LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Lavoro di pubblica utilità: onere di avvio dell’autorità

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che revocava la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità a un condannato per guida in stato di ebbrezza. Il motivo della revoca era la presunta inerzia del condannato, che non aveva mai iniziato l’attività. La Suprema Corte ha chiarito che l’onere di avviare il procedimento esecutivo spetta all’autorità giudiziaria (Pubblico Ministero e UEPE) e non al condannato. Pertanto, la sanzione non può essere revocata se l’autorità non ha dato concreto impulso all’esecuzione, convocando l’interessato e definendo le modalità di svolgimento del lavoro.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Lavoro di Pubblica Utilità: A Chi Spetta l’Onere di Avvio?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14670 del 2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di esecuzione delle pene: l’avvio del lavoro di pubblica utilità è un onere che grava sull’autorità giudiziaria e non sul condannato. Di conseguenza, la sanzione sostitutiva non può essere revocata per la sola inerzia dell’interessato se quest’ultimo non è stato formalmente convocato per iniziare l’attività.

I Fatti del Caso

Un individuo, condannato per guida in stato di ebbrezza (art. 186 Codice della Strada), aveva ottenuto la sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità. Tuttavia, il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, revocava tale misura. La decisione si basava su una comunicazione dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE), secondo cui il condannato non aveva mai svolto l’attività disposta, senza fornire alcuna giustificazione. Di fatto, la revoca era scattata a causa della presunta passività del condannato.

Il Ricorso per Cassazione e il ruolo del lavoro di pubblica utilità

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo un punto cruciale: né il Pubblico Ministero né l’UEPE avevano mai dato concreto impulso all’esecuzione della pena. Egli non aveva mai ricevuto alcuna convocazione o comunicazione ufficiale che lo invitasse a iniziare il lavoro di pubblica utilità. L’UEPE aveva genericamente affermato di non essere riuscita a contattarlo, ma il ricorrente faceva notare che tutte le notifiche durante il processo penale erano andate a buon fine. La difesa ha quindi argomentato che, in assenza di un’iniziativa da parte dell’autorità competente, non si poteva addebitare alcuna inadempienza al condannato.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: l’esecuzione di qualsiasi provvedimento di condanna, incluse le pene sostitutive, inizia sempre dietro impulso del Pubblico Ministero, come previsto dall’art. 655 del codice di procedura penale. È l’autorità giudiziaria, e non il privato cittadino, a dover curare l’esecuzione della sentenza.

Nel caso specifico del lavoro di pubblica utilità, questo principio si traduce in un dovere preciso per l’UEPE: convocare l’interessato, concordare con lui e con l’ente di riferimento le modalità concrete di svolgimento del lavoro e stabilire una data di inizio. Il condannato non è tenuto ad attivarsi autonomamente. Attribuirgli un simile onere, in assenza di una specifica norma di legge, sarebbe illegittimo.

La Corte ha specificato che la revoca della sanzione sostitutiva può avvenire solo in caso di violazione degli obblighi imposti, ma tale violazione non può sussistere se l’autorità non ha mai messo il condannato nelle condizioni di adempiere. Il giudice dell’esecuzione, prima di revocare la misura, avrebbe dovuto verificare se il Pubblico Ministero o l’UEPE avessero effettivamente dato avvio alla procedura, notificando gli atti necessari e convocando il condannato. Poiché tale verifica era mancata e la revoca si basava unicamente sulla presunta inerzia del soggetto, l’ordinanza impugnata è stata annullata.

Conclusioni

Questa sentenza rafforza una garanzia fondamentale nel diritto processuale penale: è lo Stato, attraverso i suoi organi, ad avere la responsabilità di eseguire le pene. Un condannato non può essere sanzionato per l’inefficienza o la passività dell’apparato giudiziario. La decisione chiarisce che il lavoro di pubblica utilità, pur essendo una misura alternativa che richiede la collaborazione del condannato, non può trasformarsi in un onere che grava interamente sulle sue spalle. L’autorità deve sempre compiere il primo passo, attivando formalmente la procedura esecutiva. In caso contrario, qualsiasi revoca basata sulla sola inerzia del condannato è da considerarsi illegittima.

A chi spetta l’onere di avviare l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità?
L’onere di avviare il procedimento finalizzato allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità spetta all’autorità giudiziaria (Pubblico Ministero e UEPE) e non al condannato.

Si può revocare il lavoro di pubblica utilità se il condannato non si attiva autonomamente per iniziarlo?
No, la revoca è illegittima se si basa esclusivamente sul mancato attivarsi del condannato. Tale inerzia non è rilevante, poiché non esiste un onere a suo carico di dare inizio all’esecuzione della pena.

Cosa deve fare l’autorità giudiziaria prima di poter considerare il condannato inadempiente?
L’autorità giudiziaria, tramite il Pubblico Ministero o l’UEPE, deve dare concreto impulso all’esecuzione della condanna, ad esempio convocando il condannato, determinando la data di inizio del lavoro e definendo le modalità del suo svolgimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati