Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24113 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24113 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN FERDINANDO DI PUGLIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/06/2023 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore dell’imputato, avvocato COGNOME NOME del foro di ROMA, che ha concluso insistendo nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bari, investita dell’impugnazione del pubblico ministero – in riforma della decisione, in data 16 novembre 2023, con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Foggia, in esito a giudizio abbreviato, aveva assolto NOME COGNOME
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dall’imputazione di tentato omicidio ai danni di NOME COGNOME perché il fatto non costituisce reato ai sensi dell’art. 52 cod. pen. – aveva dichiarato l’imputato colpevole anche di questo delitto e, per l’effetto, ritenuta la continuazione con i reati in materia di armi oggetto della condanna per la quale non era stato COGNOMEposto appello, aveva rideterminato la pena inflitta a COGNOME in anni nove di reclusione.
Pacifico ed incontestato che COGNOME, nelle prime ore del mattino del 6 ottobre 2022, aveva esploso quattro colpi di pistola nei confronti di COGNOME, attingendolo all’addome e alle cosce e che quest’ultimo immediatamente prima aveva colpito COGNOME con una testata al viso ed un forte calcio al basso ventre, le sentenze di merito sono pervenute a conclusioni opposte in ordine al giudizio di colpevolezza.
2.1. Secondo il Giudice delle indagini preliminari, l’azione lesiva dell’imputato risultava scriminata a mente dell’art. 52 cod. proc. pen., sussistendo i presupposti della legittima difesa
Infatti, COGNOME:
al momento dell’esplosione dei colpi di pistola, si trovava in una situazione di attuale e tangibile pericolo per la sua incolumità fisica dalla quale poteva difendersi utilizzando l’unica arma che aveva con sé: la pistola che era riuscito a prelevare dal vano porta oggetti posto nel lato guidatore dello sportello rimasto casualmente aperto durante l’aggressione.
non aveva cercato lo scontro con COGNOME ma, al contrario, era stato ricercato dalla persona offesa, che non solo il giorno precedente al fatto omicidiario lo aveva pesantemente minacciato ed aggredito, accusandolo di avergli fatto perdere una grossa somma di denaro per non avere ritirato un pacco contenente sostanza stupefacente, ma che, per di più, la stessa mattina del ferimento lo aveva inseguito con l’autovettura, fino a parcheggiarla a pochi metri dalla sua;
si era recato sul posto di lavoro armato di pistola, non perché animato da intento aggressivo, ma perché sapeva che c’era la possibilità di incontrare COGNOME, il quale avrebbe potuto porre in essere ulteriori, anche se non certe, iniziative aggressive contro di lui, come già avvenuto fino al giorno prima;
prima di sparare, era stato minacciato di morte ed aggredito a mani nude da COGNOME, pluripregiudicato molto più giovane di lui, con colpi violenti che avevano determinato la perdita di equilibrio e disorientamento, sicché, anche a causa dell’oscurità, temeva seriamente che l’aggressore potesse impiegare mezzi ancora più offensivi.
2.2. Per la Corte di appello depongono per la opposta tesi, secondo cui COGNOME non aveva agito per legittima difesa una pluralità di elementi fattuali e logici sintetizzabili come segue.
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L’imputato si era recato armato sul posto di lavoro perché temeva di essere aggredito dal collega COGNOME.
COGNOME aveva aggredito COGNOME con una testata ed un calcio, ma ad un certo punto, evidentemente conseguito il risultato preso di mira, aveva COGNOMEto spontaneamente la condotta aggressiva, tanto da consentire al rivale di rialzarsi e spostarsi verso l’autovettura, dandogli tutto il tempo necessario per prelevare la pistola, conservata nel vano porta oggetti dello sportello e pronta all’uso.
COGNOME non si era limitato ad estrarre l’arma e a minacciare COGNOME per farlo desistere, al limite sparando colpi in aria, ma aveva mirato in direzione dell’avversario, attingendolo con tutti e quattro i colpi esplosi all’addome, in zona sovra ombelicale e alla gamba.
COGNOME, che non aveva motivo di temere che COGNOME fosse armato perché fino a quel momento aveva agito a mani nude, poteva agevolmente evitare le temute ulteriori aggressioni fisiche chiudendosi all’COGNOMEno dell’autovettura ed anche allontanandosi alla guida del veicolo, esattamente come fatto subito dopo la sparatoria, quando si era lucidamente disfatto della pistola, non facendola più ritrovare, ed aveva cercato di eliminare le tracce di sangue rimaste nell’abitacolo.
Ricorre COGNOME, per il tramite del difensore fiducia, articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo deduce, a mente dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. inosservanza del canone di giudizio dell’affermazione della responsabilità penale “dell’al di là di goni ragionevole dubbio”.
La Corte distrettuale, uniformandosi ai principi fissati dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale, per ribaltare l’esito assolutorio del giudizio di primo grado, avrebbe dovuto, anche in assenza di richiesta in tal senso da parte dell’imputato, rinnovare le prove dichiarative ritenute decisive e giustificare la decisione di condanna con una motivazione rafforzata. Al contrario, si è limitata a valutare diversamente il materiale probatorio senza confrontarsi con l’iter argomentativo seguito dal G.i.p., puntualmente esaminando tutte le risultanze probatorie, non solo quelle testimoniali ma anche quelle rese dall’imputato e dalla persona offesa.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omesso riconoscimento della legittima difesa.
Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata ha posto a fondamento della decisione di escludere la causa di giustificazione di cui all’art. 52 cod. pen. un apparato giustificativo caratterizzato da più criticità e, comunque, privo del rigore dimostrativo, che deve caratterizzare la motivazione rafforzata.
Evidenzia, in particolare, le criticità che seguono.
Non è stata esaminata la testimonianza resa da NOME COGNOME, che era stato ritenuto non credibile dal GRAGIONE_SOCIALEi.p. proprio perché aveva escluso giustificazioni inverosimili di avere avuto un litigio con COGNOME il pomeri precedente al fatto omicidiario, pur fondamentale per ricostruire il clima in sono svolti i fatti.
Non è stata attribuita adeguata rilevanza ai filmati registrati dalle telec presenti sul luogo del reato nonostante la polizia giudiziaria abbia perentoriam escluso che contenessero elementi utili;
Il pericolo imminente di un’offesa ingiusta è stato escluso sia pe travisamento delle dichiarazioni dei testimoni COGNOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME, sia per la mancata considerazione delle insanabili contraddizioni pres nella versione propinata dalla persona offesa, sia per la inspieg preternnissione delle dichiarazioni rese dall’imputato. Da tali emerge probatorie, correttamente valutate, si evince in modo chiaro lo stato di agitaz in cui COGNOME COGNOME momento del fatto a causa della condotta aggressiva COGNOMECOGNOME COGNOME il giorno precedente ed avente un elevato carattere intimid tenuto conto della personalità fortemente negativa di quest’ultimo.
Ha apoditticamente considerato la condotta aggressiva di COGNOME COGNOME dopo la testata ed il calcio, così da escludere che l’imputato quando si è a ed ha sparato abbia agito in costanza dei presupposti della legittima difes realtà, alla luce delle dichiarazioni dell’imputato e della persona o perfettamente riscontrate dalle parti del corpo di COGNOME attinte dai c pistola, è maggiormente plausibile la ricostruzione che vede COGNOMECOGNOME aggredi mentre si accinge a scendere dalla sua autovettura, poi, cadere per terra e, soluzione di continuità, prelevare da quella posizione la pistola custodita nel oggetti dello sportello rimasto aperto.
Ha desunto la volontaria esposizione al pericolo e l’evitabilità dell’az difensiva in concreto realizzata da elementi probatori inconsistenti s investigare lo stato di concitazione e di effettiva paura in cui COGNOME Spin concrete modalità dell’aggressione, che escludono la possibilità dell’odi ricorrente di sovrastare il suo avversario per farlo desistere con forza fisi lasciare il luogo. Che COGNOME fosse nella condizione di salire a bordo del veico allontanarsi presuppone non solo una lucidità ed una padronanza di sé non esigib in chi era stato colpito all’improvviso, ma anche che COGNOME COGNOME COGNOME l’azione violenta; di tale ultima circostanza, tuttavia, non vi è alcuna prova
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ha effettuato una valutazione ex post dei fatti, in contrasto coi principi enunciati alla giurisprudenza di legittimità richiamata che richiedono un giudizio ex ante sulle condizioni legittimanti la scriminante.
2.3. Con il terzo motivo denuncia omessa pronuncia sulla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche oggetto di apposita richiesta contenuta in una memoria difensiva richiamata in sede di conclusioni.
2.4. Con il quarto ed ultimo motivo deduce omessa motivazione in ordine alla determinazione dell’entità dei singoli aumenti di pena del reato continuato nonostante siano distanti dal minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso propone censure, in parte, infondate e, nel resto, inammissibili sicché deve essere rigettato.
Il primo motivo è generico, laddove non indica, neanche implicitamente, quali prove dichiarative avrebbero dovuto essere rinnovate nel giudizio di appello a cagione della loro decisività ai fini del giudizio di responsabilità. Risulta, conseguenza, impossibile verificare se, come pacificamente richiesto dalla giurisprudenza di legittimità in tema di rinnovazione dibattimentale “obbligatoria”, il giudice dell’appello sia o meno pervenuto al ribaltamento della sentenza di assoluzione “sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una dichiarazione decisiva” (Sez. 3, n. 31949 del 20/09/2016, dep. 2017, Felice, Rv. 270632 – 01; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 53594 del 16/11/2017, Piano, Rv. 271694 – 01).
In ogni caso, la censura è infondata perché non tiene conto del regime vigente all’epoca della celebrazione del giudizio di appello.
Al riguardo, va rilevato che, in ragione della scelta dell’imputato di essere giudicato nelle forme del rito abbrivo cosiddetto “secco” nonché della data di emissione della sentenza di primo grado (16 gennaio 2023) e conseguentemente degli atti di appello del pubblico ministero ed ella parte civile (20 febbraio 2023) e della sentenza impugnata in questa sede (23 giugno 2023), nel giudizio di appello trovava applicazione la regola processuale sulla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale di cui all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 34, comma 1, lett. i), n. 1), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in vigore a f data dal 30 dicembre 2022, a mente della quale “nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla
valutazione della prova dichiarativa, il giudice, ferme le disposizioni di cui ai commi da 1 a 3, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado o all’esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli articoli 438, comma 5, e 441, comma 5”
E’ stato chiarito dalla giurisprudenza di legittimità che tale disposizione trova immediata applicazione a partire dal 30 dicembre 2022, data di entra in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in assenza di disposizioni transitorie e in base al principio “tempus regit actum”, che comporta che i singoli atti del procedimento sono disciplinati dalla norma in vigore al momento del loro compimento e non da quella vigente all’epoca di instaurazione del giudizi (cfr. Sez. 3, n. 10691 del 10/01/2024, S., Rv. 286089 – 01, Sez. 5, n. 49667 del 10/11/2023, COGNOME, Rv. 285490 – 02; Sez. 1, n. 48565 del 11/10/2023, COGNOME, Rv. 285672 – 01). Ne segue che non è più necessario procedere alla obbligatoria rinnovazione dell’istruzione, alla presenza delle condizioni e nei limiti indicati dal giurisprudenza di legittimità nella sentenza a Sezioni Unite n. 18620 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269785 – 01, a fronte di un giudizio di primo grado svoltosi con le forme del rito abbreviato senza l’assunzione di prove dichiarative “in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado o all’esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli articoli 438, comma 5, e 441, comma 5”.
Il secondo motivo, relativo alla legittima difesa, è infondato.
2.1. L’art. 52, primo comma, cod. pen., il cui testo è rimasto immodificato anche dopo i più recenti COGNOMEventi normativi, nel disciplinare la causa di giustificazione della legittima difesa, ne individua tre elementi costitutivi: pericolo attuale di un’offesa ingiusta ad un diritto proprio o altrui, sinteticamente definito aggressione ingiusta; la necessità di reagire a scopo difensivo, detta anche difesa necessitata o reazione legittima, e, infine, la proporzione tra la difesa e l’offesa.
Secondo l’COGNOMEpretazione costante della giurisprudenza di legittimità, mentre l’aggressione ingiusta deve concretarsi nel pericolo attuale di un’offesa così concreta e imminente da sfociare, se non neutralizzata tempestivamente, nella lesione di un diritto (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge, la reazione legittima implica l’inevitabilità del pericolo, tale da rendere priva di alternati l’aggressione quale rimedio per neutralizzare l’offesa, con conseguente impossibilità di attribuire rilevanza esimente ad ogni ipotesi di difesa non solo preventiva o anticipata (ex plurimis, più di recente Sez. 1, n. 51262 del
13/06/2017,COGNOME,Rv. 272080), ma anche attuata nella ragionevole previsione di determinare una reazione aggressiva o comunque nella volontaria accettazione di una situazione di pericolo che si è contributo a determinare (cfr. Sez. 1, n. 1630 del 7/10/1981, dep. 1982, Rv. 152323, COGNOME, Sez., 1, n. 6917 del 04/05/1992, COGNOME, Rv. 190565 – 01 e più di recente Sez. 1, n. 37289 del 21/06/2018, COGNOME, Rv. 273861; Sez. 1, n. 52617 del 14/11/2017, COGNOME, Rv. 271605; Sez. 1, n. 56330 del 13/09/2017, La COGNOME, Rv. 272036; Sez. 1, n. 2654 del 09/11/2011, COGNOME, Rv. 251834; Sez. 1, n. 2911 del 07/12/2007, COGNOME, Rv. 239205) e che poteva essere evitata allontanandosi dal luogo senza pregiudizio e disonore (Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013, COGNOME, Rv. 256016 – 01; Sez. 1, n. 4890 del 10/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 243369 – 01; Sez. 1, n. 5697 del 28/01/2003, COGNOME, Rv. 223441).
È la stessa formulazione dell’art. 52 cod. pen. – “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere – ad escludere espressamente dall’orizzonte applicativo della legittima difesa” – ad escludere espressamente dall’orizzonte applicativo della legittima difesa, anche nella forma putativa, qualsiasi caso non solo di volontaria determinazione di una situazione di pericolo o di sua accettazione, ma anche tutte quelle situazioni in cui l’autore del fatto pur versando in una situazione di pericolo attuale per la sua incolumità fisica ha a sua disposizione, per evitare che il rischio temuto si concretizzi, azioni alternative all’offesa mediante aggressione.
Non può dirsi “costretto” a ricorrere in via eccezionale all’autotutela non solo colui che ha, consapevolmente e deliberatamente, creato o accettato l’alternativa conflittuale alla quale si è liberamente si esposto, per esempio innescando una sorta di duello o sfida contro il suo avversario o attuato una spedizione punitiva nei suoi confronti (Sez. 1, n. 12740 del 20/12/2011, El Farnouchi, Rv. 252352), ma anche colui che può neutralizzare l’offesa, tenuto conto delle circostanze di luogo, di tempo e di persona, mediante l’allontanamento volontario dal luogo dove è in corso l’aggressione (da ultimo Sez. 1, n. 51262 del 13/06/2017, COGNOME, Rv. 272080 – 01; Sez. 1 n. 5697 del 28/01/2003, Rv. 223441). Anche in quest’ultima ipotesi difetta in capo all’agente la convinzione – sia pure erronea – di dover agire per scopo difensivo.
Quanto all’accertamento relativo della scriminante, sia reale che putativa, esso deve essere effettuato con un giudizio “ex ante” calato all’COGNOMEno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in se considerato, anche tutti
gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un’ingiusta aggressione, senza tuttavia che possano considerarsi sufficienti gli stati d’animo e i timori personali (Sez. 1, n. 13370 del 05/03/2013, R., Rv. 255268 – 01; Sez. 4, n. 24084 del 28/02/2018, COGNOME, Rv. 273401 – 01).
2.2. La Corte distrettuale, nell’affermare la penale responsabilità dell’imputato e, per converso, nell’escludere l’invocata causa di giustificazione, si è attenuta alle ricordate coordinate ermeneutiche in tema di applicazione della legittima difesa, seguendo un percorso giustificativo dotato del rigore dimostrativo che deve caratterizzare, in caso di ribaltamento della decisione liberatoria, la motivazione rafforzata non solo logico seguito.
Non ha per nulla ignorato o trascurato le prove da cui la difesa ha tratto la convinzione che l’imputato, a seguito delle ripetute intimidazioni esternategli dalla persona offesa fino al giorno precedente al fatto omicidiario, si era venuto a trovare in uno stato di agitazione e di forte preoccupazione e timore per la sua incolumità personale. Anzi, ha ritenuto, in piena sintonia con le valutazioni del G.i.p., le dichiarazioni testimoniali e la narrazione resa dello stesso imputato in sede di COGNOMErogatorio su questo specifico aspetto pienamente attendibili, anche alla luce delle ammissioni della persona offesa.
Le sentenze di merito hanno ritenuto accertato che COGNOME si fosse determinato a procurarsi la pistola detenuta all’COGNOMEno dell’autovettura il giorno della sparatoria, rivolgendosi al mercato clandestino, perché fortemente preoccupato che COGNOME ponesse in atto le minacce esternategli in precedenza, passando alle vie di fatto e non certo, come inizialmente dichiarato dallo stesso COGNOMEessato, per il timore di imbattersi in cani randagi.
Al contrario del G.i.p., la Corte distrettuale, con maggiore aderenza ai principi in tema di necessità ed inevitabilità dell’azione difensiva richiamati in premessa, oltre che alle evidenze probatorie, ha considerato decisiva ed assorbente per escludere l’invocata esimente la dinamica dell’aggressione e la condotta tenuta dall’imputato. Al riguardo, ha rilevato che COGNOME, quando aveva scelto di impugnare l’arma e di sparare, prendendo accuratamente la mira, ben quattro colpi non in aria ma ad altezza d’uomo, attingendo COGNOME (in pieno addome, zona sopraombelicale e alla gamba), era pienamente consapevole che l’aggressore, non solo non aveva a sua disposizione armi di qualunque tipo, essendosi limitato a colpirlo a mani nude con una testata ed un colpo all’inguine con l’evidente scopo di cagionargli lesioni personali, ma, per di più, aveva ormai raggiunto il risultato peso di mira, COGNOMErompendo l’azione offensiva tanto da
consentirgli, senza approfittare della posizione di forza raggiunta, di rialzarsi, avvicinarsi all’autovettura, cercare e trovare la pistola.
In tale contesto, è logicamente ineccepibile l’affermazione della Corte distrettuale che COGNOME – lungi dal perseguire un intento esclusivamente difensivo, come affermato dal G.i.p. – una volta sfuggito all’aggressore aveva deliberatamente scelto di porre in essere una reazione offensiva più violenta di quella patita, pur avendo a disposizione altre alternative, ugualmente praticabili, per scongiurare il pericolo di una nuova aggressione da parte di COGNOME. È pacifico che COGNOME, una volta giunto nell’abitacolo del veicolo dove aveva prelevato l’arma, poteva tranquillamente salire a bordo ed allontanarsi, così come fatto qualche secondo dopo, ultimata la sparatoria.
Aggiunge la sentenza impugnata, così definitivamente superando con rigore logico la diversa valutazione espressa nella sentenza di primo grado, che non può nemmeno ipotizzarsi che l’odierno ricorrente, a seguito delle ferite riportate e dello shock subito, fosse in preda ad un turbamento o disorientamento tale da perdere la lucidità necessaria per compiere scelte razionali, se si considera che nei minuti immediatamente successiva alla sparatoria e fino a quando non era stato fermato dai carabinieri circa un’ora dopo, era riuscito a disfarsi della pistola, rendendone impossibile il ritrovamento, e si era cambiato gli abiti, cercando di eliminare le tracce di sangue.
Il terzo motivo, relativo alle circostanze attenuanti generiche, non supera il vaglio di ammissibilità per la sua genericità ed è comunque manifestamente infondato.
La Corte distrettuale, in assenza di appello dell’imputato sul reato, meno grave, di detenzione porto in luogo pubblico della pistola utilizzata per l’azione omicidiaria, la cui pena era stata determinata previa espressa esclusione el beneficio di cui all’art. 62 bis cod. pen., ha ritenuto implicitamente ma inequivocabilmente di non discostarsi da tale valutazione negativa, d’altra parte fondata sull’assenza di elementi valutabili in favore dell’imputato, una volta esteso il giulio di colpevolezza anche al reato, ben più grave, di tentato omicidio. A tale ragionamento la difesa nulla di concreto oppone non prospettando nemmeno su quale base fattuale avrebbe dovuto fondarsi il diverso convincimento.
Il quarto motivo, relativo agli aumenti a titolo di continuazione per i reati satellite, è manifestamente infondata perché non si confronta il reale contenuto della motivazione che, ai fini della dosimetria della pena, ha fatto riferimento ai
criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e, in particolare, alla gravità de fatti e all’inte del dolo, ed ha benevolmente considerato un solo reato satellite anziché due.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma 3 aprile 2024.