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Lavoro irregolare: l’amicizia è prova della colpa

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per un datore di lavoro che aveva assunto un lavoratore straniero senza permesso di soggiorno. Il ricorso dell’imputato, basato sulla presunta mancanza di prova della sua consapevolezza (dolo), è stato dichiarato inammissibile. Per i giudici, la stretta amicizia preesistente tra i due rendeva inverosimile che il datore di lavoro non fosse a conoscenza della condizione di irregolarità del dipendente. Questo rapporto è stato ritenuto un elemento sufficiente a dimostrare il dolo richiesto per il reato di lavoro irregolare.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Lavoro Irregolare: La Prova della Colpa nell’Amicizia tra Datore e Dipendente

L’assunzione di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno costituisce un reato grave. Ma come si dimostra che il datore di lavoro era consapevole di questa irregolarità? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come anche un forte legame di amicizia possa diventare un elemento di prova decisivo contro l’imprenditore. Analizziamo questo caso emblematico di lavoro irregolare e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso

Un imprenditore è stato condannato in primo grado e in appello per aver impiegato un lavoratore straniero sprovvisto del necessario permesso di soggiorno, un reato previsto dal Testo Unico sull’Immigrazione. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un unico motivo: l’assenza di prova della sua volontà di commettere il reato. In altre parole, affermava di non essere a conoscenza della condizione di irregolarità del suo dipendente.

La difesa si è concentrata sull’elemento psicologico del reato, il cosiddetto “dolo”, che richiede la piena coscienza e volontà di assumere una persona sapendola non in regola con le norme sul soggiorno.

Consapevolezza e lavoro irregolare: l’analisi della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo infondato. I giudici hanno sottolineato come il ricorso non affrontasse adeguatamente le motivazioni esposte dalla Corte d’Appello di Brescia. Quest’ultima aveva basato la sua decisione su un fatto cruciale: la stretta amicizia che legava il datore di lavoro e il lavoratore.

Secondo la Corte territoriale, questo legame, nato durante un periodo di comune detenzione, rendeva del tutto inverosimile che il lavoratore avesse nascosto al suo amico e datore di lavoro la propria condizione di irregolarità. Tacere una circostanza così importante avrebbe significato esporre l’amico a seri rischi giudiziari, un’eventualità ritenuta incompatibile con un rapporto di tale natura.

Il Valore Probatorio degli Indizi

La Suprema Corte ha avallato questo ragionamento, definendolo “non manifestamente illogico”. La decisione evidenzia un principio fondamentale: nel processo penale, la prova del dolo può essere desunta anche da elementi indiretti e logici (indizi). Non è sempre necessaria una confessione o una prova diretta (come un documento scritto). La logica e la massima di esperienza – secondo cui un amico non metterebbe scientemente nei guai un altro amico – sono state sufficienti a fondare il giudizio di colpevolezza.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Cassazione si fonda su due pilastri principali. In primo luogo, il ricorso è stato giudicato generico e “pedissequo”, in quanto si limitava a lamentare una presunta assenza di motivazione sull’elemento psicologico, senza però confrontarsi con l’argomentazione specifica e puntuale fornita dalla Corte d’Appello (la stretta amicizia). Un ricorso per essere ammissibile deve contestare specificamente le ragioni della sentenza impugnata, non può limitarsi a riproporre le stesse doglianze.

In secondo luogo, la Corte ha ribadito che la valutazione degli elementi di fatto e la loro interpretazione logica sono di competenza dei giudici di merito (primo grado e appello). La Cassazione può intervenire solo se il ragionamento seguito è palesemente illogico o contraddittorio, cosa che in questo caso non è stata ravvisata. La motivazione basata sull’amicizia è stata considerata plausibile e sufficiente a dimostrare la consapevolezza richiesta per il reato di lavoro irregolare.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un importante insegnamento: la responsabilità penale del datore di lavoro per l’impiego di stranieri irregolari può essere affermata anche sulla base di prove indiziarie, come la natura dei rapporti personali con il dipendente. Un legame di amicizia, anziché essere una scusante, può trasformarsi in un elemento a carico, poiché rende altamente probabile la conoscenza della situazione del lavoratore. Questa decisione rafforza il principio secondo cui chi assume è tenuto a un dovere di diligenza e verifica, e non può nascondersi dietro una presunta ignoranza, specialmente quando le circostanze concrete suggeriscono il contrario.

È sempre reato assumere un lavoratore senza permesso di soggiorno?
Sì, l’art. 22, comma 12, del D.Lgs. 286/1998 configura questa condotta come un delitto, che richiede il dolo, ossia la coscienza e la volontà da parte del datore di lavoro di impiegare una persona pur sapendo che è priva del permesso di soggiorno.

Come può essere provata la consapevolezza del datore di lavoro?
La consapevolezza (dolo) può essere dimostrata non solo con prove dirette, ma anche attraverso elementi indiziari. In questo caso specifico, la Corte ha ritenuto che la stretta amicizia tra il datore di lavoro e il lavoratore fosse un indizio sufficiente a ritenere inverosimile che il primo non fosse a conoscenza della condizione di irregolarità del secondo.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione non entra nel merito della questione. La condanna precedente diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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