Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2161 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2161 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Reggio Calabria il 25.10.1976
avverso l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria del 12.6.2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente alla adeguatezza della misura cautelare; uditi i difensori del ricorrente, avvocato NOME COGNOME e avvocato NOME COGNOME che hanno chiesto raccoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 12.6.2024, il Tribunale di Reggio Calabria ha provveduto sulla richiesta di riesame proposta nell’interesse di COGNOME NOME avverso l’ordinanza con cui il g,i.p. del Tribunale di Reggio Calabria in data 31 maggio 2024 applicava al ricorrente la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai delitti di cui agli artt. 575 e 56-575 cod. pen.
1.1 L’ordinanza procede inizialmente ad una ricostruzione del fatto avvenuto il 27 maggio 2024 in INDIRIZZO Reggio Calabria, dove Putortì, rientrato verso
le 9.30 presso la propria abitazione, avvertiva la presenza di estranei al primo piano e, armatosi di un coltello prelevato dalla cucina al piano terra, saliva per le scale, trovandosi di fronte due sconosciuti, che colpiva ripetutamente. I due, infine, riuscivano a fuggire a bordo di una Fiat Punto, dove li attendevano all’esterno altri due soggetti.
Poco dopo le 10.00, un uomo originario di Catania, NOME COGNOME veniva abbandonato dalla Fiat Punto all’ingresso dell’ospedale di Reggio Calabria e alle ore 10.25 se ne constatava il decesso per ferite da arma da taglio nella regione addominale sotto il diaframma e al fianco destro. Un altro soggetto di origini catanese, NOME COGNOME si presentava alle ore 12.34 al Pronto Soccorso del Policlinico di Messina in condizioni di shock ipotensivo per sanguinamento con lesioni da accoltellamento in regione lombare, paravertebrale e sul rachide dorsale. Un terzo soggetto catanese, La Spina Massimo, veniva fermato alla guida della Fiat Punto in procinto di imbarcarsi a Villa San Giovanni per la Sicilia.
L’ordinanza riporta le fonti di prova in base alle quali è stato operato il fermo del ricorrente per l’omicidio di COGNOME e per il tentato omicidio di NOME, tra cui le dichiarazioni dello stesso COGNOME e di NOME NOME, le risultanze del sopralluogo del R.I.S. dei Carabinieri nell’abitazione del ricorrente immediatamente sottoposta a sequestro, l’esito dei primi accertamenti medici, le immagini delle videoriprese acquisite.
Ad una complessiva valutazione del compendio indiziario disponibile, l’ordinanza approda ad un apprezzamento di parziale inattendibilità delle dichiarazioni rese a più riprese dal ricorrente. Inizialmente, COGNOME riferiva di avere incrociato due malviventi sulle scale e di avere colpito con un pugno al volto quello che lo aveva spintonato sulle scale, prima che entrambi riuscissero poi a fuggire facendo cadere per le scale due pistole con relativi caricatori e munizioni che egli deteneva in una cassaforte di cui i ladri avevano asportato le chiavi. Quindi, una volta ritrovato il cadavere di Stancampiano dinanzi all’ospedale di Reggio Calabria, i Carabinieri notavano la presenza nel lavabo della cucina dell’indagato di un set di coltelli appena lavati con disinfettante medico e allora COGNOME ammetteva di essersi armato di coltello prima di salire e di avere colpito uno dei ladri al fianco destro. Nel successivo interrogatorio al P.M., il ricorrente ammetteva di avere colpito entrambi i fuggitivi che lo avevano aggredito e solo dopo che i due si erano allontanati si era avveduto della presenza di tracce di sangue sul coltello. Nell’interrogatorio al G.I.P., infine, ammetteva di avere inferto più coltellate ai due che continuavano ad aggredirlo nonostante i fendenti.
Il G.I.P. considerava che la narrazione dell’indagato, tendente ad accreditare che si fosse verificata una prolungata colluttazione con i due ladri, non trovava riscontro nel sopralluogo dei Carabinieri del R.I.S., i quali hanno trovato numerose
tracce ematiche all’esterno dell’abitazione e solo due all’interno, una sul pianerottolo del primo piano e una alla base delle scale nel disimpegno a piano terra, constatando dunque l’assenza di gocciolamento e di proiezione di schizzi e concludendo che non vi erano tracce dei movimenti tipici dell’azione convulsa di una colluttazione.
Inoltre, i tagli riportati da NOME sulla parete toracica – evidenziava il g.i.p. sono compatibili con colpi inferti mentre dava le spalle all’aggressore e, quindi, nell’atto in cui cercava di darsi alla fuga. Né sono stati rinvenuti segni di colluttazione sul cadavere di COGNOME, che recava uno squarcio alla manica sinistra compatibile con una dinamica da difesa passiva e provocato ragionevolmente nell’atto di parare i colpi.
Di contro, tali risultanze accreditano invece la versione di NOMECOGNOME il quale ha detto che lui e COGNOME, essendosi avveduti dell’ingresso di qualcuno in casa, erano scesi per le scale, incrociando un uomo sul ballatoio del primo piano, il quale prima aveva colpito di fronte il suo complice e poi aveva colpito lui mentre tentava di fuggire lateralmente, negando qualunque colluttazione ed escludendo la precedente asportazione di pistole dalla cassaforte che non avevano affatto individuato.
Inoltre, dalle videoriprese, risultava che la Fiat Punto si era immessa nella INDIRIZZO alle ore 9.27 e che alle ore 9.45 era sopraggiunta l’auto di Putortì, sicché risultava improbabile che in questo breve lasso di tempo i catanesi avessero potuto reperire le chiavi e aprire l’armadietto blindato contenente le pistole.
Quanto alla legittima difesa, l’ordinanza impugnata richiama le argomentazioni del g.i.p. che non ne ha ravvisato la sussistenza. In particolare, l’ordinanza genetica esclude sia l’attualità del pericolo, sia la necessità della reazione, la quale postula che l’aggredito non abbia alternative tra il difendersi e l’essere offeso. Non sono state riscontrate modalità intrusive connotate da minaccia o violenza; non sono stati rilevati segni di effrazione; non è stata dimostrata alcuna colluttazione; i due ladri non hanno fatto uso di armi per minacciare il ricorrente.
Viceversa, COGNOME che nell’interrogatorio di garanzia ha riferito di essere stato certo che al piano superiore non vi fossero i suoi familiari, aveva a disposizione una serie di opzioni per mettere in fuga i ladri (come, per esempio, uscire e allertare i carabinieri oppure segnalare con clamore la propria presenza in modo da indurre i ladri ad allontanarsi). Invece, l’indagato – sottolinea il Tribunale del riesame – si è fatto giustizia da sé ed è salito armato lungo l’unica via di fuga dei malviventi, così esponendosi deliberatamente al contrasto.
Il ricorrente ha indicato come movente la difesa della propria abitazione, ma la scriminante, come rimarcato dalla giurisprudenza di legittimità, opera in
situazioni in cui si deve difendere la sicurezza individuale nel domicilio e non il domicilio in quanto tale.
In ogni caso, difettava il requisito della necessità di difendersi, in quanto i rilievi del R.I.S. dei Carabinieri lasciano concludere che non vi fu aggressione da parte dei ladri e una conseguente colluttazione: COGNOME ha inflitto più coltellate in rapida sequenza al busto dei due sconosciuti, così tradendo una ferma volontà offensiva trasmodata nel dolo omicidiario.
Né è persuasiva la sua spiegazione quando dice di avere agito in stato di paura, che al contrario avrebbe piuttosto consigliato l’allontanamento e la richiesta di intervento delle forze dell’ordine.
1.2 Quanto ai profili cautelari, l’ordinanza ha ritenuto la sussistenza delle esigenze di cui alle lettere a) e c) dell’art. 274 cod. proc. pen.
Sotto il primo profilo, COGNOME ha assunto comportamenti diretti a inquinare il materiale probatorio nell’immediatezza dei fatti, fornendo una serie di versioni inattendibili e prodigandosi a disinfettare l’intero set di coltelli da cucina; inoltr in questa prospettiva necessita ancora di approfondimento anche il rinvenimento delle sue pistole lungo le scale dell’abitazione. Sotto il secondo profilo, l’indagato ha manifestato una spiccata propensione alla violenza contro la persona con l’uso di armi, che potrebbe scatenarsi nuovamente, come si desume dalla freddezza dimostrata nella vicenda e dall’assenza di controspinte agli impulsi offensivi, che complessivamente tradiscono un’indifferenza alle regole del consesso civile, le quali gli avrebbero invece consigliato la devoluzione allo Stato di ogni iniziativa a tutela della sua proprietà privata.
Questi elementi ostano alla formulazione di una prognosi positiva circa la spontanea adesione alle prescrizioni relative a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere. Nel caso di specie, opera la duplice presunzione relativa di incombenza di esidenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, che non è superata da elementi favorevoli all’indagato, l’unico dei quali, e cioè l’incensuratezza, è allo stato subvalente. Le stesse dichiarazioni che ha reso COGNOME non denotano una presa d’atto del disvalore della sua azione, né alcuna rimeditazione critica in sede di interrogatorio, nel quale ha anzi rivendicato con decisione l’ineluttabilità dell’azione difensiva.
Avverso la predetta ordinanza, hanno proposto ricorso i difensori dell’indagato, articolando tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale e delle norme processuali, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione agli artt. 575, 56-575 cod. pen. e 125, 192 e 273 cod. proc. pen.
Il ricorso censura che non sussistano i gravi indizi di colpevolezza e che il Tribunale del riesame non abbia ritenuto la sussistenza della legittima difesa, limitandosi a condividere le argomentazioni del g.i.p. nell’ordinanza genetica senza confrontarsi con i rilievi esposti dalla difesa. Invece, deve ritenersi che la condotta del ricorrente fosse sussumibile nello schema della legittima difesa o anche, al limite, che integrasse un’ipotesi di eccesso colposo.
La motivazione non è congrua, perché non si confronta con le risultanze istruttorie e non spiega la ragione per cui si preferisca la deposizione del malvivente rimasto ferito a quella resa dall’indagato: non sono stati chiariti in modo appropriato la precisa scansione temporale dei fatti e le ragioni della morte e delle lesioni gravi, tenuto conto che le telecamere di sorveglianza hanno registrato la precipitosa fuga dei ladri in termini poco compatibili con le conseguenze che infine hanno patito.
Il Tribunale non ha considerato adeguatamente la cosiddetta legittima difesa domiciliare, che è caratterizzata dalla presunzione assoluta della proporzione tra offesa e difesa nei casi previsti dall’art. 614, commi 1 e 2, cod. pen. Si tratta di una presunzione iuris et de iure che necessita comunque dell’accertamento degli altri requisiti della difesa legittima, quali la necessità della reazione o l’attualità d pericolo. Ebbene, il provvedimento impugnato – sostiene il ricorso – ha escluso apoditticamente che ricorressero questi elementi senza fornirne una valida motivazione.
Quanto al requisito della necessaria proporzione tra difesa e offesa ingiusta, i commi 2 e 3 dell’art. 52 cod. pen., introdotti nel 2006, hanno configurato una presunzione legale di proporzione e con la riforma del 2019 è stata ulteriormente limitata la discrezionalità del giudice mediante l’inserimento dell’avverbio “sempre”, con la conseguenza che il rapporto di proporzione sussiste sempre quando l’aggressore ha violato il domicilio e l’aggredito usa un’arma legittimamente detenuta al fine di difendere la propria e la altrui incolumità o i beni propri o altrui quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame ha ritenuto insussistente la scriminante, ma con una valutazione contraddittoria, perché non ha considerato che si è verificata l’intrusione dei malviventi nel domicilio dell’imputato e che l’odierno ricorrente, nel dubbio che le due persone fossero armate e nella superiorità numerica degli aggressori, non aveva alternative tra il difendersi e l’essere offeso. Il Tribunale, inoltre, non ha tenuto conto del grave stato di turbamento in cui versava il ricorrente.
Nel provvedimento impugnato non c’è alcun riferimento ad un’eventuale condotta di legittima difesa putativa o di eccesso colposo, che i giudici avrebbero dovuto ritenere sussistente, avendo il ricorrente ecceduto solo colposamente i limiti della difesa legittima per un errore di valutazione del pericolo o della adeguatezza dei mezzi utilizzati e non per una scelta volontaria di uccidere.
2.2 Con il secondo motivo, il ricorso deduce la violazione degli artt. 272 e 274 cod. proc. pen., nonché la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in merito alle esigenze cautelari.
L’ordinanza viola innanzitutto la lett. a) dell’art. 274 cod. proc. pen. perché ritiene il pericolo di inquinamento probatorio sulla base di circostanze meramente ipotetiche. Il Tribunale valorizza il fatto che il ricorrente nell’immediatezza del fatto non ha riferito dell’accoltellamento, ma non considera lo stato emotivo in cui si trovava; inoltre, enfatizza il dato che egli abbia riferito che i malviventi avevano rubato una pistola anziché due, ma si tratta di un dato irrilevante: rimarca che la versione dei fatti del ricorrente è incompatibile con gli esiti degli accertamenti medico-legali, ma non tiene conto che si tratti di accertamenti tutt’altro che definitivi. Il Tribunale, altresì, non tiene conto che sono stati assicurati il luogo de delitto, il corpo del reato e il cadavere della vittima e che le uniche indagini in corso sono quelle medico-legali che il ricorrente non potrebbe disturbare.
L’ordinanza, inoltre, viola la lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen., facendo riferimento ad esigenze di cautela sociale, quando invece gli abitanti del quartiere in cui vive l’indagato hanno organizzato una fiaccolata solidale e una raccolta fondi per aiutarlo. Il ricorrente, peraltro, è incensurato, tanto è vero che era in possesso di regolare licenza di detenzione e porto d’armi, e non ha mostrato alcuna propensione alla violenza e all’uso delle armi.
2.3 Con il terzo motivo, il ricorso deduce la violazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità di cui all’art. 275 cod. proc. pen. e della presunzione relativa dell’art. 275, comma 2, cod. proc. pen.
Lamenta che il Tribunale del riesame non abbia valutato gli elementi concreti da cui può desumersi la prova contraria rispetto alla presunzione di adeguatezza della misura carceraria, facendo riferimento alla gravità dei fatti e non tenendo conto che sia dalle immagini sia dalle dichiarazioni di una testimone i due malviventi sono fuggiti velocemente e senza dare segnali di malore; sicché non v’è certezza circa il nesso eziologico tra le ferite inferte dal ricorrente e l’evento morte, che potrebbe essere dovuto al volontario ritardo dei soccorsi, i quali, ove tempestivi, avrebbero evitato il decesso. Né il Tribunale tiene conto della ineluttabilità dell’azione difensiva e delle circostanze del fatto (Putortì si è trovat dinanzi a due energumeni armati che lo aggredivano). In considerazione di questi
elementi, le esigenze cautelari avrebbero potuto essere contenute anche con una misura meno afflittiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato.
1. Quanto al primo motivo, deve premettersi che, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non anche il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito. (Sez. 2, n. 27866 del 17/6/2019, Rv. 276976 – 01; Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, Rv. 270628 – 01).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge ovvero nella mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato: il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori (Sez. F, n. 47748 del 11/8/2014, Rv. 261400 – 01). Alla Corte spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della relativa motivazione rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/3/2000, Rv. 215828 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460 01).
E’ proprio alla luce di questo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che si è ritenuto in precedenza di riportare piuttosto analiticamente sia i passaggi dell’ordinanza impugnata riguardanti i gravi indizi di colpevolezza, sia le censure mosse nel ricorso alla motivazione del tribunale del riesame in punto di gravità indiziaria.
Dal loro raffronto, emerge che, in sostanza, il ricorso contenga non più che la prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito in modo non manifestamente illogico né contraddittorio.
1.1 Il primo motivo di ricorso censura essenzialmente il provvedimento impugnato nella parte in cui non ha ritenuto che la condotta di COGNOME fosse sussumibile entro lo schema della legittima difesa.
Deve ritenersi, invece, che sulla legittima difesa la motivazione del Tribunale del riesame sia del tutto aderente alle risultanze investigative e pienamente corretta in punto di diritto.
Giacché il ricorso si concentra, in particolare, sulla legittima difesa c.d. domiciliare di cui all’art. 52, commi secondo é quarto, cod. pen. (come modificati o aggiunti dall’art. 1, comma 1, lett. a) e c), L. n. 36 del 2019), è utile ricordare che, secondo i più recenti approdi in materia della giurisprudenza di legittimità, l’uso di un’arma costituisce una reazione sempre proporzionata nei confronti di chi si sia illecitamente introdotto all’interno del domicilio, ma a condizione: che il pericolo di offesa sia attuale; che l’impiego dell’arma sia, in concreto, necessario a difendere l’incolumità, propria o altrui, ovvero i beni presenti in tali luoghi; che non siano praticabili condotte alternative lecite o meno lesive; che, con riferimento, in particolare, alle aggressioni a beni, ricorra altresì un pericolo di aggressione personale (Sez. 1, n. 13191 del 15/1/2020, Rv. 278935 – 01, nella quale, in motivazione, è stato precisato che l’inserimento dell’avverbio “sempre” nell’art. 52, comma secondo, cod. pen., ad opera della legge 26 aprile 2019, n. 36, non ha il significato di porre una presunzione assoluta di proporzionalità della difesa armata all’offesa perpetrata nel domicilio, ma semplicemente di rafforzare la presunzione di proporzione già prevista dalla norma a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 13 febbraio 2006, n. 59).
Di conseguenza, non può essere invocata la scriminante della legittima difesa se il pericolo, compreso quello cui fa riferimento l’art. 52, comma quarto, cod. pen., derivante dall’intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, non sia attuale, essendo legittima la reazione rispetto ad una condotta violenta o minacciosa in essere o concretamente imminente (Sez. 5, n. 12727 del 19/12/2019, dep. 2020, Rv. 278861 – 01), così da essere percepita dall’agente come un’aggressione, anche solo potenziale, alla propria o altrui incolumità, atteso che solo quando l’azione sia connotata da tali note modali può presumersi il rapporto di proporzione con la reazione (Sez. 5, n. 40414 del 13/6/2019, Rv. 277122 – 01).
La fattispecie scriminante della legittima difesa, risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 26 aprile 2019, n. 36, postula, quale requisito aggiuntivo rispetto a quello della proporzione di cui all’art. 52, comma primo, cod. pen., uno specifico “animus defendendi”, per cui alla finalità difensiva deve necessariamente corrispondere, sul piano oggettivo, il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, non
altrimenti neutralizzabile se non con la condotta difensiva effettivamente attuata (Sez. 1, n. 23977 del 12/4/2022, Rv. 283185 – 01).
1.2 Così delineati i presupposti per l’applicazione della scriminante della legittima difesa, è da ribadirsi che la relativa motivazione dell’ordinanza impugnata sia adeguata sotto il profilo logico, nonché conforme ai principi di diritto che sono stati affermati in proposito.
Quanto all’attualità del pericolo, il Tribunale del riesame dà congruamente atto, con una ricostruzione immune da vizi logici, di ritenere plausibile che i due ladri stessero non più che allontanandosi dall’abitazione di Putortì, proprio per averne percepito l’arrivo, e che non fecero alcun uso di armi per minacciare il ricorrente o di violenza.
In questo modo, pertanto, risulta nitidamente dal testo del provvedimento impugnato che difettasse l’attualità del pericolo richiesta per la configurabilità della scriminante della legittima difesa, che implica un effettivo, preciso contegno del soggetto antagonista, prodromico di una determinata offesa ingiusta che si prospetti come concreta e imminente (Sez. 1, n. 48291 del 21/6/2018, Rv. 274534 – 01).
Quanto, per converso, alla necessità che l’impiego dell’arma servisse a difendere l’incolumità, propria o altrui, ovvero i beni presenti nel domicilio, si può escludere, per quanto appena sopra detto, non solo che COGNOME fosse mosso dall’intento di preservare la propria incolumità, ma anche quella di terzi, in quanto certo – per sua stessa ammissione – che sulla via della fuga verso l’esterno dell’abitazione i malviventi non avrebbero incontrato i suoi familiari (che non erano al piano terra). Né l’uso del coltello avrebbe potuto essere funzionale alla difesa dei propri beni, giacché è emerso che i due ladri tentassero di guadagnare l’uscita senza portare con sé eventuale refurtiva (salvo alcuni pezzi di bigiotteria rinvenuti nella tasca del deceduto e, come tali, non visibili a Putortì).
Quanto, ancora, al requisito della impraticabilità di condotte alternative lecite o meno lesive, l’ordinanza impugnata evidenzia, in maniera ragionevole e inoppugnabile, che il ricorrente “aveva a disposizione un ventaglio di opzioni per mettere in fuga i malviventi: avrebbe potuto uscire dall’abitazione e allertare le forze dell’ordine o, in alternativa, avrebbe potuto segnalare con clamore la propria presenza in modo da indurre gli sconosciuti a interrompere l’azione e allontanarsi”.
Nel contesto di questo percorso argomentativo, il Tribunale illustra e interpreta appropriatamente le risultanze investigative, soprattutto di quelle di tipo tecnico-scientifico, per inferirne ulteriori motivi di smentita della prospettazione difensiva alternativa.
Sia i rilievi biologici che l’esame delle caratteristiche delle ferite inferte con il coltello alle due persone offese sconfessano la ricostruzione del ricorrente secondo
cui sarebbe stato vittima di un’aggressione da parte dei due ladri, con una conseguente colluttazione nel corso della quale avrebbe fatto uso dell’arma.
La conclusione cui giunge l’ordinanza è coerente con tali argomentazioni sopra sinteticamente riepilogate e dà conto, senza carenze o lacune, del fatto che, in definitiva, non possano in alcun modo ravvisarsi nella vicenda di specie le condizioni per l’applicazione della scriminante della legittima difesa.
Viceversa, la condotta concretamente tenuta da COGNOME che afferrava un coltello in cucina e saliva per le scale che conducevano al piano superiore (unica via di fuga di chi vi si trovava), rendeva palese che egli avesse scelto di esporsi deliberatamente al contrasto con i ladri, evidentemente nell’intento “di farsi giustizia da sé”.
Tanto è vero che, incontrati sul suo percorso i due malviventi, li colpì proditoriamente e ripetutamente, e, peraltro, il secondo al torace posteriore e all’area lombare, ovvero mentre teneva un inequivocabile contegno di fuga.
1.3 Proprio quest’ultima considerazione rende ragione della infondatezza anche di quella parte del primo motivo di ricorso che prospetta, in via subordinata, la possibilità di riconoscere nella condotta del ricorrente almeno un eccesso colposo di legittima difesa.
A questo proposito, deve tenersi conto che, in tema di legittima difesa, sussiste l’eccesso colposo nel caso in cui l’agente – minacciato da un pericolo attuale di un’offesa che, se non tempestivamente neutralizzata, sfocerebbe nella lesione del diritto – abbia difeso il bene oggetto della minaccia debordando, per errore determinato da colpa, dai limiti della necessaria proporzione tra difesa e offesa (Sez. 1, n. 41552 del 13/6/2023, Rv. 285373 – 01).
Dunque, l’istituto dell’eccesso colposo di cui all’art. 55 cod. pen. presuppone che il reo abbia agito nella sussistenza in fatto dei requisiti di una causa di giustificazione, ma abbia, per colpa, ecceduto dai limiti della stessa; con la conseguenza che l’assenza dei presupposti della scriminante della legittima difesa impedisce di ravvisare l’eccesso colposo (Sez. 5, n. 26172 dell’11/5/2010, Rv. 247898 – 01).
Questo vuol dire che le condivisibili conclusioni dell’ordinanza impugnata circa la insussistenza della legittima difesa impongono di affermare, alla stregua degli appena ricordati parametri di valutazione, la infondatezza della doglianza difensiva riguardante l’eccesso colposo, vieppiù corroborata dalla considerazione che la condotta di COGNOME ebbe inizio mentre i soggetti introdottisi nel suo domicilio si stavano dando alla fuga e si concluse con la aggressione a colpi di coltello del secondo di essi che si trovava ormai di spalle sulla via del definitivo allontanamento dalla casa.
In questa situazione, nessuna mera imprudenza o imperizia nel calcolo del pericolo e dei mezzi di salvezza è ravvisabile nell’azione del ricorrente, che superò invece i limiti della necessità della difesa in conseguenza di una scelta volontaria e cosciente che incanalò sin da subito la sua reazione nei binari di una deliberata aggressione.
Lo stesso è a dirsi per la doglianza relativa al mancato riconoscimento della legittima difesa c.d. putativa.
L’errore scusabile che può determinare il riconoscimento della scriminante deve trovare adeguata giustificazione in una situazione concreta ed obiettiva che, seppure malamente rappresentata o compresa, abbia indotto l’agente a convincersi di essere esposto al pericolo attuale di un’offesa ingiusta (Sez. 1, n. 30608 del 5/7/2024, Rv. 286808 – 01).
Il relativo accertamento deve essere effettuato con un giudizio “ex ante” calato all’interno delle specifiche circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in sé considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un’ingiusta aggressione (Sez. 4, n. 24084 del 28/2/2018, Rv. 273401 – 01), senza tuttavia che possano considerarsi sufficienti gli stati d’animo e i timori personali (Sez. 1, n. 13370 del 5/3/2013, Rv. 255268 – 01).
Ebbene, l’ordinanza ha dato adeguatamente atto, sotto questo profilo, che il modus operandi di COGNOME sia stato tale da potersi considerare “inconciliabile con qualunque esitazione o incertezza”, rivelando al contrario “una ferma volontà offensiva, trasmodante nel dolo omicida”, e con uno stato emotivo di paura, in preda al quale egli ha riferito di avere agito, che – osserva il Tribunale in termini del tutto approvabili dal punto di vista logico – lo “avrebbe più plausibilmente indotto ad allontanarsi ed invocare l’intervento delle forze dell’ordine o comunque di terzi”.
E’ da ritenersi, pertanto, che la motivazione dell’ordinanza impugnata resista a tutte le censure articolate nel primo motivo di ricorso, tenuto conto che il riconoscimento o l’esclusione della legittima difesa, reale o putativa, e dell’eccesso colposo nella stessa costituiscono un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità quando – come nel caso di specie – gli elementi di prova siano stati puntualmente accertati e logicamente valutati dal giudice di merito (Sez. 1, n. 3148 del 19/2/2013, dep. 2014, Rv. 258408 – 01).
Quanto al secondo motivo, l’ordinanza impugnata individua in modo congruo le esigenze cautelari ravvisate nella vicenda di specie e indica specificamente gli elementi di fatto da cui ne desume la sussistenza.
Il ricorrente contrasta, per un verso, l’affermazione del pericolo di inquinamento probatorio con argomenti dubbi dal punto di vista fattuale (il presunto stato emotivo che lo avrebbe indotto a mentire e a cancellare le tracce del delitto) e, per l’altro, l’affermazione del pericolo di reiterazione del reato con argomenti quantomeno incongrui (la solidarietà dimostrata a Putortì dagli abitanti del quartiere in cui abita).
Anche l’assenza di precedenti penali dell’indagato è stata correttamente ritenuta subvalente dal Tribunale del riesame rispetto ai numerosi altri elementi di sfavore (la gravità del fatto, le modalità preoccupanti della sua commissione, il carattere freddamente fuorviante della condotta successiva al delitto, la mancanza di rimeditazione critica dell’azione criminosa, etc.).
A fronte di ciò, il ricorso si fonda sostanzialmente su una diversa lettura degli elementi presi in considerazione dai giudici di merito, con la prospettazione di rilievi (stato emotivo, incensuratezza, legittima detenzione di armi pluriennale senza incorrere in censure, etc.), alcuni dei quali peraltro meramente assertivi (indole pacifica dell’indagato, nessuna sua propensione alla violenza, etc.), che sono stati già valutati dall’ordinanza impugnata e sono stati disattesi con motivazione nient’affatto illogica o contraddittoria.
Di conseguenza, il motivo non può essere preso in considerazione in questa sede, giacché, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca assenza delle esigenze cautelari è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, Rv. 270628 01).
Il terzo motivo, che contesta l’adeguatezza e la proporzionalità della misura cautelare, si fonda in larga parte su ragioni, per un verso, non pertinenti, e, per l’altro, contraddittorie.
Infatti, il ricorso ritorna a censurare, in questa parte, la insussistenza delle esigenze cautelari, così articolando una doglianza, non solo già proposta con il secondo motivo, ma soprattutto estranea al tema che intende trattare, giacché la critica della adeguatezza della misura scelta presuppone che si sia superato (benché non accettato) l’aspetto della sussistenza di esigenze cautelari.
Non a caso, lungo tale percorso, il ricorso arriva ad un certo punto a sostenere che “l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza e/o di esigenze cautelari, ove correttamente ravvisata, avrebbe imposto la scelta di altro trattamento cautelare”, così incorrendo però in un’affermazione con tutta evidenza incoerente.
Ciò premesso, deve ritenersi che il motivo di ricorso sia comunque sostanzialmente superato dalle vicende cautelari intervenute successivamente al provvedimento impugnato.
Come segnalato dai difensori del ricorrente all’odierna udienza e come confermato dalle risultanze del certificato del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria conseguentemente acquisito dalla cancelleria, COGNOME è attualmente sottoposto dal 27.9.2024 alla misura cautelare degli arresti domiciliari presso la sua abitazione di Reggio Calabria.
Di conseguenza, la censura di inadeguatezza deve ora essere in concreto limitata alla valutazione della eventuale idoneità di misure cautelari non detentive a soddisfare le esigenze cautelari ritenute sussistenti.
Sotto questo profilo, è da ritenersi che la motivazione dell’ordinanza impugnata sia a maggior ragione incensurabile, nel senso che – ricalibrata sull’apprezzamento di elementi eventualmente giustificativi di misure ancor meno afflittive, come il divieto o l’obbligo di dimora ovvero l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria – è da considerarsi del tutto conforme a logica quando pronostica che l’indagato, ove sottoposto a misure che richiedano solo una spontanea adesione alle relative prescrizioni, possa porre in essere, eventualmente anche con l’ausilio di terzi, condotte inquinanti sotto il profilo probatorio e, soprattutto, condotte violente alla luce della sua comprovata indifferenza alle regole del consesso civile e della sua spiccata propensione all’uso di armi.
Peraltro, si procede per reati per i quali l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. prevede la presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, sicché il relativo giudizio discrezionale del giudice di merito non è ulteriormente sindacabile in cassazione se, come nel caso di specie, correttamente sorretto da adeguata valutazione.
Pertanto, anche questo motivo di ricorso, in definitiva, è da stimarsi infondato.
4. Alla stregua di quanto fin qui osservato, dunque, il ricorso deve essere rigattato, con la conseguente condanna del ricorrente alle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18.10.2024