Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25974 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25974 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in CINA il 18/03/1971
avverso l’ordinanza del 19/03/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di Roma
Udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME Lette le conclusioni del P.G., NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 19 marzo 2025 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale presentata dal condannato NOME COGNOME
Il Tribunale di sorveglianza ha respinto l’istanza, in quanto ha ritenuto non essere possibile formulare prognosi favorevole di positivo reinserimento sociale del condannato in considerazione della mancanza di lavoro, o attività risocializzante, che impedisce allo stesso di godere di leciti mezzi di sostentamento.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, che, con unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., deduce violazione di legge, perché l’ordinanza impugnata ha assunto come unico parametro di riferimento della decisione sull’istanza la mancanza di un lavoro regolare da parte del condannato, obliterando la circostanza che il reato in espiazione risale all’anno 2009, e che da detta ,
data il ricorrente non ha commesso altri reati; lo stesso in ogni caso lavora, sia pure in nero, nell’esercizio commerciale gestito dal figlio, è in Italia dal 1994, è inserito socialmente e vive con la famiglia.
3. Con requisitoria scritta il P.G., NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
Il Tribunale di sorveglianza ha motivato il rigetto della istanza di misura alternative evidenziando che il condannato non ha una attività lavorativa che gli consenta di avere leciti mezzi di sostentamento.
Il ricorso deduce che la esistenza o meno di una attività lavorativa non è l’unico parametro di valutazione della concedibilità o meno di una misura alternativa e richiama la giurisprudenza di questa Sezione sulla insufficienza del riferimento ad essa nella valutazione di una istanza ex art. 47 o 47-ter ord. pen. (su cui v., per tutte, Sez. 1, n. 43390 del 22/09/2014, Zomorroud, Rv. 260723 – 01).
L’argomento è infondato.
La motivazione dell’ordinanza impugnata che ritiene che la mancata disponibilità di una attività lavorativa che possa procurare al condannato leciti mezzi di sostentamento preclude nel caso in esame l’accoglimento dell’istanza è scevra da tratti di manifesta illogicità.
Se è vero, infatti, che, come detto sopra, di per sè la disponibilità di una attività lavorativa non è essenziale per la concessione di una misura alternativa, però, ciò non toglie che il giudice di sorveglianza è tenuto a porsi il problema della disponibilità o meno da parte del condannato di mezzi leciti di sostentamento, perchè la mancanza di leciti mezzi di sostentamento comporta che non possa essere assicurata “la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati”, secondo la formula dell’art. 47, comma 2, ord. pen.; se non mantenuto da altri, il condannato ha, infatti, comunque bisogno di denaro per poter vivere e, se non ha mezzi leciti di sussistenza, non è manifestamente illogico che sia stato ritenuto esistente il pericolo che possa procurarseli in modo illecito.
Il ricorso deduce che nel caso in esame questo rischio non vi è perchè il condannato, in realtà, lavora, sia pure in nero, nel negozio gestito dal figlio, ma la deduzione è inammissibile, sia perchè non documentata, ed, attesa la tipologia di argomento, non documentabile in un giudizio quale quello di sorveglianza, sia perchè, in realtà, l’argomento proposto è una conferma, e non una smentita, del percorso logico dell’ordinanza impugnata, in quanto attesta che il condannato si procura mezzi di sussistenza in un modo che comunque è illecito, e che comporta il concorso in una evasione contributiva e fiscale – a prescindere dal fatto che tale evasione contributiva e
fiscale possa essere superiore o meno alla soglia di rilevanza penale – e da cui a cascata derivano ulteriori illeciti nelle scritture contabili, e nelle comunicazioni sociali (se il dato
di lavoro è costituito in forma societaria), nonché nelle dichiarazioni previste dalle norme in tema di sicurezza del lavoro.
Il ricorso deduce che il reato in espiazione risale al 2009, che da detta data il ricorrente non ha commesso altri reati, che il soggetto è in Italia dal 1994, che è inserito
socialmente e vive con la famiglia, ma gli argomenti sono inammissibili per mancanza di specificità (Sez. 2, Sentenza n. 17281 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 276916, nonché,
in motivazione, Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME
Rv. 268823), perchè sollecitano una valutazione discrezionale diversa degli elementi dell’istruttoria svolta davanti al Tribunale di sorveglianza e non si confrontano con il
percorso logico della decisione impugnata, che ha ritenuto prevalente la mancata disponibilità di mezzi di sostentamento leciti e subvalenti gli altri elementi emersi
dall’istruttoria.
2. Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 12/06/2025
GLYPH
Il Consigliere estensore
Il Presidente
CARMINE RUSSO
GLYPH
NOME CASA
CORTE SUPREMA Di CASSAZIONE
Pr jr : na3ezizig.
Depositata in “
,
z;ria onqi
Roma, lì
15
LOG, 2025