Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12614 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12614 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/01/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANZARO nel procedimento a carico di: NOME COGNOME nato a CATANZARO il 07/12/1975 nel procedimento a carico di quest’ultimo
StlEt12233nvirc CAV1.34
MORELLI ANTONELLA
MORELLI NOME
MORELLI NOME
COGNOME NOME
COGNOME NOME
VENEZIANO IOLANDA
MORELLI ROSETTA
MORELLI NOME
MORELLI NOME
COGNOME
COGNOME (RAPP. COGNOME RAGIONE_SOCIALE. IN QUAL. DI TUTORE)
COGNOME NOME
MORELLI NOME
MORELLI NOME
COGNOME NOME
ABBRUZZESE NOME
avverso la sentenza del 12/12/2017 della CORTE RAGIONE_SOCIALE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto di entrambi i ricorsi.
udito il difensore
Uditi i difensori presenti per le parti civili:
-avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME NOME ed in sostituzione dell’avv. NOMECOGNOME per COGNOME NOME che chiede il rigetto del ricorso e deposita conclusion con nota delle spese ;
– avv. COGNOME in sostituzione degli avv.ti COGNOME NOME per COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME per COGNOME NOME il quale si riporta alle conclusioni che deposita unitamente a nota spese per le parti civili ;
– avv. COGNOME per le parti civili da lui rappresentate: COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME il quale chiede il rigetto in subordi l’inammissibilità dei ricorsi e deposita conclusioni unitamente a nota spes riferimento alle p.c. COGNOME NOME e COGNOME NOME;
L’avv. COGNOME conclude con le medesime richieste per le parti civili da lui rappresent in qualità di sostituto processuale depositando le conclusioni unitamente alle spese;
Udito il difensore presente per COGNOME COGNOME, Avv. COGNOME il quale chiede l’accoglimento dei motivi di ricorso e l’inammissibilità in subordine il riget ricorso del PG.
Ritenuto in fatto
1. La Corte di assise di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza con cui il giudice dell’udienza preliminare del locale Tribunale ha condannato NOME COGNOME per il delitto di omicidio di NOME COGNOME, ha escluso l’aggravante dei motivi abietti e futili, rideterminando la pena in anni diciannove e mesi quattro di reclusione.
Ha nel resto confermato l’indicata sentenza di condanna:
-per il menzionato delitto di omicidio, commesso, con premeditazione, mediante l’esplosione nei confronti di NOME COGNOME di diversi colpi di arma da fuoco che lo raggiungevano alla zona toracica cagionandone la morte, dopo averlo seguito e aver arrestato, unitamente alla vittima, la marcia dei rispettivi automezzi in una pubblica INDIRIZZO Catanzaro;
-oltre che per i delitti connessi di detenzione e porto il luogo pubblico dell’arma utilizzata per l’omicidio e di resistenza e lesioni al brigadiere dei carabinieri NOME COGNOME e al luogotenente NOME COGNOME che, postisi nell’immediatezza alla sua ricerca, lo avevano raggiunto per condurlo in Caserma per i necessari accertamenti.
Fatti tutti commessi il 6 novembre 2014.
2. La Corte di assise di appello ha escluso la legittima difesa putativa che, nella prospettazione difensiva, si sarebbe dovuta fondare sulle dichiarazioni dell’imputato del 19 febbraio 2015, con le quali, a tre mesi dal fatto, riferì:
– che aveva litigato con NOME COGNOME dieci giorni prima, perché questi lo aveva accusato di essere un confidente di polizia e lo aveva picchiato e minacciato di morte;
– che, la mattina dopo tale aggressione, qualcuno aveva esploso colpi d’arma da fuoco contro la sua abitazione e lui aveva ritenuto, in ragione delle preg resse liti, che fosse stato il COGNOME;
– che, anche la sera precedente l’omicidio, aveva litigato con il COGNOME, il quale lo aveva reiteratamente minacciato di morte, come la mattina stessa dell’omicidio, tanto che poi era uscito di casa armato, proprio per paura del COGNOME;
– che, poco dopo, aveva incontrato COGNOME per caso, ambedue a bordo delle rispettive autovetture;
– che questi lo aveva invitato a fermarsi perché doveva parlargli e, sceso dall’autovettura, gli era venuto incontro mettendo la mano in tasca;
– che il gesto era sembrato diretto ad armarsi di una pistola;
– che pertanto aveva reagito in difesa, sparando contro COGNOME alcuni colpi d’arma da fuoco.
3. Alla luce delle complessive risultanze istruttorie, la Corte di assise di appello ha rilevato la falsità della causale indicata dall’imputato, chiarendo che deve invece essere riferita a un debito che COGNOME aveva nei confronti di COGNOME e all’atteggiamento arrogante che il primo spesso aveva tenuto.
Per il resto, ha ricordato che fu lo stesso imputato a dichiarare, in altra occasione, ossia nel corso dell’interrogatorio al pubblico ministero il 29 maggio 2017, che sapeva che autore degli spari contro la sua abitazione era stato NOME COGNOME con cui aveva avuto, poco prima del fatto, un litigio.
Ha aggiunto che dalle intercettazioni ambientali fatte in carcere nei confronti dell’imputato, si è appresa la falsità di quanto dallo stesso dichiarato circa un litigio avuto poco prima dell’omicidio con COGNOME che lo avrebbe minacciato di morte.
L’COGNOME, piuttosto, cercò, colloquiando con i familiari, di mettere a punto una versione dei fatti che potesse scemare la sua responsabilità, pensando anche di addurre che la moglie era stata reiteratamente importunata dal COGNOME e che quindi lui aveva agito in stato d’ira dopo l’ennesima molestia. Non fece cenno, durante queste conversazioni, ad alcun particolare, poi riferito in sede confessoria, in ordine allo svolgimento dei fatti ed escluse espressamente che poco prima del fatto aveva litigato con COGNOME e che questi lo aveva picchiato.
3.1. La Corte di assise di appello ha poi osservato che i dati cd. di generica, ricavati dal sopralluogo effettuato nell’immediatezza dalla polizia giudiziaria e dall’accertamento autoptico, non sono contraddittori e non danno riscontro alle dichiarazioni dell’COGNOME. Si è appurato che lo sparatore si trovò in posizione frontale e a una certa distanza dalla vittima, il che esclude che le esplosioni avvennero a distanza ravvicinata. Dalle registrazioni delle telecamere e di videosorveglianza si ricava che l’COGNOME si mise alla guida, all’inseguimento del COGNOME, appena dopo che questi, transitando sotto la sua abitazione, gli rivolse un insulto (“chi cazzu ti guardi?”), e ciò esclude che vi fu un incontro casuale tra i due. Dal sopralluogo si ricava poi che il COGNOME, dopo aver accostato l’autovettura, scese e percorse la strada all’indietro e che, in quel frangente, fu raggiunto dai colpi d’arma da fuoco. Non vi sono elementi da cui dedurre che l’autovettura dell’COGNOME si fermò davanti al luogo in cui furono esplosi i colpi.
3.2. Ha quindi concluso, accertata l’inattendibilità delle dichiarazioni dell’imputato, che deve escludersi la sussistenza di altri elementi a sostegno della tesi della legittima difesa putativa.
4. La Corte di assise di appello ha Poi escluso l’aggravante dei motivi abietti e futili. Non è provato che il debito del COGNOME fu dovuto all’acquisto droga dall’COGNOME ed ha quindi concluso per l’assenza di elementi univoci circa il fatto che l’COGNOME agì per motivi abietti. Ha quindi affermato l’assenza di futili motivi perché risulta provato che il movente dell’omicidio sia da ricondurre alla situazione di tensione e sostanziale inimicizia creatasi tra i due nel corso del tempo in ragione del mancato pagamento di un debito e dell’atteggiamento arrogante e insolente che il COGNOME era solito tenere.
4.1. Ha del pari escluso l’attenuante della provocazione, anche nella forma della cd. provocazione per accumulo. La reazione dell’COGNOME all’insulto, che la mattina dell’omicidio il COGNOME gli rivolse, fu assolutamente eccessiva e inadeguata. Nonostante il COGNOME si fosse allontanato e non avesse profferito minacce che lasciassero prefigurare un seguito, l’COGNOME uscì di casa armato, lo raggiunse e, nell’arco di circa dieci minuti, lo ferì mortalmente.
5. Quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte di assise di appello ha ritenuto correttamente motivato dal primo giudice il diniego delle attenuanti generiche in ragione dei precedenti penali e della condotta tenuta successivamente alla commissione del delitto, in particolare l’essersi dato alla fuga e l’aver reagito con violenza contro i Carabinieri che intendevano condurlo in Caserma per accertamenti, e l’aver reso una confessione del tutto inattendibile. Ha quindi dato conto del computo della pena.
6. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso sia il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro che i difensori dell’imputato.
6.1. Il procuratore generale della Repubblica ha dedotto vizio di violazione di legge in punto di esclusione dell’aggravante dei motivi abietti. Nel motivo abietto deve essere inquadrata la condotta, la reazione esagerata dell’imputato alla mera provocazione del COGNOME, l’esplosione di rabbia accumulata a fronte di un debito di 500 euro legato alla vendita della droga. Anche a voler escludere la droga quale causale del debito, non è dubbio che la commissione dell’omicidio per il solo fatto che la vittima non avesse adempiuto il debito e si fosse mostrata sprezzante è dato suscettibile di essere sussunto nello schema dell’aggravante dei motivi abietti e futili, specie in considerazione della sproporzione della reazione fu assoluta, di incontestabile evidenza.
6.2. I difensori dell’imputato hanno articolato più motivi.
6.2.1. Con il primo motivo hanno dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in punto di esclusione dello stato di legittima difesa putativa.
La Corte di assise di appello, in tale prospettiva decisoria, ha immotivatamente negato che il fatto possa aver avuto la causale nell’accusa che la vittima aveva mosso nei confronti dell’COGNOME di essere un confidente di polizia ed ha con ingiustificata certezza ricondotto il movente nel debito che la vittima aveva per aver acquistato droga, debito che invero ormai gravava sul fratello della vittima e che in tutte le conversazioni tra i familiari della vittima e quelle carcere, oggetto di intercettazione, non fu posto in collegamento con la vendita di droga.
Allo stesso modo ha escluso che l’COGNOME potesse ragionevolmente attribuire alla vittima il fatto minaccioso dell’esplosione di alcuni colpi di arma d fuoco contro la sua abitazione, avvenuto qualche giorno prima dell’omicidio.
La Corte di assise di appello ha poi illogicamente affermato la falsità del contenuto delle conversazioni tra l’COGNOME e i suoi familiari, intercettate in carcere, circa il litigio che vi era stato con la vittima perché questa importunava la moglie dell’COGNOME. Questa circostanza era già emersa in altra conversazione tra i familiari della vittima stessa, fatta circa un mese prima, e specificamente il 13 novembre 2014.
Ed è incorsa in un travisamento probatorio quando ha affermato la falsità della ricostruzione dell’imputato della dinamica del fatto omicidiario. Sul punto ha illogicamente e contraddittoriamente valutato gli esiti dell’accertamento autoptico e il verbale di sopralluogo dei Carabinieri sul luogo del delitto. Che i colpi furono sparati a distanza superiore al mezzo metro, come affermato dal medico legale, non esclude la veridicità delle dichiarazioni dell’imputato, ossia che questi sparò mentre COGNOME gli veniva incontro mettendo le mani in tasca, quasi che avesse in dosso una pistola. I dati poi risultanti dal verbale di sopralluogo, ossia la posizione del corpo della vittima, della chiazza del suo sangue e del proiettile, sono del tutto compatibili con quanto dichiarato dall’imputato.
6.2.2. Con il secondo motivo hanno dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione nella parte in cui è stata negata l’attenuante della provocazione “per accumulo”, nonostante vi sia la prova in atti che il motivo della condotta debba essere collegato alla situazione di tensione e sostanziale inimicizia creatasi tra i due nel corso del tempo e a pregresse discussioni per il
mancato pagamento di un debito e per l’atteggiamento arrogante e insolente che il COGNOME aveva tenuto.
6.2.3. Con il terzo motivo hanno dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in punto di diniego delle attenuanti generiche, non potendo bastare il riferimento ai precedenti penali. La Corte di assise di appello avrebbe invece dovuto valorizzare la confessione resa il 9 febbraio 2015.
6.2.4. Con il quarto motivo hanno dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in punto di determinazione della pena. La quantità di pena irrogata richiedeva una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati nell’art. 133 cod. pen.
Considerato in diritto
1. Il ricorso del procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro non merita considerazione per le ragioni di seguito esposte.
1.1. La Corte di assise di appello ha ben motivato in ordine all’esclusione dell’aggravante dei motivi abietti, dimostrando, con argomentazioni logiche e adeguate, che dalle intercettazioni disposte sia nei confronti dei familiari della vittima che nei confronti dell’imputato e dei suoli familiari non può ricavarsi, con la necessaria certezza, che la causale dell’omicidio fosse il mancato pagamento di un debito contratto per l’acquisto di sostanze stupefacenti (fl. 28-30).
Si trae sì che la vittima era un consumatore di stupefacenti e che l’imputato era implicato nello spaccio di tali sostanze, ma non si può affermare che il debito che la vittima aveva nei confronti dell’imputato fosse da ricondurre all’acquisto di stupefacenti.
Non risulta dunque provato il fatto che l’imputazione pone a fondamento dell’aggravante, ossia, appunto, “il mercimonio di sostanze stupefacenti”, che nella prospettiva d’accusa avrebbe costituito il motivo abietto, ossia quello che si pone come espressione di un sentimento spregevole, come affermato da questa Corte in un caso in la determinazione ad uccidere si formò in capo all’agente per il fine di conseguire il prezzo di una partita di stupefacente – Sez. 1, n. 30291 del 22/06/2011, Okaya, Rv. 250882 -.
1.2. La Corte di assise di appello, con altrettanta logicità e coerenza, ha escluso pure la sussistenza dei motivi futili, dato che comunque è provato che tra l’imputato e la vittima vi era una situazione di ostilità creatasi nel tempo i ragione sia del mancato pagamento di un debito da parte della vittima che dell’atteggiamento arrogante ed insolente che questa era solita tenere (fl. 31). Il
procuratore generale ricorrente ha replicato che, anche a voler escludere la causale del debito da cessione di droga, il motivo della condotta deve comunque essere apprezzato in termini di futilità; sul punto deve ricordarsi che l’aggravante dei futili motivi postula che “il reato concretamente realizzato costituisca espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato, connotantesi come mero pretesto per lo sfogo di impulsi criminali assolutamente avulsi da alcuno scopo diverso dalla commissione in sé del reato, così manifestando una tale sproporzione rispetto alla determinazione criminosa da giustificare un giudizio di maggiore riprorevolezza dell’azione e di più accentuata pericolosità dell’agente” Sez. 1, n. 16889 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 273119 -. In questi termini è agevole concludere per la piena coerenza della motivazione della sentenza impugnata con le premesse giuridiche rilevanti nel caso in esame.
1.3. In ragione della manifesta infondatezza del motivo, il ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Allo stesso modo, per manifesta infondatezza dei motivi, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato.
2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato e, al di là della complessa articolazione degli argomenti difensivi, anche generico, nella misura in cui non si confronta adeguatamente con due elementi essenziali posti in evidenza dalla sentenza impugnata nel negare la sussistenza della scriminante putativa. L’uno è costituito dalle evidenze, desunte dalle intercettazioni ambientali, circa la predisposizione con i familiari di una versione di comodo da offrire agli investigatori, artatamente messa a punto al fine di sostenere l’invocata scriminante (fl. 22 ss.); l’altro è rappresentato dalla smentita di un profilo rilevante del racconto difensivo, circa il casuale incontro che sarebbe avvenuto per strada tra l’imputato e la vittima.
Su tale ultimo profilo la sentenza impugnata ha ben spiegato (fl. 26) come dall’acquisizione delle registrazioni delle telecamere di videosorveglianza si possa ragionevolmente e plausibilmente dedurre che l’imputato, non appena NOME COGNOME transitò sotto casa sua, rivolgendogli la frase di sfida: “chi cazzu ti guardi?”, per poi allontanarsi, si mise immediatamente alla ricerca di questi. Il sostanziale inseguimento della vittima, in uno con il tentativo di costruire una falsa versione dei fatti e dei precedenti relativamente ad una minaccia mai profferita, ad un’aggressione fisica mai posta in essere, a delle molestie alla moglie mai fatte attestano la correttezza e logicità della motivazione con cui la Corte di assise di appello ha negato la legittima difesa putativa. Non può infatti versare in situazione di legittima difesa, sia pure
putativa, il soggetto che insegua la vittima con il chiaro proposito di aggredirla, come poi in effetti avvenne.
Quanto poi alle presunte contraddizioni con i dati risultanti dal verbale di sopralluogo, la sentenza impugnata ha ben spiegato che non vi sono elementi che consentano di affermare con precisione dove arrestò la marcia l’autovettura dell’imputato, e quindi che questa fu fermata in posizione anteriore al luogo in cui furono esplosi i colpi, il che potrebbe accreditare, secondo l’assunto difensivo, la tesi che la vittima, scesa dall’autovettura, si diresse verso l’imputato facendogli credere che era prossima ad aggredirlo (fl. 26-27). L’assunto difensivo è quindi meramente ipotetico e per nulla fondato su dati oggettivi, sicché non riesce ad insinuare il dubbio che la ricostruzione della falsità delle dichiarazioni confessorie sia illogica e non coerente con il contesto probatorio.
2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. La Corte di assise di appello ha correttamente posto in evidenza che, ai fini del riconoscimento della provocazione, anche nella forma della cd. provocazione per accumulo, occorre comunque che non vi sia una vistosa sproporzione tra l’offesa e la reazione, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “al fine della sussistenza dell’attenuante della provocazione, sebbene non occorra una vera e propria proporzione tra offesa e reazione, è comunque necessario che la risposta sia adeguata alla gravità del fatto ingiusto, in quanto avvinta allo stesso da un nesso causale, che deve escludersi in presenza di un’evidente sproporzione – cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 52766 del 13/06/2017, M C, Rv. 271799 -.
Ha quindi correttamente rilevato l’eccessività, la manifesta sproporzione tra il comportamento della vittima scatenante la reazione, ossia l’essersi rivolto all’imputato con la provocatoria espressione: “chi cazzu ti guardi?” e la reazione di quest’ultimo che, armatosi, si pose all’inseguimento e lo ferì mortalmente nell’arco di dieci minuti, sparando ben quattro colpi di arma da fuoco (fl. 32).
2.3. Il terzo e il quarto motivo sono manifestamente infondati. La Corte di assise di appello ha ampiamente motivato in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. Ha fatto richiamo non soltanto ai precedenti penali, e alla sottoposizione per ben due volte, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, ma anche al comportamento tenuto immediatamente dopo il fatto, con il tentativo di sottrarsi all’arresto, dandosi alla fuga, e con la reazi violenta contro i militati dell’Arma dei carabinieri che intendevano condurlo in Caserma per accertamenti, e alle dichiarazioni confessorie rivelatesi false (fl. 33). Si tratta, all’evidenza, di una motivazione logica ed esaustiva, che si sottrae a censure nel sindacato di legittimità. Quanto, poi, alla determinazione della pena, la Corte di assise di appello ha adeguatamente motivato circa la scelta di
fissare la pena base per il reato più grave nel massimo, ventiquattro anni di elusione, in ragione del grado ‘del dolo e delle modalità del fatto, dando poi coerente giustificazione anche del quantum di aumento per i delitti posti in continuazione (fl. 34). Anche per questa parte, pertanto, le doglianze di ricorso sono manifestamente infondate.
3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, equa al caso, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue altresì la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili costituite, come determinata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del procuratore generale.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME Marcello e lo condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel presente grado, che liquida:
in complessivi euro 4.000,00, oltre spese generali nella misura del 15%, C.P.A. ed I.V.A. come per legge per la parte civile rappresentata dall’avv.to NOME COGNOME disponendone il pagamento in favore dell’Erario;
in complessivi euro 4.000,00, oltre spese generali nella misura del 15%, C.P.A. ed I.V.A. come per legge per la parte civile rappresentata dall’avv.to NOME COGNOME disponendone il pagamento in favore dell’Erario;
in complessivi euro 4.000,00, oltre spese generali nella misura del 15%, C.P.A. ed I.V.A. come per legge per la parte civile rappresentata dall’avv.to NOME COGNOME disponendone il pagamento in favore dell’Erario;
in complessivi euro 2.500,00, oltre spese generali nella misura del 15%, C.P.A. ed I.V.A. come per legge per la parte civile rappresentata dall’avv.to NOME COGNOME disponendone il pagamento in favore dell’Erario;
in complessivi euro 3.510,00, oltre spese generali nella misura del 15%, C.P.A. ed I.V.A. come per legge per la parte civile rappresentata dall’avv.to NOME COGNOME
in complessivi euro 2.900,00, oltre spese generali nella misura del 15%, C.P.A. ed I.V.A. come per legge per la parte civile rappresentata dall’avv.to NOME COGNOME;
in complessivi euro 8.800,00, oltre spese generali nella misura del 15%, C.P.A. ed I.V.A. come per legge per le parti civili rappresentate dall’avv.to NOME COGNOME
Così d ciso in Roma, il 24 gennaio 2019
ore
Il presidente