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Lavoro esterno: quando il rischio di recidiva lo nega

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego di ammissione al lavoro esterno per un detenuto, ritenendo corretta la valutazione del Tribunale di Sorveglianza. La decisione si fonda sull’elevato pericolo di recidiva e sulla sostanziale inaffidabilità del soggetto, dimostrate da gravi condotte illecite commesse durante una precedente misura alternativa. Secondo la Corte, la sola buona condotta carceraria non è sufficiente in assenza di una concreta rivisitazione critica del proprio passato criminale, elemento indispensabile per una prognosi favorevole.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Lavoro Esterno: La Cassazione Sottolinea l’Importanza della Valutazione del Rischio di Recidiva

La concessione del lavoro esterno rappresenta un momento cruciale nel percorso di reinserimento di un detenuto, un ponte tra la detenzione e il ritorno nella società. Tuttavia, questo beneficio non è automatico e richiede una valutazione attenta e rigorosa da parte della magistratura. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 14103/2025) ha ribadito i principi fondamentali che guidano tale decisione, sottolineando come la sola buona condotta in carcere non sia sufficiente a superare un giudizio di pericolosità sociale basato su fatti concreti.

I Fatti del Caso: Un Reclamo Contro il Diniego

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un detenuto che si era visto negare l’ammissione al lavoro esterno, nonostante il parere favorevole iniziale del direttore dell’istituto penitenziario. Sia il Magistrato di Sorveglianza prima, sia il Tribunale di Sorveglianza in sede di reclamo poi, avevano respinto la richiesta.

Le ragioni del diniego erano ancorate a tre elementi principali:
1. L’elevato pericolo di recidiva: il soggetto aveva già dimostrato in passato di non rispettare le regole, commettendo un’altra grave condotta illecita mentre era in affidamento in prova per un precedente reato legato al traffico di stupefacenti.
2. La sostanziale inaffidabilità: la violazione della fiducia accordatagli in precedenza rendeva difficile formulare una prognosi positiva per il futuro.
3. L’assenza di una rivisitazione critica: nonostante una condotta regolare durante l’ultima fase detentiva, non erano emersi elementi concreti che indicassero una reale e profonda riflessione critica sul proprio passato criminale.

In sostanza, i giudici di merito hanno ritenuto che concedere l’ampio margine di libertà connesso al lavoro esterno avrebbe costituito un rischio troppo elevato.

La Difesa e il Ricorso in Cassazione

La difesa del detenuto ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, il Tribunale si sarebbe basato unicamente sulle condanne passate, ignorando il percorso rieducativo svolto in carcere e lo scopo principale del lavoro esterno, ossia il reinserimento sociale. Si contestava, inoltre, una violazione dei principi costituzionali relativi alla funzione rieducativa della pena.

Le Motivazioni della Cassazione e i Criteri per il Lavoro Esterno

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, giudicandolo infondato e confermando la correttezza della decisione del Tribunale di Sorveglianza. Le motivazioni della Suprema Corte offrono importanti chiarimenti sui criteri di valutazione per la concessione del lavoro esterno.

I giudici hanno innanzitutto riaffermato la piena legittimità del controllo giurisdizionale sui provvedimenti in materia, richiamando consolidati principi giurisprudenziali. Nel merito, la Corte ha ritenuto che la valutazione del Tribunale fosse stata completa e logica. La decisione non si è basata su un pregiudizio, ma su un’analisi approfondita della personalità del condannato, sia remota che recente.

Il punto centrale della motivazione risiede nella distinzione tra la condotta intramuraria e l’affidabilità all’esterno. Sebbene una condotta regolare in carcere e un vago interesse al recupero siano elementi positivi, essi non sono sufficienti per superare un giudizio di pericolosità fondato su specifici e gravi episodi passati, come la commissione di nuovi reati durante una misura alternativa. Per concedere un beneficio che implica un contatto libero con l’esterno, è indispensabile accertare non solo l’assenza di indicatori negativi, ma anche la presenza di elementi positivi che supportino un giudizio prognostico di buon esito e di prevenzione del pericolo di recidiva. In questo caso, mancava un elemento fondamentale: un percorso, anche solo abbozzato, di revisione critica che consentisse di affermare con ragionevole certezza che il detenuto non avrebbe approfittato della libertà concessa per delinquere di nuovo.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio fondamentale dell’ordinamento penitenziario: il percorso di reinserimento deve essere concreto e basato su un cambiamento interiore del condannato. La concessione del lavoro esterno non è un diritto automatico derivante dalla buona condotta, ma il risultato di una valutazione complessiva che deve dare garanzie di affidabilità e assenza di pericolosità sociale. La fiducia dello Stato deve essere ben riposta, e la magistratura di sorveglianza ha il compito di effettuare questa difficile prognosi, bilanciando la finalità rieducativa della pena con l’imprescindibile esigenza di tutela della collettività. In assenza di una provata e profonda revisione critica del proprio passato, il rischio di recidiva rimane un ostacolo insormontabile.

La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere l’ammissione al lavoro esterno?
No. Secondo la sentenza, la buona condotta e un generico interesse al recupero non sono sufficienti. È necessaria la presenza di elementi positivi che dimostrino una revisione critica del proprio passato criminale e un giudizio prognostico favorevole sull’assenza di pericolo di recidiva.

Come viene valutato il rischio di recidiva per la concessione del lavoro esterno?
La valutazione è globale e complessa. I giudici devono considerare non solo la natura e gravità dei reati commessi, ma anche il comportamento tenuto durante l’esecuzione della pena, compreso l’esito di eventuali precedenti misure alternative. La mancanza di una rivisitazione critica del proprio comportamento deviante è un elemento ostativo.

Un provvedimento che nega il lavoro esterno può essere impugnato?
Sì. La sentenza conferma la piena giustiziabilità dei provvedimenti della magistratura di sorveglianza in materia di lavoro esterno. È possibile presentare reclamo giurisdizionale per una verifica di legittimità della decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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