Consigliere estensore
Il Pr sidente