Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2310 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2310 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a KENITRA (MAROCCO) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/02/2023 della CORTE ASSISE APPELLO cli GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso come da requisitoria già depositata; in relazione al motivo aggiunto chiede l’annullamento con rinvio.
udito il difensore AVV_NOTAIO COGNOME NOME che conclude insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso e dei motivi nuovi.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’Assise d’appello di Genova ha confermato la sentenza pronunciata in data l° giugno 2022 dalla Corte d’Assise di Massa con la quale COGNOME NOME è stato condannato, con la circostanza attenuante dell’art. 62, n. 2 cod. pen. equivalente all’aggravante del rapporto filiale e alla recidiva, alla pena di ventuno anni di reclusione in relazione all’omicidio aggravato del padre (artt. 575, 577, primo comma, n. 1, 99, quarto comma, cod. pen.), oltre alle pene accessorie di legge.
1.1. Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito è stata affermata la responsabilità dell’imputato per il menzionato delitto compiuto mediante la ripetizione di oltre quarantacinque coltellate (al petto, all’addome e altre parti del corpo), sulla base delle prove materiali acquisite, delle dichiarazioni dei testimoni oculari, degli esiti della consulenza tecnica e delle parziali ammissioni dell’imputato.
1.2. Entrambi i giudici di merito hanno escluso la causa di giustificazione della difesa legittima, anche putativa, pur riconoscendo l’atl:enuante della cd. provocazione derivante dalla precedente aggressione che il padre aveva attuato ai danni dell’imputato.
Ricorre COGNOME NOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata, denunciando:
la violazione di legge, in riferimento agli artt. 52 cod. peri., 192 e 530 cod. proc. pen., e il vizio della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, per l’esclusione della difesa legittima. Il ricorso propugna la versione secondo il quale l’imputato, dopo essere stato aggredito dal padre con un martello e un coltello all’interno dell’abitazione famigliare, si allontanava per essere, dopo poco, raggiunto dal padre che cercava nuovamente di colpirlo; impossessatosi del coltello, colpiva il genitore per difendersi. L’origine delle lesioni subite dall’imputato, provenienti da un’arma da taglio e non da un martello, sarebbe attestata dal consulente del pubblico ministero, le dichiarazioni del quale sono state travisate: il consulente ha ascritto al coltello i tagli al volto alle braccia dell’imputato; analogo travisamento riguarda le dichiarazioni della madre dell’imputato che ha confermato che la vittima (suo coniuge) era uscita di casa armata del coltello e del martello; anche il teste COGNOME non ha potuto escludere che la vittima abbia colpito l’imputato mentre si trovavano entrambi fuori dall’abitazione (primo motivo);
la violazione di legge, in riferimento agli artt. 55 cod. pen., 192 cod. proc. pen., e il vizio della motivazione per essere stato escluso l’eccesso colposo nel difendersi dall’aggressione paterna (secondo motivo);
la violazione di legge, in riferimento all’art. 59, quarto comma, cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla legittima difesa putativa. Il giudice d secondo grado non ha esaminato il motivo di appello, mentre la sentenza di primo grado si era limitata ad affermare che la scriminante non poteva essere ravvisata dal punto di vista putativo poiché la vittima si era allontanata da casa e l’imputato non correva alcun pericolo. Ciò, però, contrasta con le circostanze di fatto e con la condizione di terrore nella quale si trovava l’imputato che era stato violentemente aggredito dal padre e temeva che lo stesso infierisse nuovamente su di lui (terzo motivo).
2.1. L’AVV_NOTAIO, nuovo difensore dell’imputato, ha depositato motivi nuovi con i quali denuncia la violazione di legge, in riferimento agli artt. 2 quarto comma e 69 cod. pen. perché la Corte di secondo grado ha erroneamente affermato che la pena inflitta è pari al minimo di legge, perché l’omicidio è aggravato dal rapporto di filiazione che non consente la prevalenza delle circostanze attenuanti, ad eccezione di quelle espressamente previste dall’art. 577 cod. pen. (introdotto dalla L. n. 69 del 2019). La norma richiamata, che preclude il giudizio di prevalenza, è però entrata in vigore il 9 agosto 2019, successivamente alla data di commissione del reato (5 agosto 2019), sicché, in forza dell’art. 2 cod. pen., doveva essere applicata la normativa precedente, che non precludeva il bilanciamento in termini di prevalenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché generico, assertivo e reiterativo di argomentazioni proposte nel giudizio di merito che sono state esaminate con motivazione che non viene specificamente criticata dal ricorso. In diritto, il ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorso reitera argomentazioni che attengono alla fase del merito e non a quella di legittimità.
Il ricorso opina, infatti, in ordine alla ricostruzione dell’accaduto, senza che sussista una specifica denuncia di effettivi travisamenti o omissioni di tale portata da porre in discussione l’impianto motivazionale della sentenza.
2.1. Del resto, la versione difensiva è propugnata dal solo patrocinatore, essendo a sua volta smentita dall’imputato, il quale afferma: di essere uscito per primo dall’abitazione; di non avere colpito il padre al di fuori dell’abitazione; d avere lasciato il padre in ottima salute.
Si tratta di elementi, che il ricorso non contestata, che risultano smentiti dalle prove obiettive e dalle convergenti dichiarazioni dei testimoni oculari, come evidenziate dai giudici di merito, sicché la “versione alternativa” risulta del tutt avulsa dal contesto probatorio: la vittima è stata colpita ripetutamente dall’imputato quando, dopo essersi allontanata dall’abitazione e dal giardino, veniva inseguita e raggiunta.
2.2. La versione difensiva, in sostanza, si poggia sull’eventualità che nella prima fase (quella avvenuta nell’abitazione) il padre abbia colpito il figlio, oltre che con il martello, anche con il coltello.
Tale evenienza è stata esaminata dai giudici di merito che, dopo averla esclusa nella sua dimensione storica (il padre avrebbe usato soltanto il martello), hanno fatto comunque rilevare che l’eventuale uso del coltello non avrebbe avuto alcun effetto sulla ricostruzione in termini di omicidio poiché l’ipotetico uso dell’arma da taglio da parte del padre all’interno dell’abitazione afferisce comunque alla prima fase, del tutto slegata dal punto di vista causale e soggettivo rispetto alla seconda, caratterizzata dalla fredda e ritorsiva aggressione del figlio ai danni del padre.
2.3. Resta il fatto che i testi, le deposizioni dei quali non sono criticate i termini di effettivo travisamento, affermano che il coltello è stato prelevato dall’imputato e che la vicenda si è svolta in due distinte fasi: la seconda, fuori dall’abitazione, è caratterizzata dalla fuga della vittima, inseguita dall’imputato, che l’ha colpita con almeno quarantacinque coltellate, poi dandosi alla fuga.
È certo, infatti, secondo l’univoca ricostruzione operata in sentenza, che al leggero ferimento del figlio avvenuto all’interno dell’abitazione ad opera del padre, era seguito l’allontanamento di quest’ultimo in giardino, sicché il figlio era rimasto solo, armato di un coltello, e non aggredito da alcuno.
Addirittura, il padre, fanno concordemente notare i giudici di merito senza ricevere alcuna smentita specifica, dopo avere attraversato tutto il giardino, aveva aperto e richiuso dietro di sé il cancelletto che dava sulla prospiciente strada esterna con l’intento di chiamare i carabinieri per denunciare l’ennesima prepotenza del figlio (che si trovava nell’abitazione con obbligo di firma per un precedente reato in relazione al quale era stato da poco scarcerato).
Nel frangente, la vittima portava al seguito il proprio telefono cellulare (con il quale già all’interno dell’abitazione aveva cercato di chiamare le forze dell’ordine), così palesando il chiaro intento di allontanarsi e fare cessare la contesa.
I giudici di merito sottolineano, senza ricevere una critica specifica, che il cancelletto in questione è stato riaperto dal giovane che, inseguendo il genitore, brandiva il coltello con l’evidente intento di aggredirlo, come di fatti avvenne.
La circostanza, quindi, delle rilevate lesioni al braccio dell’imputato – a dire del consulente tecnico maggiormente compatibili con lesioni da arma da taglio anzitutto non esclude che siano dipese, come logicamente affermano i giudici di merito, dall’utilizzo della parte biforcuta del martello (valutazione di fatt questa, già intervenuta, ciò che esclude che essa possa essere rimessa in discussione in questa sede), e dall’altro si scontra con il fatto, obliterato dall difesa, che la vittima non aveva alcuna ferita alle mani, circostanza che denota, con certezza, una (eventuale) reazione difensiva del tutto modesta.
2.4. È risultato logicamente chiaro, ancorché la difesa manifesti apoditticamente di non condividere tali conclusioni, che la prima fase si era conclusa e che l’inseguimento del padre, attuato dall’imputato brandendo “qualcosa di luccicante” – poi risultato essere il coltello utilizzato per colpir quarantacinque volte (tre volte al cuore) -, aveva l’unico scopo di vendicarsi e non quello di difendersi.
Tale conclusione è pienamente aderente alla giurisprudenza di legittimità che ha da tempo chiarito che «non è invocabile la scriminante della legittima difesa da chi reagisca ad una situazione di pericolo alla cui determinazione egli stesso abbia concorso e nonostante disponga della possibilità di allontanarsi dal luogo senza pregiudizio e senza disonore» (Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013, Paoletti, Rv. 256016, fattispecie in cui l’imputato non si era avvalso della possibilità,
garantitagli dal possesso di una pistola, di allontanarsi immediatamente dal luogo ove era in corso la lite con la vittima).
Nel caso di specie, infatti, la aggressione paterna non solo era cessata, ma anzi il genitore si era allontanato per invocare l’aiuto delle forze dell’ordine, salv essere rincorso e raggiunto da tergo dal figlio armato di coltello.
2.5. Per tali ragioni paiono indiscutibili gli approdi di Corte di Assise di primo e di secondo grado e innegabile l’assenza di elementi che inducano a ritenere sussistente la difesa legittima e l’eccesso colposo.
Va ricordato, infatti, che la fattispecie dell’eccesso colposo può ipotizzarsi solo se l’esimente sussiste (Sez. 5, n. 26172 del 11/05/2010, P., Rv. 247898; Sez. 5, n. 2505 del 14/11/2008 – dep. 2009, P.G. in proc. Olari e altri, Rv. 242349), circostanza esclusa nel caso di specie.
2.6. Non sono, infine, specificamente contestate le ragioni che hanno spinto i giudici di merito a escludere la difesa legittima putativa: l’aggressione è stata attuata «dopo aver immediatamente percepito che il pericolo era sfumato» (pag. 8 della sentenza).
La circostanza che l’aggressione in precedenza patita abbia, come sostiene la difesa, obnubilato lo stato percettivo del giovane (“era certamente terrorizzato … ed ha temuto per tutte le fasi della vicenda che la propria vita fosse in pericolo” – pag. 12 del ricorso), tanto da fondare l’applicazione putativa della scriminante, è del tutto ipotetica e priva di qualsivoglia riscontro fattuale testimoniale, essendo stata introdotta soltanto dalla difesa tecnica (l’imputato ha sempre negato di avere colpito il padre), nonché relativa a un presunto stato emotivo e passionale dell’omicida che non ha attinenza con la invocata esimente putativa.
Del resto, si tratta, anche secondo la prospettazione difensiva, di un “timore” che non ha alcuna correlazione con la condotta posta in essere: l’imputato ha inseguito il padre che si stava allontanando, rendendo così palese l’assenza di qualsiasi rischio per il primo.
Il motivo nuovo è inammissibile.
3.1. Per espressa previsione di legge l’inammissibilità del ricorso determina un analogo esito per i motivi nuovi.
3.2. Del resto, il motivo nuovo è inammissibile perché estraneo ai motivi di ricorso che non riguardavano il giudizio di bilanciamento delle circostanze, oggi invocato nel senso della prevalenza.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che «in materia di impugnazioni, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, di cui i primi devon rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti, sicché sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l’ambito del predetto petitum, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione» (Sez. 6, n. 36206 del 30/09/2020, Tobi, Rv. 280294).
La doglianza è, quindi, inammissibile.
3.3. Sotto diverso profilo, al quale sembra riferirsi il difensore che richiama l’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., la questione, ove mai fondata, non è comunque rilevabile d’ufficio perché non riguarda la pena illegale.
Si tratterebbe, al più di, una pena illegittima, ma non di una pena illegale per la quale dovrebbe procedersi al rilievo d’ufficio.
Come rammentato da Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, dep. 2021, COGNOME, l’illegalità della pena ricorre :solo quando essa eccede i valori (espressi sia qualitativamente: genere e specie, che quantitativamente: minimo e massimo) assegnati dal legislatore al tipo astratto nel quale viene sussunto il fatto storico reato.
Ogni altra violazione delle regole che occorre applicare per la definizione della pena da infliggere integra un errato esercizio del potere di commisurazione e dà luogo ad una pena che è illegittima.
Resta quindi confermata la fondatezza del principio tradizionalmente enunciato dal giudice di legittimità, recentemente autorevolmente ribadito da Sez. U. Savini (Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, Savini, Rv. 283818 – 01), secondo il quale gli errori nell’applicazione delie diverse discipline che entrano in gioco nella commisurazione della pena danno luogo ad una pena illegale solo se la risultante (ovvero la pena indicata in dispositivo) è per genere, specie o per valore minimo o massimo diversa da quella che il legislatore ha previsto per il tipo (o sottotipo) astratto al quale viene ricondotto il fatto storico reato. Fuori d
tale caso, la pena è illegittima, ove commisurata sulla base della errata applicazione della legge o non giustificata secondo il modello argomentativo normativamente previsto.
Ebbene, ricorre il caso della pena illegittima quando il giudice, erroneamente applicando i limiti al bilanciamento delle circostanze ex art. 69 cod. pen. introdotti dalla legge 19 luglio 2019, n. 69, abbia ritenuto di non procedere al giudizio di prevalenza tra circostanza aggravanti ed attenuanti, ma si sia limitato all’equivalenza (per casi analoghi, si veda: Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi, Rv. 255729, che esclude la riconducibilità alla categoria della pena illegale della sanzione che, pur osservando i limiti edittali, sia il frutto di errori; Sez. n. 8639 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266080, secondo la quale esula dalla nozione di pena illegale la sanzione che sia complessivamente legittima, ma determinata secondo un percorso argomentativo viziato; Sez. 2, n. 14307 del 14/03/2017, COGNOME, Rv. 269748, che ha ritenuto non illegale la pena che sia risultante dell’applicazione di un distinto aumento per ciascuna delle ritenute circostanze ad effetto speciale e non tenga conto del criterio fissato dall’art. 63, comma 4, cod. proc. pen., perché l’errore riguarda le «modalità di calcolo della pena», e non incide sui limiti edittali, comunque rispettati; Sez. 5, n. 23911 del 20/02/2019, COGNOME, non mass., che ha ritenuto non dar luogo a pena illegale l’aver erroneamente calcolato prima l’aumento di pena per la continuazione tra i reati e poi quello per la recidiva, pur senza superare i relativi termini edittali Sez. 2, n. 46765 del 09/12/2021, COGNOME, Rv. 282322, relativa ad un caso di erronea applicazione della disciplina relativa a circostanza ad effetto speciale, che non aveva determinato il superamento dei termini edittali del reato di cui si trattava). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.4. D’altra parte, la questione non è decisiva perché la sentenza di primo grado – cui si rifà il giudice di appello che pure aggiunge l’errata notazione in diritto – ha motivatamente escluso la prevalenza sotto altri concorrenti profili (p. 36-37 sentenza di primo grado) che il ricorso non critica.
Sicché, neppure, rileverebbe la sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 577, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui vieta al giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62 primo comma, numero 2), e 62-bis cod. peri., poiché il giudizio di merito ha
escluso in fatto la possibilità di ravvisare la prevalenza della circo attenuante.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della cau di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 26 ottobre 2023.