Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21577 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21577 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di VENEZIA visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
uditi i difensori dell’imputato:
AVV_NOTAIO COGNOME, del foro di ROMA, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
AVV_NOTAIO NOME COGNOME, del foro di VERONA, che ha insistito nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 5 luglio 2022 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Verona, in esito a giudizio svolto nelle forme del rito abbreviato, aveva riconosciuto NOME COGNOME e NOME COGNOME colpevoli di reati commessi nel medesimo contesto spazio temporale, il parcheggio di un ristorante ubicato nel comune di Isola Rizza il giorno 20 novembre 2019, precisamente:
NOME COGNOME dell’omicidio ai danni di NOME COGNOME e della detenzione e porto dell’arma da fuoco utilizzata per eseguirlo;
NOME COGNOME del tentato omicidio ai danni di NOME COGNOME.
Con la sentenza indicata nel preambolo la Corte di assise di appello di Venezia ha ridotto ad anni 14 e mesi 2 di reclusione la pena inflitta a NOME COGNOME e, a seguito del concordato intervenuto tra le parti; ad anni 6 cli reclusione quella inflitta ad NOME COGNOME.
Secondo le conformi valutazioni delle sentenze, depongono per la colpevolezza dell’imputato, oltre che gli accertamenti eseguiti dalla polizia giudiziaria per ricostruire la dinamica della sparatoria e per individuare l’identit ed il ruolo dei partecipanti, le deposizioni rese dalle persone presenti sul posto dell’evento delittuoso, le immagini riprese da un impianto di videosorveglianza e le dichiarazioni parzialmente confessorie rese da NOME COGNOME.
I punti fermi della ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito possono essere sintetizzati come segue:
I tre protagonisti della sparatoria avevano concordato un appuntamento per ragioni legate al traffico di stupefacenti.
NOME COGNOME ed NOME COGNOME erano arrivati una prima volta nel parcheggio del ristorante “Volo leggero “alle 12.17, a bordo dell’autovettura Volkswagen Passat, nell’occasione era sceso dal veicolo solo NOME COGNOME, giusto il tempo di effettuare una telefonata per poi risalire e ripartire.
Alle 12.37 NOME COGNOME ed NOME COGNOME, sempre a bordo dell’autovettura Volkswagen Passat, erano ritornati al parcheggio, questa volta entrambi erano scesi dal veicolo armati di pistola per spostarsi rapidamente verso la zona dove era già parcheggiata l’autovettura Mini Countryman con a bordo NOME COGNOME, a sua volta armato di pistola.
Nei successivi otto secondi NOME COGNOME, postosi sul lato destro dell’autovettura Mini aveva sparato un colpo con la pistola TARGA_VEICOLO, indirizzandolo non verso terra ma verso la testa di NOME COGNOME seduto sul sedile del conducente; NOME COGNOME, servendosi di una pistola caricata con proiettili TARGA_VEICOLO. 9, aveva esploso un colpo non in direzione di NOME COGNOME ma di NOME COGNOME, che gli dava il fianco destro e che teneva il braccio destro alzato i posizione perpendicolare al corpo, nel chiaro gesto di puntare contro di lui la pistola; NOME COGNOME, dopo essere stato colpito, aveva cercato di rialzarsi,
riuscendo ad esplodere almeno tre colpi con la pistola caricata con proiettili calibro TARGA_VEICOLO in direzione della Mini che si stava allontanando a velocità sostenuta;
NOME COGNOME si era avviciNOME NOME COGNOME ormai esanime, aveva prelevato la pistola di quest’ultimo e si era allontaNOME a piedi fino a raggiungere la carreggiata dove raggiungeva l’autovettura Mercedes con a bordo i cittadini albanesi NOME e NOME.
Sia per il G.i.p. che per la Corte di assise di appello non c’è spazio per l’applicazione della causa di giustificazione della legittima difesa poiché non solo NOME COGNOME ed NOME COGNOME ma anche NOME COGNOME avevano scelto di partecipare ad un “appuntamento pericoloso”, tanto da presentarsi armati e nelle condizioni di affrontare un eventuale conflitto a fuoco. Difetta, quindi, come nelle ipotesi o di accettazione di una sfida o di attuazione di una spedizione punitiva il requisito della convinzione di dover agire per scopo difensivo.
NOME COGNOME, per il tramite dei difensori di fiducia, AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione, articolando tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo è dedotto vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità e all’esclusione della causa di giustificazione della legittima difesa.
Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ingiustificatamente e, comunque, attraverso il travisamento per omissione degli elementi di prova, inquadrato l’incontro tra l’imputato e la persona offesa, in occasione del quale sono stati commessi i delitti, “in guisa di un regolamento di conti” tra parti contrapposte ed animate da reciproci intenti aggressivi, anziché nell’ambito di un vero e proprio “agguato”, ordito da NOME COGNOME e NOME COGNOME ai danni di NOME COGNOME.
Nel ritenere infondata la tesi difensiva, costantemente sostenuta in entrambi i gradi del giudizio, secondo cui l’imputato aveva agito in presenza degli elementi costitutivi della legittima difesa, i giudici del merito, oltre ad ignorare o travis dati probatori a discarico di dirimente rilevanza, hanno sviluppato un percorso argomentativo intrinsecamente illogico e contraddittorio.
Non è stata adeguatamente valutata la consulenza tecnica eseguita su incarico della difesa dall’ingegnere COGNOME. Eppure, il tecnico aveva ricostruito, con alto grado di precisione, la dinamica dell’azione ed i suoi antefatti, non solo dimostrando, attraverso l’esame dei filmati, che i tre protagonisti della vicenda si erano incontrati nello stesso posto circa 20 minuti prima della sparatoria e che la Mini Countryman nei momenti immediatamente precedenti alla sparatoria si
trovava in una posizione che non rendeva agevole il rapido allontanamento dal parcheggio.
Qualora tali dati fossero stati tenuti presenti nella ricostruzione fattuale sarebbe emersa l’inverosimiglianza della tesi negatoria della legittima difesa. Le modalità del primo incontro, infatti, sono del tutto incompatibili con l’insorgenza in capo all’imputato della convinzione di dover sostenere, appena venti minuti dopo, un conflitto a fuoco: NOME COGNOME non solo si era allontaNOME offrendo le spalle al duo NOME COGNOME NOME COGNOME, ma non aveva avuto neanche la possibilità di accorgersi che i rivali erano armati. Al contrario, si era res perfettamente conto di trovarsi in una posizione di inferiorità numerica nel caso di uno scontro. Proprio perché privo di intenti aggressivi, NOME COGNOME, dopo essere arrivato per primo, aveva posteggiato la Mini Countryman in un punto dell’area parcheggio da cui non era facile allontanarsi e ciò perché non aveva alcuna necessità di precostituirsi una via di fuga.
Parimenti sono stati trascurati i contributi dichiarativi offerti dai testimo COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME nonostante abbiano concordemente fornito l’unica chiave di lettura logica degli eventi, facendo intendere che COGNOME e NOME si erano recati armati all’appuntamento con COGNOME per rapinarlo dello stupefacente che ritenevano avesse con sé. La realizzazione del programma criminoso si presentava particolarmente agevole perché era possibile approfittare dell’appoggio garantito da alt( t soggetti appartenenti al medesimo gruppo criminale, i cittadini albanesi NOME e NOME, i quali, non a caso, erano rimasti nelle immediate vicinanze, tanto da intervenire per recuperare NOME, e che erano, per di più, interessati alla riuscita dell’agguato perché creditori di COGNOME e NOME
Le argomentazioni difensive in ordine all’applicabilità dell’esimente ella legittima difesa sono state superate con argomentazioni manifestamente illogiche e contraddittorie.
La circostanza che NOME avesse sparato per primo in direzione di COGNOME, costringendo quest’ultimo a rispondere al fuoco è stata esciusa nonostante le ammissioni del diretto interessato e le conferme provenienti dall’esame delle traiettorie balistiche offerte dal consulente tecnico di parte.
In senso contrario, la sentenza impugnata ha considerato decisiva l’inattendibilità di NOME, desunta dal mendacio sulla direzione del colpo esploso in direzione di NOME COGNOME, non superando, tuttavia, l’argomento che il dichiarante non aveva alcun motivo di mentire su questo specifico aspetto, che, per quanto sfavorevole, era comunque del tutto ininfluente ai fini della sua posizione processuale di soggetto chiamato a rispondere del tentativo di omicidio ai danni di COGNOME.
Non depone in senso sfavorevole alla tesi sostenuta dall’odierno ricorrente l’argomentazione, del tutto disancorata dalla concitazione del momento, secondo la quale se NOME avesse effettivamente sparato per primo, COGNOME avrebbe sparato a lui e non a COGNOME, considerato fonte di maggiore pericolo.
Né è decisiva l’osservazione espressa dalla sentenza impugnata in termini perplessi che COGNOME, anche ammesso che NOME avesse aperto il fuoco per primo, poteva non essersene accorto posto che il colpo non lo aveva attinto. E’ stato ignorato che un altro testimone, COGNOME, aveva appresso dallo stesso NOME di un improvviso inceppamento della pistola, che lo aveva costretto a fuggire dopo il primo sparo, circostanza che spiega agevolmente la scelta di COGNOME di dirigere il colpo verso COGNOME.
In ogni caso, rimane fermo il dato che COGNOME aveva agito per difendersi da NOME esplodendo nella direzione di quest’ultimo il colpo, rivelatosi mortale, quando lo aveva visto avvicinarsi, brandendo a braccio teso un’arma da fuoco, subito dopo che NOME COGNOME aveva già tentato di attingerlo mortalmente.
L’ampiezza del parcheggio conferma che l’imputato non aveva preventivamente scelto di posizionare la sua autovettura con accorgimenti adeguati a consentirgli una fuga più agevole, evidentemente perché non intenzioNOME a partecipare ad un conflitto armato.
La circostanza che COGNOME si era presentato all’appuntamento armato non esclude, da una parte, che egli sia stato vittima di un’imboscata e, dall’altra, non fa ritenere accertato che fosse animato da intenti violenti ed aggressivi nei confronti di COGNOME e COGNOME. La mera disponibilità della pistola è perfettamente compatibile sia con l’accettazione del rischio di partecipare ad uno scontro armato sia con l’esigenza di munirsi di uno strumento di difesa da utilizzare soltanto in caso di aggressione, evento tutt’altro che remoto se si partecipa ad un appuntamento finalizzato alla programmazione o alla commissione di un commercio illecito. La plausibilità di entrambe le ricostruzioni alternative imponeva ai giudici del merito di applicare la regola di giudizio di cui all’art. 530, comma 3 cod. proc. pen. che prevede il proscioglimento nel caso di dubbio sull’esistenza di una scriminante come la legittima difesa.
Per l’imboscata, peraltro, depone la condotta tenuta da COGNOME, il quale:
ha atteso NOME e NOME con il finestrino alzato;
solo dopo essere stato destinatario del colpo esploso da NOME COGNOME, ha sparato verso COGNOME allorquando lo stesso, insieme con il complice, si stava avvicinando armato e con fare minaccioso, tanto da stendere il braccio con la pistola in pugno, come accertato alla perizia necroscopica;
si è dato alla fuga senza accertarsi se il presunto bersaglio fosse deceduto.
L’ulteriore elemento a favore della tesi dell’imboscata, costituito dall’accertata consapevolezza da parte dell’imputato della superiorità numerica dei rivali sin dal primo incontro, è stato escluso sulla base di un ragionamento estremamente contraddittorio in forza del quale COGNOME, pur convinto di essere l’unico soggetto armato, era, comunque, consapevole di partecipare ad un incontro che poteva sfociare in un confitto armato.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge in relazione all’art. 52 cod. pen. nonché vizio di motivazione in relazione all’equiparazione dell’incontro conclusosi con la morte di COGNOME all’ipotesi della preordinat accettazione della sfida e del duello.
La Corte distrettuale ha fatto applicazione dell’orientamento giurisprudenziale che, attraverso una interpretazione analogica in malam partem della diversa disposizione di cui all’art. 54 cod. pen. in tema di stato di necessità, introduce tr i requisiti della legittima difesa l’involontarietà del pericolo.
In ogni caso, la situazione concreta accertata nel caso di specie è del tutto eterogenea risposto a quelle prese in considerazione dalle sentenze della giurisprudenza di legittimità richiamate (da ultimo Sez. 1, n. 37829 del 21 giugno 2018; Sez. 1. n. 56330 del 13 giugno 2017; Sez. 1 n. 12740 del 20 dicembre 2011).
Le pronunce del filone giurisprudenziale cui la sentenza impugnata ha espressamente aderito, nell’individuare quale presupposto ostativo alla concessione dell’esimente di cui all’art. 52 cod. pen., rautodeterminazione della situazione di pericolo”, considerano sempre indispensabile che l’agente abbia direttamente causato lo scontro violento o abbia comunque deciso di reagire alla condotta offensiva altrui, attraverso l’accettazione di un confronto fisico altrimenti evitabile.
A queste peculiari situazioni non è assimilabile la partecipazione ad un “incontro chiarificatore” o ad un “regolamento di conti” La necessità di incontrarsi per dirimere controversie o per chiarimenti su questioni riconducibili a traffici illeciti non implica che la reazione ad un’eventuale aggressione della controparte sia sempre causa del confronto violento né presuppone necessariamente la volontaria e programmata partecipazione ad uno scontro armato, come nelle ipotesi della volontaria accettazione della sfida e del duello.
La situazione di pericolo autodeterminata, ostativa al ric:onoscimento della legittima difesa, non può farsi coincidere con lo svolgimento di attività illecita o rischiosa ex se. Altrimenti dovrebbe pervenirsi alla paradossale conclusione che non può invocare la legittima difesa il soggetto aggredito ingiustamente mentre è intento a commettere un reato. Al contrario, anche il responsabile della condotta illecita che dà luogo o comunque occasione all’aggressione può utilmente invocare
l’esimente de qua quando la sua reazione è correlata all’esigenza di difendere la sua incolumità.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte distrettuale si è appiattita sulle illogiche valutazioni del G.u.p. che ha ingiustificatamente considerato ostativo al beneficio: – l’esiguità del risarcimento, pur relativo ad una somma di denaro di valore tutt’altro che irrisorio alla luce delle condizioni personali dell’imputato; – il tentativo di fuga; – l’inconsistenza d contributo collaborativo. Si tratta, però, di circostanze non negative perché spiegabili con la necessità dell’imputato di evitare atti ritorsivi da parte dei famili della vittima. Parimenti, ha valorizzato la gravità del fatto senza prendere in considerazione la sua evidente finalità difensiva e la condizione di incensuratezza dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso propone censure infondate sicché deve essere rigettato.
Per ragioni di ordine logico va esamiNOME prioritariamente il secondo motivo, relativo ai requisiti della legittima difesa e alla sua configurabilità nel ipotesi di autodeterminazione della situazione di pericolo.
1.1. L’art. 52, primo comma, cod. pen., il cui testo è rimasto immodificato anche dopo i più recenti interventi normativi, nel disciplinare la causa di giustificazione della legittima difesa, ne individua tre elementi costitutivi: pericolo attuale di un’offesa ingiusta ad un diritto proprio o altrui, sinteticamente definito aggressione ingiusta; la necessità di reagire a scopo difensivo, detta anche difesa necessitata o reazione legittima, e, infine, la proporzione tra la difesa e l’offesa.
Secondo l’interpretazione costante della giurisprudenza di legittimità, mentre l’aggressione ingiusta deve concretarsi nel pericolo attuale di un’offesa così concreta e imminente da sfociare, se non neutralizzata tempestivamente, nella lesione di un diritto (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge, la reazione legittima implica l’inevitabilità del pericolo, tale da rendere priva di alternati l’aggressione quale rimedio per neutralizzare l’offesa, con conseguente impossibilità di attribuire rilevanza esimente ad ogni ipotesi di difesa non solo preventiva o anticipata (ex plurimis, più di recente Sez. 1, n. 51262 del 13/06/2017,Cali,Rv. 272080), ma anche attuata nella ragionevole previsione di determinare una reazione aggressiva o comunque nella volontaria accettazione di una situazione di pericolo che si è contributo a determinare (cfr. Sez. 1, n. 1630
del 7/10/1981, dep. 1982, Rv. 152323, Trovato, Sez., 1, n. 6917 del 04/05/1992, COGNOME, Rv. 190565 – 01 e più di recente Sez. 1, n. 37289 del 21/06/2018, COGNOME, Rv. 273861; Sez. 1, n. 52617 del 14/11/2017, COGNOME, Rv. 271605 ; Sez. 1, n. 56330 del 13/09/2017, COGNOME Gioiosa, Rv. 272036; Sez. 1, n. 2654 del 09/11/2011, COGNOME, Rv. 251834; Sez. 1, n. 2911 del 07/12/2007, COGNOME, Rv. 239205) e che poteva essere evitata allontanandosi dal luogo senza pregiudizio e disonore (Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013; Sez. 1, n. 5697 del 28/01/2003, COGNOME, Rv. 223441).
La determinazione volontaria dello stato di pericolo, pertanto, esclude la configurabilità della legittima difesa non per la mancanza del requisito dell’ingiustizia dell’offesa, ma per difetto del requisito della necessità della difes che è inconciliabile con la previsione del pericolo e la libera accettazione di esso.
E’ la stessa formulazione dell’art. 52 cod. pen. – “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere” – ad escludere espressamente dall’orizzonte applicativo della legittima difesa, anche nella forma putativa, qualsiasi caso di volontaria determinazione di una situazione di pericolo o di sua accettazione. Non può dirsi “costretto” a ricorrere in via eccezionale all’autotutela chi, pur reagendo ad un’offesa ingiusta, ha comunque consapevolmente e deliberatamente creato o accettato l’alternativa conflittuale alla quale si è liberamente si esposto, per esempio innescando una sorta di duello o sfida contro il suo avversario o attuato una spedizione punitiva nei suoi confronti (Sez. 1, n. 12740 del 20/12/2011, COGNOME, Rv. 252352). In siffatte ipotesi difetta, in radice, il requisito della convinzione – sia pure erronea – di dover agir per scopo difensivo.
In applicazione dei rammentati principi, la legittima difesa viene, di regola, esclusa in caso di rissa. Infatti, i corrissanti sono ordinariamente animati dall’intento reciproco di offendersi ed accettano la situazione di pericolo nella quale volontariamente si pongono, con la conseguenza che la loro difesa non può dirsi necessitata (Sez. 5, n. 32381 del 19/02/2015, COGNOME e altro, Rv. 265304; Sez. 5, n. 4402 del 09/10/2008, RG. in proc. COGNOME e altri, Rv. 242596; Sez. 5, n. 7635 del 16/11/2006, Daidone, Rv. 236513). L’unica eccezione è il caso del corrissante che abbia reagito ad un’azione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia ad un’offesa che, per essere diversa e più grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma ed in tal senso ingiusta (Sez. 5, n. 36143 del 11/04/2019, Lepre, Rv. 277030 – 01)
1.2. L’orientamento giurisprudenziale che esclude la configurabilità della legittima difesa nel caso di pericolo volontariamente causato o accettato non implica l’automatica e discrimiNOMEria esclusione dell’esimente in favore di chi abbia fatto ricorso all’autodifesa per tutelare un bene primario, principalmente
l’integrità fisica, propria o altrui, mentre versava in una situazione illecita nell’atto di commettere un reato.
A prescindere dal contesto lecito o illecito in cui è insorto il “pericolo attual di un’offesa ingiusta”, l’azione lesiva integrante gli estremi di un reato posta in essere per neutralizzarlo è giustificata ai sensi dell’art. 52 cod. pen. solo se il su autore è costretto a compierla per finalità esclusivamente difensive, che non ricorrono se egli stesso ha dato ab initio causa alla specifica situazione pericolosa o l’ha, comunque, affrontata accettando il rischio di subirne gli effetti. In entrambe tali situazioni, infatti, l’agente è animato da intenti aggressivi, anche se reciproc a quelli della vittima, che non possono essere tutelati dall’ordinamento e, con la sua condotta, realizza una forma di difesa di beni giuridici, anche di rilevante importanza, che non è però necessitata perché evitabile in radice.
La legittima difesa, quindi, sarà invocabile, per restare agli esempi citati nel ricorso, da chi difende la sua integrità fisica messa imprevedibilmente a repentaglio da un’azione violenta posta in essere dalla persona con cui è in procinto di stipulare un accordo corruttivo o dallo spacciatore che venga aggredito da terzi che cercano di rapinarlo dello stupefacente detenuto , mentre l’esimente non potrà essere applicata a chi, sempre nell’ambito di un rapporto illecito, sceglie liberamente di partecipare armato ad un “incontro chiarificatore” o ad un “regolamento di conti”, temendo azioni ritorsive o comunque violente da parte dei soggetti con cui dovrà interloquire e prevedendo concretamente per contrastarle l’uso dell’arma (in questo senso Sez. 1, n. 2654 del 09/11/2011, dep. 2012, COGNOME Rv. 251834 – 01, con riferimento ad un omicidio ed un tentato omicidio avvenuti nell’ambito di un conflitto a fuoco).
Rammentate le coordinate ermeneutiche in tema di applicazione della legittima difesa, può esaminarsi il primo motivo che censura il percorso motivazionale seguito per pervenire all’esclusione dell’invocata causa di giustificazione.
2.1. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale, in continuità con il G.u. ha denegato il riconoscimento della legittima difesa, disattendendo in tal modo l’unica richiesta avanzata in sede di appello, muovendo da un presupposto in fatto erroneo perché determiNOME dal travisamento dei dati probatori provenienti dalla consulenza tecnica dall’ingegnere COGNOME e delle dichiarazioni rese da COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, ovvero che lo scontro armato tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, da una parte, e NOME COGNOME, dall’altra, sia stato l’epilogo di un “regolamento di conti” anziché un vero e proprio “agguato” organizzato da primi ai danni del secondo. In particolare, sarebbe stato ignorato che appena venti minuti prima della sparatoria i tre protagonisti si erano già incontrati e che
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l’incontro si era concluso in termini tale da non lasciar in alcun modo presagire a NOME COGNOME un successivo scontro armato e che quest’ultimo, proprio perché non aveva alcuna intenzione di partecipare ad una spedizione punitiva o comunque ad un’azione di fuoco, aveva scelto, in occasione del secondo incontro, di parcheggiare la sua autovettura senza adottare le precauzioni minime per ottenere una rapida via di fuga. Al contrario, NOME e NOME avevano scelto di armarsi perché intenzionati a rapinare NOME COGNOME dello stupefacente. D’altra parte, che solo NOME COGNOME e NOME COGNOME avessero intenti aggressivi è confermato alla circostanza che NOME aveva sparato per primo in direzione di COGNOME il quale aveva risposto al fuoco per evitare di essere a sua volta colpito da NOME COGNOME che gli stava puntando la pistola.
2.2. L’assunto, pur suggestivo ed ancorato a dati in larga parte veridici, non si confronta con il nucleo centrale della motivazione posta a fondamento del mancato riconoscimento della legittima difesa, da solo sufficiente a sostenere la tesi contrastata dal ricorrente.
La Corte distrettuale, così come denunciato dal ricorrente, ha ritenuto non accertate alcune circostanze valorizzate dalla difesa per supportare la ricostruzione alternativa secondo cui l’odierno ricorrente era stato vittima di un’imboscata ricorrendo ad argomentazioni prive di rigore logico. Basti pensare che ha escluso o comunque posto in dubbio che NOME COGNOME aveva sparato per primo, nonostante le ammissioni dell’interessato riscontrate dai filmati e dall’esito dal repertamento dei bossoli in occasione del sopralluogo, e che ha giustificato la scelta di NOME COGNOME di sparare non verso NOME COGNOME ma in direzione NOME COGNOME con la possibilità, invero assai remota, che lo stesso “non si sia “accorto subito dello sparo di NOME (che non !o ha attinto)”. In senso contrario, infatti depone il dato certo ed incontestato che il proiettile esploso da NOME aveva rotto il finestrino della porta anteriore lato passeggero dell’autovettura con a bordo NOME COGNOME, penetrandovi all’interno fino a raggiungere il rivestimento in plastica del montante laterale lato guida, posto appena sotto il supporto della cintura di sicurezza quindi accanto al sedile dove si trovava NOME COGNOME.
Si tratta, tuttavia, di criticità che, come spiegato dalla stessa sentenza impugnata (in particolare pagg. XVIII e XIX), non sono decisive ai fini del riconoscimento della legittima difesa.
A prescindere di quali fossero le reali intenzioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME e dell’individuazione del soggetto che ha sparato per primo, è rimasto, comunque, accertato che NOME COGNOME, dopo un precedente zibboccamento che, quanto meno, gli aveva confermato la rischiosità dell’operazione in corso e il pericolo concreto che degenerasse in azioni violente nei suoi confronti in ragione degli argomenti affrontati e della capacità criminale degli interlocutori, anziché
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interrompere il rapporto aveva scelto di presentarsi al successivo incontro, confidando di poter evitare il peggio anche aggredendo per primo. Aveva, quindi, portato con sé la pistola non solo nella consapevolezza che l’arma poteva astrattamente garantirgli maggiore sicurezza, ma nella convinzione di utilizzarla prontamente nei caso in cui il rischio, temuto, previsto ed accettato, di aggressioni violente conto di lui si fosse concretizzato, al punto da riuscire, senza nemmeno perdere tempo a ricercarla, a rispondere al fuoco nel giro di pochi secondi, immediatamente dopo avere udito il primo colpo diretto nei sui confronti ed andato a vuoto. In quest’ottica, NOME COGNOME aveva collocato la pistola, armata con colpo in canna, all’interno dell’autovettura in una posizione che ne consentiva l’uso immediato fin dall’avvistamento dei rivali.
In definitiva, p rapidità dell’azione e le sue modalità esecutive sono state logicamente interpretate come indicative di un’azione lesiva non avente finalità esclusivamente difensive e necessitate nei termini richiesti dall’art. 52 cod. pen., come precisati nel precedente paragrafo, ma, al contrario previamente programmata per offendere gli avversari, anche se in concreto innescata dalla condotta aggressiva altrui.
Il terzo motivo, relativo alle circostanze attenuanti generiche, non è consentito, risolvendosi nella sollecitazione di apprezzamenti in fatto da sovrapporre a quelli, non manifestamente illogici, della sentenza impugnata che, in riposta alle pedisseque doglianze dedotte nell’atto di appello, aveva evidenziato, al fine di giustificare il rigetto della richiesta di concessione del beneficio, mancata acquisizione o allegazione di elementi fattuali favorevoli all’imputato valorizzabili ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen., non potendosi ritenere tali, alla lu della gravità dei reati per i quali era intervenuta condanna e del contesto delinquenziale in cui erano maturati, né la condotta successiva ai reati né lo stato di incensuratezza. NOME COGNOME, infatti, aveva ammesso il suo coinvolgimento quando già le indagini lo avevano accertato, per di più facendo riferimento a circostanze smentite dalle ulteriori evidenze probatorie, e si era sottratto inizialmente alle ricerche fuggendo in Grecia. La somma offerta a titolo di risarcimento, pari a diecimila euro non era congrua né sintomatica di effettiva resipiscenza.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma 20 febbraio 2024.