Lavoro di Pubblica Utilità: Quando la Pena Sostitutiva è Inefficace?
La recente ordinanza della Corte di Cassazione, n. 8775/2025, offre un’importante riflessione sui criteri di applicazione delle pene sostitutive, in particolare del lavoro di pubblica utilità. La Suprema Corte ha stabilito che la mera richiesta e il consenso del condannato non sono sufficienti se la misura, in concreto, risulta priva di qualsiasi efficacia rieducativa a causa della gravità del reato commesso. Questo principio rafforza la discrezionalità del giudice nel valutare l’adeguatezza della pena.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un soggetto per gravi reati fallimentari, specificamente bancarotta fraudolenta. In seguito a un precedente rinvio disposto dalla stessa Corte di Cassazione, la Corte d’Appello di Milano era stata chiamata a pronunciarsi sulla richiesta dell’imputato di ottenere una pena sostitutiva. La Corte d’Appello aveva confermato la condanna, negando però l’applicazione del lavoro di pubblica utilità.
Contro questa decisione, la difesa ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un difetto di motivazione riguardo alle modalità e alla durata del lavoro sostitutivo. La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente negato il beneficio.
La Decisione della Corte sul Lavoro di Pubblica Utilità
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e non centrato sulla vera ragione della decisione impugnata. I giudici hanno evidenziato che la Corte d’Appello aveva correttamente basato il proprio diniego su una valutazione di sostanza: l’inadeguatezza della misura rispetto alla finalità rieducativa della pena.
Il punto cruciale della decisione è che il lavoro di pubblica utilità, unica pena sostitutiva a cui il condannato aveva prestato consenso, presenta dei limiti orari stringenti imposti dalla legge (non più di due ore al giorno e quindici a settimana). Secondo i giudici di merito, una misura così limitata nel tempo risulterebbe del tutto priva di efficacia rieducativa di fronte alla notevole gravità dei reati di bancarotta per cui era intervenuta la condanna.
Le Motivazioni: Efficacia Rieducativa vs. Limiti di Legge
La motivazione principale, la ratio decidendi, che ha sorretto la decisione della Corte d’Appello e che la Cassazione ha ritenuto immune da vizi, è proprio la sproporzione tra la gravità del fatto e l’impatto della sanzione sostitutiva. La Corte ha spiegato che il ricorso era generico perché non si confrontava con questo argomento centrale e decisivo. Si limitava a contestare aspetti secondari senza scalfire la logica fondamentale del provvedimento.
La Cassazione ha chiarito che l’osservazione aggiuntiva della Corte d’Appello, relativa al mancato consenso dell’imputato a svolgere il lavoro per un tempo superiore a quello legale, era solo un argomento rafforzativo. La vera ragione del diniego era, ed è rimasta, l’assoluta mancanza di efficacia rieducativa della misura in quel contesto specifico. In sostanza, una pena talmente lieve da non avere alcun impatto formativo sul condannato non può essere applicata, anche se richiesta.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la funzione rieducativa della pena, sancita dalla Costituzione, non è un mero slogan ma un criterio guida per il giudice nella scelta della sanzione più appropriata. Il consenso del condannato all’applicazione di una pena sostitutiva come il lavoro di pubblica utilità è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Il giudice ha il dovere di valutare se quella specifica misura, con i suoi limiti normativi, sia concretamente idonea a perseguire un obiettivo di reinserimento sociale, tenendo conto della gravità del reato e della personalità del condannato. Se la risposta è negativa, il diniego è legittimo e motivato.
Perché è stata negata l’applicazione del lavoro di pubblica utilità in questo caso?
La richiesta è stata respinta perché, data la notevole gravità dei reati di bancarotta commessi, i giudici hanno ritenuto che le limitate ore di servizio previste dalla legge (massimo 15 a settimana) sarebbero state del tutto prive di efficacia rieducativa per il condannato.
Il consenso del condannato è sufficiente per ottenere una pena sostitutiva?
No. Il consenso è un requisito necessario, ma non sufficiente. Il giudice deve sempre valutare se la pena sostitutiva richiesta sia concretamente adeguata a raggiungere la finalità rieducativa, in relazione alla gravità del reato e alle circostanze del caso.
Su quale base la Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto ‘generico’. La difesa, infatti, non ha contestato la ragione principale e decisiva della sentenza d’appello (la mancanza di efficacia rieducativa della pena), concentrandosi su argomenti secondari e non pertinenti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8775 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8775 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PADERNO DUGNANO il 15/08/1966 avverso la sentenza del 09/05/2024 della CORTE APPELLO di MILANO dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
che, con l’impugnata sentenza, pronunciata a seguito di rinvio disposto da questa Corte con sentenza Sez. 5, n. 50440 dell’8 novembre 2023, che aveva imposto al giudice di appello del rinvio di pronunciarsi sulla richiesta di applicazione all’imputato di pena sostitutiva, la C d’appello di Milano ha confermato la condanna inflitta a NOME per il delitto di cui agli artt. 216, comma 1, n.1, 219, commi 1 e 2, n.1 e 223 L.F. (fatti commessi in Monza, il 9 maggio 2016);
che l’atto di impugnativa consta di un solo motivo;
che con memoria depositata in Cancelleria tramite PEC in data 27 gennaio 2025, il difensore del ricorrente ha articolato un’integrazione del motivo di ricorso
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il proposto motivo, che denuncia la violazione dell’art. 545-bis cod. proc. pen. e il vizio di motivazione in riferimento alle modalità e alla durata dello svolgimento del lavoro d pubblica utilità, è generico, anche laddove articola deduzioni integrative, in quanto privo di specifico confronto con la principale e decisiva ratio decidendi della statuizione impugnata, ossia che il lavoro di pubblica utilità – che costituiva la sola pena sostitutiva per la quale il condan aveva espresso il proprio consenso – , non potendosi ex lege espletare per più di due ore al giorno e per non più di quindici ore settimanali, risultava del tutto priva di efficacia rieduca a fronte della gravità dei fatti per i quali l’imputato era stato condannato, di modo c l’osservazione subordinata del giudice, ossia che l’interessato non aveva manifestato il proprio consenso ad espletare il detto lavoro per un tempo superiore a quello stabilito dalla legge, costituisce un mero argomento rafforzativo della motivazione che sorregge, in via esclusiva e determinante, la statuizione impugnata;
– ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente